5. Ahimsa (1931-1939)

Il 6 febbraio 1931, Mohandas Gandhi è in prigione, senza sapere per quanto tempo, quando Motilal Nehru si spegne all’età di settant’anni. Mohandas voleva molto bene all’avvocato del Kashmir, anche se questi riservava alla khadi un pizzico di disprezzo preferendole il proprio elegante guardaroba. E, come sempre nella vita del Mahatma, compare un uomo ogni volta che un altro sparisce: Rajchandra ha preso il posto di sua madre, Kallenbach il posto di Rajchandra, Gokhale quello di Kallenbach, poi Motilal quello di Gokhale. Chi verrà dopo Nehru? Suo figlio Jawaharlal.

Pur non condividendo né il suo amore per la modernità né il suo interesse per gli exploit dell’Unione Sovietica, lui lo considera come il solo, insieme a Patel, in grado di assumere un giorno l’incarico del governo di un’India indipendente. Patel è più solido e preciso, ma Nehru ha la portata internazionale. Nella mente di Gandhi, Jawaharlal diventa un figlio spirituale.

Lui si sente di nuovo al centro di tutto: colui che sbarcò, completamente ignorato, a Bombay nel 1890, è adesso un’icona planetaria, esponente di una filosofia e di una strategia che hanno saputo trascinare milioni di persone. Lui è (e questa è la sola cosa che gli interessa) imprescindibile nella lotta nazionalista nonché il capo del Congresso.

Ma questo status è meritato? Sono già passati dieci anni da quando ha promesso al paese l’indipendenza entro un anno e l’India però è ancora inglese; la marcia del sale non ha ottenuto nulla; il boicottaggio degli spacci di alcolici e dei tessuti si è sfilacciato; gli intoccabili sono sempre emarginati; musulmani e hindu fanno sempre più mostra di aggressività gli uni contro gli altri; la disobbedienza civile continua a rilento; l’”armatura d’acciaio” britannica ha perfettamente assicurato l’arresto e la detenzione di 78.000 membri del Partito del Congresso, tra i quali molti hanno sacrificato fortune e salute al loro impegno. Per di più, proprio un figlio suo è allo sbando e i suoi rapporti con le donne fanno scandalo. Piomba nella malinconia.

Ma, per Gandhi, la depressione è, in genere, il preludio al recupero del buonumore; dopodiché niente può intaccare il suo ottimismo. Crede nel trionfo del Bene e trova «delizia nel vivere secondo il disegno dell’universo». A sessantadue anni, non si è mai sentito in una tale forma fisica e intellettuale; ha dimostrato di essere in grado di camminare per ore, di digiunare per giorni, di filare centinaia di metri di cotone. È consapevole della sua influenza, del suo ascendente. Si vede allo stesso tempo come il «padre dell’India» e come suo figlio, un po’ come il bambino che si portava sulle spalle i genitori, nel romanzo che amava leggere da piccolo.

Il Patto di Delhi

Il viceré sa bene che, nonostante Gandhi abbia perso, tornare allo status quo è impossibile: bisogna evolversi, per non perdere tutto, a cominciare dalle materie prime e dagli sbocchi sui mercati indiani. La Gran Bretagna ne ha assolutamente bisogno, in un momento in cui la crisi mondiale ha fatto precipitare la domanda dei paesi più avanzati. Anche se non teme più né di vedere l’economia del paese progressivamente paralizzata dalla disobbedienza civile né lo Stato schiacciato dalla moltitudine dei detenuti, e anche se l’alta amministrazione continua, imperturbabile, a gestire il subcontinente, il viceré non può lasciare senza risposta questo formidabile movimento dalla risonanza internazionale tanto ampia. Ma con chi negoziare il cambiamento, se non con Gandhi? Nehru e Subhas Bose sono molto meno concilianti.

Perciò, mentre in tutte le altre colonie i leader indipendentisti sono sistematicamente neutralizzati con mezzi più o meno legali, in India questo viceré, come i suoi predecessori, giunge alla conclusione di aver tutto l’interesse a proteggere e ad aver cura di Gandhi, dunque a offrirgli una via d’uscita onorevole. Srinivasa Sastri (che non l’ha voluto nel 1915 tra i Servitori dell’India, l’organizzazione di Gokhale) indica a Irwin il modo giusto per conquistarlo: «Prima di incontrarlo, si deve purificare, deve fare delle preghiere, indossare l’abito spirituale più puro»169. A Londra, addirittura rimpiangono di non avere un altro Gandhi sotto mano in Palestina.

Londra e il viceré concludono che bisogna per prima cosa parlare con Gandhi a Delhi, poi, a seconda della sua reazione, convocare tutti i personaggi più influenti del paese a Londra per giungere a un accordo su un’evoluzione (minima, ovviamente) dello statuto del Raj.

Il 17 febbraio 1931 Irwin, a due mesi dallo scadere del suo mandato, fa liberare Gandhi dopo due mesi di prigione. Lo invita dunque ad alloggiare per negoziare nel suo nuovo palazzo neoclassico, costruito da Edwin Lutyens a Delhi, in fondo alla strada che porta ai ministeri del Raj. Gandhi accetta. Perché si trovi bene, Irwin ha fatto venire Mirabehn a occuparsi della cucina per il Mahatma. Una situazione insolita: l’ex prigioniero e il suo carceriere si incrociano ogni giorno nel magnifico palazzo. In tre settimane fanno otto riunioni di lavoro e trattano le basi di una riforma delle istituzioni indiane. Gli altri leader del Congresso (in primo luogo Nehru e Subhas Bose), ancora reclusi, si infuriano, tanto più che Gandhi non pensa nemmeno per un istante di farli partecipare ai colloqui: l’India è lui.

A Londra, Churchill, allora all’opposizione, è altrettanto furioso:

È sconsolante, anzi nauseabondo, vedere un avvocato fallito, che adesso si atteggia a fachiro di un genere ben noto in Oriente, divorare seminudo, a grandi falcate, le scale del palazzo del viceré per negoziare da pari a pari con il rappresentante del re-imperatore, mentre contemporaneamente fomenta e dirige una campagna di provocazione per la disobbedienza civile.25

Non si potrebbe fare descrizione più esatta della situazione. Perché, almeno ufficialmente, la campagna di disobbedienza civile continua.

Il 5 marzo a mezzogiorno, il «fachiro seminudo» e il «rappresentante del re-imperatore» firmano quello che sarà chiamato Patto di Delhi: il governo britannico libera 88.000 prigionieri politici e autorizza la produzione di sale marino da parte degli indiani in cambio di una sospensione del movimento di disobbedienza civile e della fine dell’incitamento alla diserzione dei soldati e dei funzionari; la questione della futura costituzione è rinviata a una “conferenza della tavola rotonda” indetta a Londra per il mese di settembre. Nient’altro.

Liberati, Nehru, Ambedkar, Subhas Bose e altri esplodono di collera: Gandhi ha ceduto su tutta la linea! Non ha ottenuto niente circa lo status dell’India, eccetto quella questione del sale che doveva avere una portata puramente simbolica e che è diventata il suo unico obiettivo! Come in Sudafrica, in diverse occasioni, Gandhi si è fatto abbindolare; tutti sanno che un movimento di disobbedienza civile non può essere “sospeso”: o va avanti, o si blocca una volta per tutte. Ancora una volta, Gandhi ha creduto alla buona fede degli inglesi. Tanto più che il viceré, ex governatore di Bombay e poi del Canada, Lord Willingdon, che succederà a Irwin, non viene affatto per negoziare.

Provato dalla morte del padre, Jawaharlal Nehru ritiene che Gandhi sia diventato molto “ingombrante”119. Qualcuno arriva anche a mormorare che si debba escludere il Mahatma dal Congresso. Ambedkar, che constata a sua volta il fallimento della campagna per l’ingresso nei templi, vuole radicalizzare la battaglia degli intoccabili. Patel, il fedele secondo, difende Gandhi meglio che può; organizza la sessione del Congresso per nominare, a fine marzo, i rappresentanti da inviare alla tavola rotonda di Londra. Molte persone per le strade di Bombay manifestano contro Gandhi, il quale ignora superbamente queste critiche e avverte che lascerà in Congresso se il “suo patto” non viene da quest’ultimo ratificato. Anzi, il 19 marzo, dichiara che intende essere il solo rappresentante del Congresso a Londra. Non vuole nessuno accanto a lui, tranne qualche assistente:

Le organizzazioni smantellate avranno appena avuto il tempo di ristrutturarsi. I delegati, la metà dei quali saranno appena usciti di prigione, non avranno avuto neanche il tempo di riprendersi. Il Congresso ne uscirà comunque con un prestigio mai raggiunto prima d’ora, cosciente che esso viene dalla sua potenza nata dalle sofferenze patite da decine di migliaia di uomini, donne e bambini, vittime indubbiamente senza uguali della Storia, nel senso che essi hanno sofferto senza compiere rappresaglie...169

Incapaci di resistere all’incredibile ascendente del Mahatma, gli altri accettano di mandarlo da solo a Londra. Errore grossolano: si troverà smarrito in mezzo ai rappresentanti di un’infinità di principati, partiti, gruppi di pressione e amministrazioni e non riuscirà a far sentire abbastanza la voce di un’organizzazione che rappresenta l’India intera.

Difendere un terrorista...

Nel frattempo Bhagat Singh, che due anni prima ha fatto esplodere una bomba innocua nei corridoi della camera del Consiglio, a Delhi, gridando «Inqilab zindabad!», ha esaurito tutti i possibili ricorsi: la sua condanna all’impiccagione è ormai definitiva. Ha fatto uno sciopero della fame di 63 giorni per ottenere lo status di prigioniero politico, il diritto di leggere i giornali e di essere fucilato da un plotone di esecuzione; in prigione ha scritto Why I am an Atheist. Il 20 marzo Gandhi va a perorare la sua causa da Irwin, il viceré uscente. Pensa che il suo carisma la spunterà. Dopo tutto, il viceré ha appena fatto liberare 90.000 persone e ha commutato diverse condanne a morte. Gandhi spiega che bisogna graziare quel giovane di ventiquattro anni. Irwin racconterà in seguito:

Ascoltando Gandhi che mi esponeva la sua richiesta di commutazione, io riflettei prima di tutto sul significato che poteva avere, per il paladino della nonviolenza, il fatto di difendere così seriamente la causa di persone dalle convinzioni tanto lontane dalle sue, ma ho voluto evitare qualsiasi considerazione politica e non ho visto caso in cui, secondo la legge, la pena fosse stata più meritata.169

Il viceré non cede. Singh e due dei suoi compagni sono impiccati tre giorni dopo. Il giorno stesso, le sue spoglie sono trasportate in aereo e incenerite nel villaggio di Hussainiwala, sulla riva del fiume Sutlej, nello Stato del Punjab. Gandhi scrive: «A memoria d’uomo, nessuna vita sarà più romantica di quella di Bhagat Singh»169.

Tre segnali negativi per le negoziazioni che stanno per avviarsi. Da morto, Bhagat Singh diventa un eroe per il paese intero: una sorta di alternativa a Gandhi, il quale comunque accetta di partire per Londra e negoziare con i suoi assassini. Molti giovani nazionalisti non perdoneranno mai al Mahatma di non aver osservato un periodo di lutto per Bhagat Singh come aveva fatto per Gokhale.

È anche un segnale negativo per il Congresso che, due giorni dopo quest’impiccagione, il 25 marzo 1931, a Karachi, nell’ex Beluchistan, concede un sostegno massiccio al Patto di Delhi e nomina all’unanimità Gandhi per rappresentarlo, da solo, alla tavola rotonda di Londra a settembre. Unità di facciata, perché dietro le quinte Subhas Chandra Bose e Jawaharlal Nehru sono radicalmente ostili a queste trattative e decisi a non accontentarsi dei loro risultati, che prevedono trascurabili.

Una star a Londra

Gandhi non si preoccupa più di tanto. Si ripropone di arrivare personalmente a un accordo significativo con Ramsay MacDonald, come ha fatto con Irwin. Il 30 aprile espone su «Young India» una curiosa tattica di negoziazione: «Come satyagrahi, io credo all’assoluta efficacia della capitolazione completa. Se gli inglesi abbandonassero la baionetta per vivere tra noi in tutta semplicità e amicizia, io parlerei volentieri in loro favore. La legge della capitolazione e della sofferenza è universale, senza alcuna eccezione»169.

Non si può dire che all’epoca la nonviolenza fosse la regola dei potenti, inglesi o francesi che fossero: come Bhagat Singh, il segretario generale del Partito Comunista indocinese, Tran Phu, è arrestato e giustiziato in un carcere francese. Oltre 10.000 altri prigionieri dell’”anno del terrore rosso” sono ammassati a Poulo Condor, un arcipelago al largo di Saigon, e molti vi moriranno17.

Il 29 agosto Gandhi si imbarca sul piroscafo Rajputana diretto a Marsiglia con Mirabhen, molte altre ragazze, qualche collaboratore, tra cui Mahadev e Pyarelal, diventati i suoi più stretti consiglieri e segretari e... una capra, di cui beve il latte! Giornalisti e curiosi non perdono un secondo della traversata. L’11 settembre sbarca a Marsiglia (il viaggio dura ormai tredici giorni, cioè quattro volte meno rispetto alla sua prima traversata). Il 12 arriva in treno a Boulogne-sur-Mer e il 13 a Folkestone. A ogni fermata c’è la stampa e una folla enorme lo applaude. Indossa sempre solo una dhoti, nonostante il freddo, e a Londra dichiara ai numerosissimi giornalisti che lo accolgono e lo assillano che i colori sono solo delle «terribili macchie»!

Gandhi scopre poi che Ramsay MacDonald ha altro da fare che negoziare faccia a faccia con lui. La Gran Bretagna ha deciso di abbandonare il sistema aureo e concedere dei poteri ai dominion: l’Impero ormai non è più l’Impero. Deve perciò constatare che, mentre è lì da solo a rappresentare la prima forza politica dell’India, attorno alla tavola ci sono 23 rappresentanti dei principati, 89 dell’India britannica e 20 alti funzionari inglesi risoluti a coltivare le divergenze tra hindu e musulmani, e tra i principi e le minoranze. Gli inglesi non sono disposti a concedere altro che il rafforzamento dei governi locali, che tratteranno solo, come dopo il 1923, i problemi economici e sociali, e a integrare nelle due camere centrali i principati, fino a quel momento esclusi dal sistema legislativo; la maggior parte del bilancio, cioè quello militare e amministrativo, resterebbe posto sotto il solo controllo del viceré. Niente di davvero nuovo.

All’apertura, Gandhi ritrova il suo amico Birla, l’industriale di Delhi, venuto in qualità di rappresentante del mondo degli affari. Gandhi non parla nemmeno alla seduta d’apertura, che però è particolarmente seguita dai media, perché questa si svolge di lunedì (giorno in cui lui osserva il silenzio), scelto apposta per non dargli spazio. Il 22 settembre conosce Charlie Chaplin, allora a Londra al termine di una tournée mondiale per presentare Le luci della città, nel momento in cui il cinema diventa sonoro. Il 25 rivede l’ex viceré Lord Irwin, tornato nella capitale britannica, a Eaton Square. Il 29 si intrattiene con l’Agha Khan III, capo ereditario della comunità ismaelita. Il 10 ottobre conferisce con il capo del Partito Laburista, George Lansbury. Poi scappa di nuovo: il 18 va a incontrare gli operai del Lancashire e parla loro dell’arcolaio; quando passano in auto davanti a Milton Heath dove Mirabehn viveva da bambina, questa rifiuta di fermarsi: lei non ha più a che vedere con Madeleine Slade.

Le trattative languono. A novembre, a causa di queste palinodie, alcuni giovani nazionalisti indiani vanno a parlargli di Bhagat Singh. Lui si infuria: non cercherà di ottenere l’indipendenza con la forza. «Ripeterò finché è necessario al mondo intero che non pagherò la libertà del mio paese sacrificando la nonviolenza. La mia unione con la nonviolenza è così assoluta che preferirei suicidarmi piuttosto che deviare dalla mia posizione»169.

Tuttavia trascura le trattative. Accetta di posare per uno scultore. Il 21 novembre, pronuncia un discorso davanti all’Associazione Vegetariana di Londra che l’aveva accolto durante il suo primo soggiorno: «Se qualcuno mi dicesse che morirei se non mangiassi uno spezzatino di pecora o di mucca o del manzo lesso, anche se si trattasse di un parere medico, io sceglierei la morte. Tale è la base del mio vegetarianesimo»169.

Alla fine di novembre, furioso, sente che gli inglesi lo hanno imbrogliato: lui si è fatto abbindolare; dovrà cercare di rilanciare il movimento di disobbedienza civile che ha interrotto, ma, per adesso, non ne fa parola. Decisamente, come ha scritto nel 1911: «L’Occidente non vale niente». Quando un giornalista gli domanda: «Signor Gandhi, cosa ne pensa della civilizzazione dell’Occidente?», lui risponde con malcelato astio: «Sarebbe un’ottima idea».

La capra da Mussolini

Il 5 dicembre infine lascia l’Inghilterra, con la rabbia nel cuore. La tavola rotonda ha partorito solo una riforma ridicola che rinforza i poteri delle autorità locali. Come mantenere dunque le grandi promesse dell’inverno del 1930 e onorare quella bandiera issata un po’ troppo in fretta?

In India, i movimenti di disobbedienza civile riprendono lentamente. A Guruvayoor, nel Kerala, è organizzato un satyagraha per aprire la città agli intoccabili. Invano. In generale, il ruolo di Gandhi alla conferenza di Londra è percepito come «una sciagurata farsa».

Sulla strada del ritorno, Gandhi passa il 5 e il 6 dicembre a Parigi, torna a Notre-Dame, visitata quarant’anni prima; tiene una conferenza da Louise Guieyesse, fondatrice di un’Associazione Francese degli Amici di Gandhi: «Mi sembra che la battaglia dell’India per la propria indipendenza sia qualcosa che ogni francese dovrebbe comprendere. Questo paese di 250 milioni di abitanti, cioè un quinto dell’umanità, tenta di ottenere la sua libertà con mezzi totalmente estranei alla violenza»169.

Il 7 dicembre 1931 parte per la Svizzera, invitato a parlare a Losanna davanti a un’assemblea di funzionari internazionali, ma non è autorizzato a esprimersi a Ginevra nell’aula della Società delle Nazioni, di cui gli inglesi hanno reso l’India un membro fantoccio: offrirgli una tribuna del genere è fuori questione!

Poi sale a Villeneuve, per incontrare Romain Rolland che vive a Villa Olga dal 1914. Arriva l’8 dicembre. Rolland gli parla per un’ora e mezza del declino morale dell’Europa e discute con i suoi compagni di viaggio. Miss Slade si ricorda che è proprio in quella stanza che ha sentito parlare per la prima volta di Gandhi. E poiché lei un tempo era andata a parlare a Rolland di Beethoven, questi si mette al pianoforte ed esegue per lei l’Appassionata. Mahadev e Pyarelal sono commossi. Reazione di Gandhi, il giorno dopo: «Deve essere bella, se lo dite voi!»36. Romain Rolland vorrebbe convincerlo a esortare all’insubordinazione e allo sciopero fiscale in ogni Stato in guerra, ma soprattutto a denunciare i regimi e i movimenti fascisti più che le democrazie, anche se esse possiedono delle colonie. Gli spiega il suo punto di vista di democratico europeo: «Vedete, il fascismo è un pericolo ben più grave del colonialismo. Noi dovremmo fare fronte comune con i comunisti e l’Unione Sovietica contro i fascisti e i nazisti»54.

Gandhi non è interessato a questi argomenti. Per lui, il fascismo, che non ha ramificazioni in India, non è particolarmente condannabile. Al contrario del comunismo, che in India è presente: «Io non ho niente contro la teoria o, se vogliamo, la filosofia del socialismo. Ma il loro programma, per come è formulato qui, in Europa, non si può realizzare senza la violenza. I socialisti d’Europa [...] prenderebbero senza esitare le armi se pensassero di avere una possibilità di accedere così al potere»169. E questo lui non lo vuole.

Rolland gli risponde che pensava che, per Gandhi, i mezzi compromettessero il fine, e che usare la violenza non potesse servire una causa nonviolenta. Questo dunque avrebbe dovuto spingerlo a denunciare i fascisti. Ma, rivela Gandhi a un Rolland costernato, lui intende approfittare del suo soggiorno in Europa per andare a Roma a rendere visita al papa e a Mussolini. Lo scrittore protesta: perché andare a trovare un fascista? Gandhi insiste: tutti possono essere persuasi, o piuttosto tutti possono essere utili alla causa dell’India54. E poi, aggiunge, anche Tagore ha incontrato Mussolini! Sì, ribatte Rolland, ma era il 1926; non si sapeva molto del fascismo; inoltre, in un articolo sul «Manchester Guardian», Tagore in seguito ha ammesso il suo errore. Rolland lo supplica di non lasciarsi incantare da quegli italiani indianisti che fanno di tutto per avvicinare a Mussolini l’élite dei nazionalisti del Congresso. Non deve andarci! Gandhi non lo ascolta.

Il 12 dicembre è a Roma. Pio IX rifiuta di riceverlo, perché «non è abbigliato in modo conveniente». Il Duce invece lo accoglie sfarzosamente e lo fa accompagnare per tutto il tempo da una schiera di giovani fascisti entusiasti e di fotografi. A piazza Venezia, in mezzo alla folla accalcata per vederlo affacciarsi al balcone del palazzo del Duce, la figlia di Tolstoj grida il suo nome. In seguito lo incontra e gli offre un toccante ritratto del padre seduto nel suo studio, che lei ha appena eseguito. Quella sera stessa, Mussolini dà un concerto in onore di Gandhi a Villa Torlonia. L’indomani, prima di lasciare la città eterna, Gandhi confida a un giornalista italiano che al suo ritorno in India rilancerà fortemente la disobbedienza civile. Per quanto poi cerchi di smentire, il giornalista conferma le sue dichiarazioni e il viceré, venutone a conoscenza, freme di rabbia.

Al ritorno da questa tournée “trionfale” in cui manca solo il futuro cancelliere Hitler, già a pochi passi dalle stanze del potere, un giornale londinese, lo «Star», pubblica una caricatura raffigurante Gandhi seminudo accanto a Mussolini, Hitler, De Valera e Stalin, con indosso rispettivamente camicia nera, marrone, verde e rossa, e la didascalia: «Gli manca solo la camicia».

Questo viaggio è disastroso per la sua immagine in Europa e in America. Il mondo capisce che all’eroe della “marcia del sale” non interessa nient’altro che l’indipendenza del suo paese.

Ritorno a Yerawada

Il 14 dicembre 1931 Gandhi riprende la nave per Bombay, dove sbarca il 28. Alloggia al 19 di Laburnum Road, dove ritrova, al primo piano, la grande stanza in cui ama riposarsi, scrivere e filare. Si rende conto che la situazione è cambiata: è partito per l’Europa da eroe nazionale, coccolato da un viceré uscente, sostenuto dai suoi amici; torna screditato, abbandonato dai suoi seguaci, perseguitato da un nuovo viceré, il marchese di Willingdon, che si vanta di poter assicurare a modo suo «il ripristino della pace in sei settimane».

Infatti il 4 gennaio 1932, cioè meno di una settimana dopo il suo ritorno, Gandhi è arrestato con Patel, sempre sulla base dell’articolo 25 della legge speciale del 1827, e detenuto nella prigione di Yerawada per aver dichiarato che avrebbe rilanciato la disobbedienza civile. Separata dal marito per i quattro mesi del suo soggiorno in Inghilterra, Kasturba lo perde di nuovo sette giorni dopo averlo rivisto. Nello stesso periodo vengono arrestati moltissimi leader e militanti. Quasi tutti quelli che sono stati appena liberati da Irwin sono rispediti in prigione da Willingdon. In tutto 14.803 persone sono arrestate solo nel mese di gennaio del 1932.

Prima di tornare in prigione, Gandhi autorizza suo figlio Devdas a sposare Lakshmi Rajagopalachari (dopo aver consultato anche il padre di lei). Ma anche Devdas viene arrestato e incarcerato a Gorakhpur, nell’Uttar Pradesh orientale. Si ammala gravemente di tifo e le lettere del padre non gli vengono consegnate, dato che i censori non capiscono il gujarati. Mirabehn, arrestata a sua volta, dapprima è detenuta nel carcere di Arthur Road, poi raggiunge il Mahatma a Yerawada. A marzo arriva pure Desai, trasferito da un’altra prigione. Un ex membro dell’asram di Sabarmati, studioso di sanscrito, Parchure Shastri, malato di lebbra, si trova anche lui a Yerawada37. Questi riferisce a Gandhi che l’asram che lui ha lasciato in grande fermento per la “marcia del sale” è ormai vuoto; i mobili sono stati confiscati dagli inglesi per il rifiuto degli abitanti di pagare alcune tasse. Non si tratta di un caso isolato: migliaia di persone in tutta l’India hanno perduto i loro beni109. Come ogni volta che Gandhi si trova in prigione, il governo sorveglia rigorosamente le sue conversazioni e la sua corrispondenza; i giornali non hanno il permesso di diffondere informazioni sulle sue azioni e le sue gesta, né di pubblicare sue foto.

Il viceré si esalta e promette a Londra che farà dimenticare il nome di Gandhi. A Yerawada, i tre compagni di cella si annoiano. Adottano la gatta della prigione e i suoi cuccioli. Patel fabbrica buste da lettera e insegue la carta inutilizzata «con la concentrazione del gatto che insegue il topo»37, scrive Desai sul suo diario (14 giugno). Gandhi scrive History of the Satyagraha in South Africa173 (Una guerra senza violenza: la nascita della nonviolenza moderna), in cui espone i voti e le regole di vita di quella comunità (verità, nonviolenza, celibato, rinuncia alla proprietà, rifiuto dell’intoccabilità, coraggio). A Srinivasa Sastri, che in una lettera gli domanda se la solitudine non lo deprima, Gandhi risponde che il “Sardar” Vallabhbhai (Sardar significa ‘comandante’) è al suo fianco e le sue battute lo fanno morire dal ridere diverse volte al giorno154.

Poi, lunatico come sempre, l’11 giugno Gandhi si mette a parlare della propria morte, «da un giorno all’altro». Patel lo riprende: «No, no, non ci lasciare in un momento di difficoltà. Conduci la nave fino a riva, e poi vai dove vuoi. E io ti accompagnerò. Non te ne devi andare prima dell’indipendenza. Dopo, partiremo insieme...»37. Grazie a un telescopio prestato da Lady Thackersey, vicina della prigione, Gandhi studia le costellazioni. «Le stelle ci rivolgono discorsi silenziosi. È una santa compagnia» (1° luglio). Immagina che gli umani sbarchino su altri pianeti e scrive a Kalelkar, ridivenuto decano dell’università di Ahmedabad: «Senza dubbio, una volta che saremo in grado di raggiungere i pianeti e le stelle, faremo la stessa esperienza del bene e del male di quaggiù, sulla Terra. Ma l’influenza pacificatrice della loro fredda bellezza è davvero divina [...]. Tutti questi sogni hanno fatto di me un ardente contemplatore degli spazi infiniti...»37. Gandhi si accosta all’urdu e impara il sanscrito «con la rapidità di un cavallo arabo» (28 agosto).

Intanto, gli arresti non cessano: 17.818 a febbraio, 6.909 a marzo, 5.254 ad aprile, 3.818 a maggio, 2.791 a settembre. Il movimento è di nuovo soffocato. L’“armatura d’acciaio” resiste. Il popolo indiano non si solleva in massa. Gandhi capisce che, ormai, basterà che lui dica che progetta una campagna perché decine di migliaia di persone siano spedite in prigione senza processo. Questo tuttavia non basta a far crollare l’Impero.

L’ahimsa: un’etica indispensabile all’indipendenza

In questo inizio degli anni Trenta, Gandhi riflette sulla sua dottrina. Finora si è accontentato di elencare gli atti che lui condanna politicamente come «peccati». Come ad esempio sedere nei consigli municipali creati dagli inglesi, studiare in un’università di lingua inglese, fare il giudice o anche l’avvocato in un tribunale coloniale, vestirsi all’occidentale e prestare servizio nell’esercito o nell’amministrazione dell’Impero. Questa non è un’analisi sufficiente. Deve affinare questa critica morale, e in particolare precisare il termine ahimsa che gli viene dai giaina: «non-desiderio di fare violenza». Gandhi crede che l’ahimsa permetta di far trionfare la verità tramite l’autosacrificio; è il rifiuto dell’odio del nemico. In assenza di termini migliori in inglese, parla di «nonviolenza costruttiva».

Per lui, questa riforma morale di sé diventa più importante ancora dell’indipendenza. Prima di lottare per l’indipendenza, l’India deve, secondo lui, ritrovarsi, affinché essa non sia una vana illusione. Nel suo vocabolario, l’ahimsa (nonviolenza) conta ormai di più dello Hind swaraj (indipendenza). Non insegue più solo la libertà, ma un’utopia morale.

Scrive infatti: «La vera democrazia [swaraj delle masse] non potrà mai essere ottenuta con mezzi sleali e violenti [...]. Un regime di libertà individuali [...] può vedere la sua piena fioritura solo quando regna l’ahimsa allo stato puro»173. Poi rilegge un testo scritto dieci anni prima: «La nonviolenza perfetta è l’assenza totale di malvagità nei confronti di tutto ciò che vive [e ancora di più], nella sua forma attiva, la nonviolenza si esprime con la benevolenza verso tutto ciò che vive»169. Questo ormai gli pare insufficiente: la nonviolenza non è il semplice rispetto giaina della vita, è anche l’accettazione della sofferenza. «Nessuno si è mai elevato senza essere passato per il fuoco della sofferenza [...]. Il progresso consiste unicamente nel purificare la sofferenza evitando di fare soffrire»169. Intende dunque accingersi a insegnare agli indiani non a conquistare il potere, ma a rinunciarvi e ad accettare di soffrire per essere davvero liberi. Ormai si percepisce come una guida spirituale, non più come un leader politico. In particolare, non può immaginare un’India indipendente in cui musulmani e hindu si uccidano tra loro e dove gli intoccabili restino degli emarginati. Queste due battaglie gli sembrano ormai essenziali, addirittura un presupposto fondamentale all’indipendenza. Su questo punto non cambierà opinione fino al suo ultimo respiro.

Difendere gli intoccabili loro malgrado

Ben presto gli si presenterà l’occasione di passare ai fatti. Il 20 settembre 1932, mentre si avvicinano le elezioni locali previste dalla tavola rotonda del 1931 e Gandhi è ancora in prigione, il viceré, i pochi leader del Congresso ancora in libertà e i capi degli intoccabili giungono a un accordo su una base già suggerita dagli inglesi nella prima tavola rotonda del 1930 a Londra: uno statuto elettorale separato è concesso agli intoccabili. Gandhi protesta: perché accettare di ratificare così la discriminazione degli intoccabili? Non avendo altro mezzo per protestare dalla sua cella, decide di intraprendere un digiuno illimitato.

Nehru e Subhas Bose, come Ambedkar, leader degli intoccabili, trovano assurdo questo sciopero della fame. Ambedkar va a trovare il prigioniero nella sua cella e l’esorta a mettervi fine. Gandhi gli risponde sorridendo: «Se la mia vita vi interessa, sapete cosa bisogna fare per risparmiarla». Ambedkar è fuori di sé: se cede, fa marcia indietro; se persiste, uccide Gandhi. Non sa che fare154. Il 27 settembre, dopo sette giorni di sciopero della fame, Gandhi lancia anche una «settimana per l’abolizione dell’intoccabilità». L’indomani, Ambedkar gli invia un famoso intoccabile, Palwankar Baloo, campione di cricket. Niente da fare. Il paese intero segue col fiato sospeso questo sciopero della fame di cui la radio parla senza sosta. Il 29, dopo nove giorni di digiuno, quando i medici lo danno per spacciato, Ambedkar rinuncia al voto separato in cambio dell’impegno preso da Gandhi, senza neanche consultare i membri del Congresso, di fare riservare dei seggi per candidati intoccabili. Gandhi interrompe il suo sciopero della fame.

Anche nelle campagne più sperdute, è un’emozione senza precedenti. Alcuni templi aprono l’accesso agli intoccabili, donne di alte caste accettano pubblicamente cibo dalle loro mani. Nehru denuncia con forza quest’accordo da cui il Congresso è stato escluso e invia a Gandhi una lettera «decisamente furibonda»89.

Il 13 ottobre, mentre il governo inglese concede l’indipendenza all’Iraq, a Delhi il viceré osserva, trionfante, in un’intervista: «Diciassette mesi fa, quando sono arrivato, era il caos. Posso garantire che le condizioni di oggi sono cento volte migliori e mi spingo oltre: affermo che il popolo indiano è cento volte più felice»109. Avrebbe potuto aggiungere che è riuscito, come gli inglesi amano tanto fare da un secolo a quella parte, a seminare la discordia tra i notabili del subcontinente.

Nel dicembre 1932, alcuni lettori di «Navajivan» e «Young India» protestano perché Gandhi li chiama «intoccabili». Dalla prigione, lui chiede suggerimenti per trovare un altro termine. Un lettore suggerisce una parola (“harijan”, i ‘figli di Dio’) usata da un poeta gujarati del XV secolo, Narsingh Mehta, nel suo poema Vaisnava jan to tene kahiye. Gandhi accetta. D’ora in poi li chiamerà solo così, anche se molti protestano, dicendo che la parola designa già i figli delle prostitute dei templi...

In questo periodo, gli inglesi continuano a elaborare il loro progetto di riforma costituzionale ispirato dalla tavola rotonda dell’anno precedente, volto a rinforzare un po’ le autorità locali. Il progetto è sottoposto a un Joint Committee on Indian Constitutional Reform, ma è di nuovo boicottato dal Congresso o piuttosto da ciò che ne resta.

In Palestina una manifestazione contro la presenza britannica provoca una trentina di morti. David Ben Gourion, leader del comitato esecutivo dell’Agenzia Ebraica per la Palestina, favorevole al riconoscimento dei diritti politici agli arabi in cambio della libertà di immigrazione, ha contatti personali con diverse personalità palestinesi, in particolare Shakib Arslan.

Intanto, in India, il viceré permette a Gandhi di lanciare, dalla sua cella, una campagna in favore degli intoccabili, che sta preparando fin dalla sua precedente detenzione. L’11 febbraio 1933, il Mahatma riceve l’autorizzazione a far uscire un nuovo giornale in inglese, lo «Harijan», che è ben presto accompagnato da «Harijanbandhu» (in gujarati, ‘Amici degli Harijan’) e da «Harijan Sevak» (in hindi, ‘Servo degli Harijan’). Ambedkar declina la proposta di Gandhi di scrivere l’editoriale del primo numero. Per lui «solo l’abolizione del sistema delle caste metterà fine agli intoccabili; ci sono dei fuori casta perché ci sono delle caste». Gandhi, che non è contrario al sistema delle caste, firma di persona l’editoriale sul digiuno che ha appena osservato: «Il digiuno è un’istituzione molto importante dell’induismo, come forse per nessun’altra religione, e credo che non ci sia preghiera senza digiuno né digiuno senza preghiera. Il mio digiuno era la preghiera di un’anima sofferente»169.

Tutti allora si coalizzano contro di lui: Nehru, appena tornato da un breve viaggio in Europa (per farvi curare la moglie), Subhas Bose (partito per curarsi a Vienna) e Ambedkar. Come può lui agire così e scegliere come tema di lotta un soggetto di controversia tra hindu, invece di affrontare gli inglesi, e questo senza consultare nessuno? Il 12 febbraio, Ambedkar dichiara che «gli intoccabili se ne infischiano di poter entrare in un tempio!». Gandhi risponde con flemma: «Invito il dottor Ambedkar a disfarsi della sua amarezza e della sua collera e a cercare di imparare le bellezze della fede dei suoi antenati. Che non sia blasfemo contro l’induismo prima di averne fatto uno studio oggettivo; se in esso non trova sostegno nel suo sconforto, allora lo abbandoni»54. Il 16 febbraio, Gandhi dichiara a Patel e Desai che non si può lasciare che «milioni di harijan pensino di essere abbandonati». Il 15 aprile 1933, scrive su «Harijan»: «Ciò che è necessario non è tanto l’ingresso degli harijan nei templi quanto la conversione degli ortodossi alla convinzione che è sbagliato impedire agli harijan di entrare nei templi [...]. Un tale appello può essere lanciato solo con le preghiere, col digiuno e le sofferenze di coloro che lo lanciano»169.

Preoccupato, Desai lo mette in guardia: «Rischiamo di trovarci tra due fuochi: gli ortodossi hindu e i seguaci di Ambedkar»54, e consiglia di «lasciarli accapigliare tra loro»36.

Gandhi morirà quattordici anni più tardi per non aver seguito questo consiglio di Desai.

Rottura con il Congresso

Le cose tra Gandhi e il Congresso non funzionano decisamente più. E poiché il movimento di disobbedienza civile languisce, lui decide, ancora una volta senza consultare nessuno, di intraprendere un nuovo sciopero della fame: il 7 maggio, mentre in Germania Hitler è cancelliere del Reich dal 30 gennaio e mentre un gruppo di studenti propone di creare un paese musulmano nell’India del Nord che abbia nome Pakistan (‘terra dei puri’), Gandhi inizia senza preavviso un nuovo digiuno che durerà ventuno giorni55. Questo digiuno di «purificazione di sé» ha come unico scopo quello di fare pressione su se stesso:

Quella notte sono andato a dormire senza avere la minima idea che l’indomani avrei iniziato un digiuno. Verso mezzanotte, qualcosa mi ha svegliato all’improvviso, poi una specie di voce (dall’interno o dall’esterno, non lo saprei dire) ha mormorato: «Devi fare un digiuno». «Di quanti giorni?», ho domandato. La voce si è levata di nuovo: «Ventuno giorni». «Quando devo iniziare?», ho chiesto io. Mi ha detto: «Comincia da domani». Mi sono riaddormentato dopo aver preso questa risoluzione.54

Il primo giorno di questo digiuno, detta una lunga dichiarazione in cui annuncia una nuova sospensione per sei settimane del movimento di disobbedienza civile che ha rilanciato al ritorno dall’Europa:

Le mie opinioni sulla disobbedienza civile non sono cambiate in nessun modo. Non ho che elogi per la bravura e lo spirito di sacrificio di molti resistenti civili, ma non posso fare a meno di aggiungere che la clandestinità che accompagna il movimento è stata fatale alla sua riuscita. Non c’è dubbio che la paura abbia raggiunto il popolo, le ordinanze l’hanno reso debole. [...] Ora vorrei lanciare un appello al governo. Se esso aspira davvero alla pace del paese, che approfitti di questa sospensione del movimento per liberare senza condizioni tutti i resistenti civili... Se c’è buona volontà da parte del governo, un modus vivendi si può trovare.54

E chiede ai resistenti così scoraggiati di impegnarsi nel «programma costruttivo» elaborato dal Congresso: «La mia dichiarazione trae ispirazione da una conversazione personale che ho avuto con i compagni e i soci dell’asram del satyagraha [...]. A un tratto, ho visto che dovevo per il momento restare il solo e unico rappresentante della resistenza civile in azione...»169.

In prigione, nella clandestinità o in esilio, i dirigenti del Congresso sono furiosi: ecco che, senza consultarli, il Mahatma dichiara la sospensione di un movimento di massa e lo sostituisce con un digiuno personale! Dall’Austria, Subhas Chandra Bose prende apertamente posizione contro di lui: «Gandhi ha fallito come leader politico ed è tempo di riorganizzare da capo a piedi il Congresso su basi nuove, con nuovi metodi e un nuovo leader»169. Jawaharlal Nehru, che trattiene a stento la collera, osserva che è «uno spettacolo inaudito quello che sta dando il leader di un movimento politico», ne prova una «fitta dolorosa» e sente che «il giuramento di alleanza che lo legava a Gandhi da molti anni si è spezzato del tutto»89.

Quella sera stessa, i medici avvertono Gandhi che, se si rimette a digiunare, rischia la vita: otto mesi prima, dopo una settimana di sciopero della fame, era sull’orlo della tomba. Che succederà dunque dopo ventuno giorni? Risposta. «Se Dio ha bisogno di servirsi del mio corpo, nemmeno un digiuno lo annienterà, e Lui farà comparire uomini e donne che sosterranno questo buon lavoro»109. Il viceré, a cui la sua morte non dispiacerebbe, preferisce comunque non rischiare che agonizzi in prigione e, il giorno stesso alle 21, lo rilascia senza condizioni insieme a tutti i suoi compagni, tra cui Patel, Kripalani, Chakravarti Rajagopalachari e altri... Ma Gandhi non interrompe il digiuno.

È condotto, per questa prova di ventuno giorni, a Parnakuti, nella sontuosa residenza di Lady Leelabai Thackersey, su una collina di Pune. Da lì invia un telegramma al viceré, chiedendogli di riceverlo per un colloquio che «permetta di esplorare le possibilità di pace»; naturalmente, Lord Willingdon rifiuta e gli fa mandare dal segretario privato una lettera molto inglese:

In risposta al vostro telegramma in cui sollecitate un’udienza, Sua Eccellenza mi ha pregato di rispondere che se le circostanze fossero state differenti, egli sarebbe stato lieto di ricevervi. Ma sembrerebbe che voi siate contrario all’abbandono senza condizioni della disobbedienza civile, e che desideriate un colloquio solo al fine di intavolare delle trattative.109

Niente bis del patto Gandhi-Irwin.

Il 14, dopo cinque giorni di digiuno, Gandhi cade in uno stato comatoso. Chakravarti Rajagopalachari, appena liberato, telegrafa a Vallabhbhai Patel, rimasto al capezzale di Gandhi: «È stupido pensare che Bapu potrà sopravvivere a questa prova; questa tragedia ci farà tornare tutti indietro, gli harijan e il paese». Patel risponde che «è ancora più stupido cercare di convincerlo a rinunciare». E infatti Gandhi prosegue il suo sciopero della fame. Shaukat Ali, il leader musulmano, manda anche lui un telegramma al vecchio amico. Niente da fare.

Il 28 maggio, alla vigilia del ventunesimo giorno, Nehru si forza e, malgrado la sua collera, gli manda pure lui un telegramma per supplicarlo di smetterla e gli espone la sua totale incomprensione in una frase che riassume il loro rapporto: «Che posso dire su un argomento che non comprendo? Io mi sento perso in una contrada straniera in cui voi siete l’unico punto di riferimento»154.

Il 29 maggio, alla data prevista, Gandhi interrompe il digiuno. La settimana seguente, mentre si rimette lentamente, i leader del Congresso vanno a trovarlo e a spiegargli che bisogna abbandonare definitivamente la disobbedienza civile. Per alcuni la sola soluzione è il ricorso alla violenza. Per altri è la via elettorale.

Intanto, Nehru scrive a sua figlia a proposito dell’accoglienza degli ebrei in Palestina e del riconoscimento da parte degli inglesi del loro diritto a stabilirsi lì: «Un fatto importante sembra essere stato occultato. La Palestina non era un territorio vergine [...]. Era già la casa di qualcun altro. Dunque, questo gesto generoso del governo britannico è stato effettuato a spese del popolo che viveva già in Palestina».

Quindici giorni dopo, il 16 giugno 1933, dopo cinque anni di attesa, Devdas, anche lui liberato, sposa Lakshmi, a casa di Lady Thackersey. Essendo i fidanzati di caste diverse, è un giovane religioso riformista, Laxman Shastri Joshi, a officiare davanti ai genitori dei due sposi e ai pochi invitati. Ancora debilitato, Gandhi si alza per benedirli, ma gli ci vogliono cinque lunghi minuti per trovare la forza di articolare le frasi che l’indomani lo «Hindustan Time» riporterà:

Devdas, tu sai quali speranze ripongo in te. Possa tu realizzarle... Chi avrebbe mai creduto che il vostro matrimonio si sarebbe tenuto sotto il tetto di un’anima pura come quella di Lady Thackersey? Chi avrebbe creduto che un uomo di grande saggezza e con un carattere così irreprensibile come Laxman Shastri sarebbe venuto a officiarlo? Oggi, tu hai rubato a Rajagopalachari un gioiello adorato. Abbine molta cura!55

Qualche giorno dopo, l’8 luglio, Gandhi pubblica su «Harijan» un bellissimo testo sul suo digiuno:

Questo digiuno è stata una preghiera ininterrotta di ventuno giorni di cui risento davvero gli effetti. Ora sono convinto che non ci sia preghiera senza digiuno, anche se quest’ultimo è molto limitato... L’integrazione completa della preghiera implica l’esclusione di ogni attività fisica affinché la preghiera invada la totalità dell’essere e che noi ci eleviamo, che siamo completamente distaccati dalle funzioni fisiche. Questo stato si può raggiungere solo con una crocifissione continua e volontaria della carne.169

Esiliato in Europa e sempre più radicale, Subhas Bose viene a sapere della morte di suo padre, ma è autorizzato a restare in India solo per poche ore senza nemmeno lasciare l’aeroporto di Calcutta, dove si svolge il rito funebre. Poi riparte per l’Europa, restandoci tre anni, principalmente in Germania, dove i nazisti hanno preso il potere. Questa permanenza avrà un’influenza considerevole sulla storia dell’India.

Un «asram nomade»

Gandhi è dunque libero, ma senza più mezzi per agire. Ha interrotto l’azione collettiva, sostituita da un digiuno personale senza impatto. Il 26 luglio è ad Ahmedabad a casa di amici, con Kasturba, quando viene a sapere che il Raj si appresta a confiscare Sabarmati, spogliata di tutti i mobili, dove lui non è tornato, come promesso, dalla “marcia del sale”; decide allora di chiudere definitivamente l’asram e scrive al rappresentante del ministro degli Interni nella provincia di Bombay per chiedergli di occuparsi della gestione della proprietà:

Ogni capo di bestiame, ogni albero ha la sua storia e dei legami sacri. Facciamo tutti parte di una grande famiglia. Quello che prima era un pezzo di terra nuda è diventato, grazie agli sforzi dell’uomo, un giardino abbastanza ampio da ospitare una colonia modello. Non è senza lacrime che ci accingiamo a disperdere famiglie e attività.169

Lo stock di khadi, i telai, i carkha dell’asram, il bestiame, le poche rupie che vi si trovano sono trasportati ad Ahmedabad a casa di amici. Le undicimila opere della biblioteca sono offerte al comune di Ahmedabad. A sessantaquattro anni, Gandhi chiude lui stesso quella che fu la sua casa per sedici anni, mentre in Sudafrica la fattoria Phoenix continua a vivere sotto la guida del suo secondogenito.

Adesso si aspetta da ogni ex residente dell’asram che «costituisca un asram nomade portando con sé la responsabilità di realizzare l’asram ideale [...] che sia in prigione o in mezzo alla natura». Lui stesso, instancabile, si trasformerà seduta stante in un «asram nomade»: il 30 luglio, informa il governatore di Bombay della sua intenzione di marciare da Ahmedabad a Ras, villaggio del Gujarat che ha molto sofferto durante il movimento di disobbedienza civile; conta di portare con sé 33 persone per rilanciare il movimento ma, questa volta, restringendolo a individui selezionati.

Sia il viceré che i leader del Congresso (per ragioni opposte) sono fuori di sé: il primo perché sperava che si occupasse solo di intoccabili e che non tornasse su ciò che aveva determinato il suo primo arresto; i secondi perché contavano che avesse capito l’inefficacia della disobbedienza civile.

Il giorno successivo è ancora una volta arrestato e spedito nella prigione di Yerawada; poi, tre giorni dopo, gli viene accordata la libertà vigilata sotto la tutela di Lady Thackersey. Lui infrange quell’ordine, è di nuovo fermato e, dato che il viceré ci tiene davvero a farlo tacere, questa volta viene condannato a un anno di carcere. Lui non si lascia abbattere: in un’altra prigione, il 16 agosto, inizia il suo terzo digiuno in meno di un anno perché il governo non gli concede le stesse agevolazioni accordategli a Yerawada per condurre la sua campagna in favore degli harijan!

Al sesto giorno di questo nuovo digiuno, è trasferito all’ospedale della prigione di Pune, poi rilasciato appena il suo stato diventa critico. Lui rifiuta di uscire, ma lo cacciano fuori: «Questa liberazione non mi rallegra, anzi mi disonora: io trascino i miei compagni in prigione, e poi ne esco a causa del digiuno!»109. A casa di Lady Thackersey si alimenta di nuovo, ma decide di considerarsi prigioniero fino alla fine della sua pena, cioè al mese seguente. È lì che apprende della morte del dottor Pranjivan Mehta che l’aveva così ben accolto al suo arrivo in Inghilterra, dove aveva conosciuto Rajchandra. E che in seguito aveva finanziato le sue attività dopo la creazione della fattoria di Phoenix.

La folle tournée

Nel vuoto dell’azione nazionalista, Gandhi non vuole fermarsi. Per mascherare questo vuoto e alimentare la dinamica della sua azione, intraprende una tournée pazzesca di oltre un anno, per raccogliere denaro per gli intoccabili. Va dapprima a Wardha dove annuncia che farà dono di una parte dei beni di Sabarmati a un fondo destinato agli harijan. Poi tiene una conferenza sull’intoccabilità al King Edward’s College di Peshawar e si lancia in collette in tutto il paese per alimentare questi fondi.

A ogni tappa, Mirabehn e Mahadev Desai, che l’accompagnano, gli preparano il letto e i pasti, lavano i suoi abiti, gestiscono la sua enorme corrispondenza, tengono i conti, studiano le carte e gli orari delle ferrovie per mettere a punto gli itinerari, prendono appunti di discorsi e conversazioni109. Ne viene poi fatto un resoconto settimanale per i lettori di «Young India» e «Harijan». Lui scrive soprattutto in viaggio, in uno scompartimento di terza classe appositamente risistemato, il che porta Sarojini Naidu a osservare in tono bonariamente ironico: «Bapu ci costa caro con il suo gusto della semplicità!». Gandhi continua a farsi massaggiare dalla dottoressa Sushila Nayar e da sua nipote Abha Gandhi; e queste a volte dormono con lui.

In dieci mesi, raccoglie poche migliaia di rupie, cifra che avrebbe potuto ottenere da un solo industriale. Ma la cosa più importante, per lui, più che il denaro raccolto, è il viaggio. A Malabar, una ragazza gli offre dei gioielli d’oro; lui le dice: «La tua rinuncia è un ornamento più vero di queste gioie da cui ti sei separata»109. Contratta con una donna: «Un braccialetto per un autografo!». Prende in giro gli abitanti di un villaggio, Telugu: «Suvvia, donate! Gli andhra non sono mica scozzesi!». «Ha un rimedio contro l’intoccabilità?», chiede al medico di un villaggio. In un altro, convince una parrucchiera, venuta tutta ingioiellata a raderlo, di donare alla causa i suoi monili54. Esorta gli hindu a liberarsi dai pregiudizi riguardo gli intoccabili, di aprire loro i templi e al contempo insiste con gli harijan perché dimentichino droga e alcol: «I templi sono fatti per i peccatori, non per i santi; ma chi giudicherà quale uomo è senza peccato?»54. Si fa beffe della superstizione che vuole che l’ombra o il contatto di un umano possano contaminarne un altro109. In certi villaggi, gli ortodossi organizzano delle contro-manifestazioni e tentano di impedirgli di tenere le sue riunioni109.

Il 15 gennaio 1934, mentre si trova nel Bengala, un terremoto di grado 8,4 sulla scala Richter scuote il Bihar, uccidendo 4.000 persone e distruggendo un quarto delle abitazioni. Gandhi sospende la tournée per accorrere sul posto. Una giornalista americana, Agatha Harrison, che lo accompagna, riferisce che quello che vede lì è «ancora più tremendo di quanto abbia visto in Giappone dopo il grande terremoto del 1923». Il carisma di Gandhi è ancora immenso: i senzatetto si affollano a migliaia lungo le strade per salutarlo; i villaggi in rovina sono decorati con archi di bambù e frasche. «Io non vedo mendicanti», dice loro. «Sarebbe vergognoso se questo terremoto ci trasformasse in accattoni»169. Una vittima gli chiede: «Il Dio che ci ha mandato questo terremoto è senza cuore?». «No! [...] Ma le sue vie non sono le nostre»109. Quando aggiunge che il sisma è la punizione per il peccato commesso dalle caste che non lasciano accedere gli intoccabili ai templi, Tagore si indigna: «Se il Mahatma imputa il terremoto al peccato di intoccabilità, i suoi avversari potranno asserire, al contrario, che il terremoto è una vendetta di Dio per l’eresia che lui stava predicando!». Gandhi gli ribatte103:

Per me, il terremoto non è un capriccio di Dio né la manifestazione di semplici forze cieche. Noi non conosciamo le leggi di Dio, né il loro meccanismo. Il sapere del più grande sapiente o filosofo è come una particella di polvere. Dio regola anche il minimo dettaglio della mia vita. Io credo che non cada una foglia senza che Lui lo voglia, ogni respiro che faccio dipende dalla sua benevolenza.169

A febbraio visita il Tamil Nadu, dormendo durante gli spostamenti in treno o in automobile. Quando, arrivando in una stazione dove c’è una folla assiepata ad attenderlo, Desai gli fa notare che la sua dhoti è macchiata, lui sparisce nella toilette e rivolta il vestito indossandolo con l’orlo inferiore attorno alla vita. Aggiunge poi, di sicuro non senza un sorriso: «C’è stato un tempo in cui, giovane studente a Londra, impiegavo dieci minuti per pettinarmi. Adesso mi basta mezzo minuto per tutta la toeletta»165. In totale, dal novembre del 1933 al marzo del 1934, Gandhi percorre 20.000 chilometri. Il 7 aprile 1934, mette un punto finale alla campagna di disobbedienza civile.

Primi attentati

A giugno, Gandhi digiuna a lungo per espiare il comportamento, che giudica spiacevole, di uno dei suoi compagni di viaggio nei riguardi degli intoccabili, senza farne il nome.

Il 6 giugno, il governo annuncia che, essendo la disobbedienza civile terminata, il Congresso è di nuovo legale. Per molti suoi membri è una magra consolazione in confronto ai sacrifici patiti. Jawaharlal Nehru si lamenta del suo «isolamento spirituale» e della scomparsa degli ideali del Congresso.

Il 17 giugno a Puri, nell’Orissa, Gandhi è aggredito e malmenato all’ingresso di un tempio; gli arriva voce che si preparano degli attentati contro di lui. Decide di continuare a girare a piedi per esporsi ancora di più ai nemici. «Io non cerco il martirio ma, se questo mi viene incontro mentre svolgo quello che reputo mio dovere supremo nella difesa della fede che condivido con milioni di hindu, l’avrò ben meritato»169.

Il 25, a Pune, mentre si reca in una sala municipale, lanciano una bomba contro il suo gruppo, ferendo 7 persone. Gandhi, uscitone incolume, esprime la sua «profonda pietà» per chi ha lanciato la bomba.

Quell’estate subisce altri due attentati. Gli ortodossi non accettano che difenda gli intoccabili.

L’India del polo e della caccia al cinghiale

Il Congresso prende le distanze dalla nonviolenza e dunque da Gandhi. Quindi si prepara senza di lui il prossimo incontro che deve svolgersi a Bombay. Jaya Prakash Narayan (“J.P.”) fonda un Partito Socialista che Gandhi descrive come un «gruppo di uomini impazienti». Bose e Nehru continuano a contrastarlo.

Gandhi ha paura del primo, che reputa incontrollabile, e gli preferisce il secondo, che, malgrado le divergenze, gli resta fedele sull’essenziale. Nehru non vuole altro che l’indipendenza. Gandhi vi aggiunge la sua utopia di una nuova società. Il 17 agosto gli scrive: «Io sono lo stesso che hai conosciuto nel 1917 e dopo. Ho sempre la stessa passione che sai per il bene comune. Voglio l’indipendenza completa del paese, nel pieno senso inglese del termine. Ogni risoluzione che ti rattrista è stata concepita per questo scopo. Ma riconosco che nessuno può sapere meglio di me quando è necessario prendersela comoda»154. Jinnah torna in India alla testa della Lega Musulmana.

A Londra, il Parlamento mette all’ordine del giorno la riforma, magro risultato della tavola rotonda: una maggiore autonomia alle province, un diritto di voto allargato. D’ora in poi, sostengono i suoi fautori, il 43 per cento degli uomini e il 10,5 per cento delle donne adulte dell’India britannica avranno diritto di voto. Il governo centrale e le due camere includeranno i principati, sinora esclusi dal sistema legislativo; accanto ai membri direttamente eletti, le due camere nazionali includeranno dei rappresentanti delle minoranze designate con suffragio indiretto, alcuni membri designati dai principi per circa un terzo dei seggi. Una parte sostanziosa del bilancio, cioè la spesa militare e amministrativa, resterà sotto il controllo esclusivo del viceré.

Per difendere le ragioni dei nazionalisti, Gandhi invia Mirabehn a compiere la prima missione diplomatica all’estero. A Londra, questa incontra Lloyd George, Lord Halifax, il generale Smuts, Sir Samuel Hoare e Winston Churchill. Mira va poi a New York, Philadelphia, Boston, Harvard e Washington, dove incontra Eleanor Roosevelt alla Casa Bianca.

Intanto Subhas Bose, anche lui a Londra, si intrattiene con i leader laburisti: George Lansbury, Clement Attlee, Arthur Greenwood, Harold Laski, John Burdon Sanderson Haldane, Ivor Jennings, George Douglas Howard Cole, Gilbert Murray e Sir Stafford Cripps. I conservatori hanno rifiutato di riceverlo. Lui spiega che il suo ideale è un governo sul modello di quello di Atatürk in Turchia. Gli inglesi non si fidano di lui e non lo autorizzano a recarsi in Turchia dove vuole incontrare il suo modello. Perciò va a trovare Romain Rolland, gli regala il suo nuovo libro, La lotta dellIndia, e cerca di convincerlo che la strategia del Mahatma è votata al fallimento. Rolland gli risponde che il Mahatma è «la luce più sicura, la più pura che brilli nel cielo buio dei nostri tempi... La stella che ci mostra la strada – la sola che resti aperta verso la salvezza». Rolland aggiunge che, anche se Gandhi si dovesse trovare in conflitto con la causa di lavoratori e operai, lui sarà «sempre col mondo del lavoro»137. E si spinge oltre: «Ho deciso che la nonviolenza non poteva essere il perno centrale di tutta l’azione sociale. È solo uno dei mezzi [sottolineatura di Rolland]»136.

Ricordando alla Camera dei Comuni il ruolo dei soldati indiani nella Grande Guerra, un deputato favorevole a una riforma più ampia esclama: «Eravamo andati a cercare quegli uomini per lottare per la libertà e il diritto dei popoli all’autogoverno. E oggi diciamo loro che sono incapaci di gestire i propri affari!». Sir Samuel Hoare, ministro dell’India del gabinetto britannico, si batte contro Winston Churchill, per il quale l’avvenire dei popoli dell’India sarebbe più al sicuro tra le mani degli amministratori britannici e per cui sia Gandhi che il Congresso devono essere schiacciati. Samuel Hoare, che diverrà Lord Templewood, dirà molto argutamente di Churchill:

I magnifici ricordi che serbava dell’Impero delle Indie l’avevano reso cieco ai cambiamenti intervenuti dall’epoca di Clive, Wellington, Lawrence e Kipling. L’India nella quale era stato con il IV Ussari, verso il 1890, era quella del polo e della caccia al cinghiale, dei raid impetuosi alle frontiere, di un governo paternalista liberamente accettato e della grande imperatrice bianca riverita come una misteriosa divinità...154

Il «programma costruttivo»

Il testo della riforma nata dalla tavola rotonda finisce per essere adottato dal Parlamento britannico e le elezioni in India sono programmate per il febbraio del 1937. Il 17 settembre 1934 il Congresso, d’accordo con Gandhi, esita a partecipare alle elezioni regionali e di gestire i comuni. Gandhi vuole affidare la presidenza del Congresso a Nehru: non che si fidi particolarmente di lui, ma vuole a ogni costo evitare Subhas Chandra Bose, di cui intuisce le tendenze sempre più autoritarie.

E poiché la disobbedienza civile attualmente è fuori questione, pensa a un’altra forma di azione: lasciando ad altri la lotta per un’indipendenza che non lo soddisfa se si limita semplicemente a importare lo stile di vita occidentale, lui vuole dimostrare che è possibile cambiare l’India in profondità, in particolare nelle campagne. Mentre gli altri leader si accontentano di elaborare piani per cambiare il mondo dalla loro scrivania, lui proverà a trasformarlo di persona. Non cerca di imporre una “società nuova”, un “uomo nuovo”, ma cercherà di diventarlo lui stesso e poi di convincere con la forza dell’esempio.

Molti lo tacciano di ingenuità. La sua ambizione è creare un’India nuova, semplice e frugale, dove ciascuno vivrebbe della tessitura della khadi, dove i villaggi sarebbero puliti e sani senza che ci fosse bisogno di sviluppare una medicina occidentale, dove la religione di ognuno sarebbe rispettata, dove gli intoccabili sarebbero integrati. Questa idea dell’India per lui conta di più dell’indipendenza. La battezza «programma costruttivo» e fonda a questo scopo, all’inizio di ottobre del 1934, un’Associazione Panindiana delle Industrie di villaggio, una Cooperativa per la khadi, e lo Harijan Sevak Sangh, associazione che si batte per l’abolizione dell’intoccabilità, ma senza intoccabili tra le sue file! Uno dei suoi compagni, Vinoba Bhave, crea contemporaneamente il Gram Seva Mandal (GrAm Seva MaCEal, ‘Circolo per il Servizio dei Villaggi’) che a sua volta si batte per abolire l’intoccabilità e diffondere la khadi nelle zone rurali. I suoi avversari lo accusano di voler «cancellare la distinzione tra la vita di un monaco e quella di un capofamiglia, facendo sì che tutte le persone comuni si comportino come dei monaci»74.

All’inizio dello stesso mese, il primogenito Harilal, che adesso ha quarantasei anni e che dalla morte della moglie, avvenuta quindici anni prima, non ha smesso di bere, di indebitarsi, di querelarsi con le cognate e di pubblicare sui giornali articoli contro il padre, gli scrive una serie di lettere nelle quali racconta che una delle sue figlie gli ha insegnato a filare il cotone e tessere la khadi54; vorrebbe iniziare una nuova vita, sistemarsi e risposarsi. Kasturba è scettica; Mohandas vuole credergli e gli risponde, il 17 ottobre, che sarebbe felice di vederlo sposare una vedova, che è pronto ad aiutarlo a trovarne una, aggiungendo con un rarissimo accento di emozione paterna: «Non posso fare a meno di pensare a te continuamente... se il cambiamento di cui parli si realizza, ciò mi renderà felice per il resto dei miei giorni»54.

Sevagram: il villaggio sperimentale

Gandhi ora sogna di creare una comunità agricola basata sul «programma costruttivo». Un modello di vita rurale etica, non un asram, ma un esempio di lotta contadina contro l’intoccabilità, per l’istruzione di base, l’igiene e la khadi.

Inoltre a novembre, Jamnalal Bajaj (un industriale che possiede i tre quarti delle terre nella regione di Wardha) gli offre un appezzamento di terreno dove insediare una comunità, vicino al villaggio di Segaon ribattezzato Sevagram (SevAgrAm, ‘città di servizio’). Il posto si trova quasi al centro geografico dell’India, isolato da tutto, infestato da serpenti, scorpioni e zanzare54 (causa di una malaria endemica) e le condizioni di vita sono come minimo primitive. Gandhi vi si trasferisce con i suoi compagni. Costruiscono case, allestiscono cucine e fanno arrivare arcolai e altri strumenti per filare. Il luogo diventa quasi ameno. Tutti si alzano alle cinque del mattino. A pranzo e a cena si mangia della zucca lessa con un po’ di pane. A Sevagram, il lunedì, Gandhi scherza in silenzio, fa le boccacce ai bambini. Non consente rapporti sessuali, per evitare che «Sevagram si trasformi in una nursery». Ci sono diverse centinaia di persone, tra cui tutti i suoi fedelissimi, sua moglie, il suo segretario Pyarelal, diverse ragazze accanto alle quali ama dormire...

I mesi seguenti vedono susseguirsi quattro eventi importanti. A novembre, un antropologo diventato suo segretario, Nirmal Kumar Bose, gli chiede cosa pensi dell’Unione Sovietica: non è forse quello un autentico «programma costruttivo», l’espressione di una volontà di cambiare profondamente l’uomo? Gandhi si lancia in una fervente critica della società sovietica e del socialismo in generale:

Lo Stato rappresenta la violenza concentrata e organizzata. L’individuo ha un’anima, mentre lo Stato rappresenta una macchina senz’anima che può sbarazzarsi della violenza che l’ha fatto nascere. Io vedo crescere il potere dello Stato con molta preoccupazione, perché si vanta di fare il bene riducendo lo sfruttamento capitalista mentre in realtà causa gravissimi danni annientando l’individualismo che è alla radice di qualsiasi progresso.169

Nel febbraio 1935, mentre Sevagram comincia a prendere forma, Ramdas, il terzogenito di Gandhi, che vi lavora, vuole mandare i suoi figli in una scuola fuori dall’asram. Il Mahatma si oppone («riceverebbero un’istruzione da schiavi») e dice al figlio: «Se loro vanno a scuola, tu lasci l’asram». Ramdas parte e se ne va a lavorare in città, a Nagpur.

Harilal si rifà vivo, deperito e in stato pietoso. Per un po’ sembra riprendersi e parla si risposarsi con Margarete Spiegel, un’insegnante ebrea tedesca, venuta in India perché affascinata da Gandhi54. Vorrebbe stabilirsi nel villaggio. Gandhi ne è felice: «Sarei felice di morire tra le tue braccia»56. Ma Margarete Spiegel rinuncia al matrimonio.

All’inizio di aprile, due leader afroamericani, Benjamin Elijah Mays e Channing Heggie Tobias, vanno a trovare Gandhi a Sevagram. Gandhi ripete loro che soltanto la nonviolenza può assicurare il successo: «La ragione è dalla loro parte; se scegliessero come sola e unica arma la nonviolenza, avrebbero assicurato un brillante avvenire». A maggio, Harilal ritorna a Rajkot; Mohandas avverte Narandas, uno dei suoi nipoti che si sono stabiliti lì: «Dio sa dove il destino di Harilal lo condurrà! Noi possiamo solamente pregare Dio che il nostro figliol prodigo non sia di nuovo smarrito»54.

Il 3 aprile, a Villeneuve, Bose ha diversi incontri con Romain Rolland. Lo scrittore riconosce che Gandhi:

è un freno a qualsiasi progresso. Ha sempre fatto in modo di evitare che si ponesse l’accento sulla questione economica, che porta alle divisioni tra le classi [...]. Con tutto il rispetto e l’affetto dovuti e che continuo a nutrire per la nobile anima di Gandhi (e in questo Bose è d’accordo con me), io non mi sento affatto legato alla sua dottrina, che è solo, ai miei occhi, una grande esperienza. Se, nonostante i risultati insufficienti o negativi, Gandhi si ostina, soprattutto nei conflitti inevitabili tra il capitale e la forza lavoro, è con Bose che mi schiererò, se necessario anche contro Gandhi. Non l’ho mai nascosto.136

Nell’estate del 1935, Nirmal Kumar Bose rivela che, nel suo villaggio costruttivo, Gandhi fa dormire con lui delle donne nude a cui chiede di stringersi a lui. Bose lo critica: «La donna non è un oggetto per esperimenti». Gandhi nega; poi riconosce che è vero. Le giovani confermano, ma precisano che lui non ha mai parlato loro del suo voto di castità...

Sempre durante l’estate, Nehru va in Germania perché la moglie, malata terminale, possa avere la migliore assistenza. Si rifiuta di comprare qualsiasi cosa tranne giornali ebrei. Quando torna, chiede agli inglesi di accogliere gli ebrei tedeschi in India157. Londra rifiuta.

«Mio figlio? Un miserabile»

Il 2 agosto 1935 la riforma, sul tavolo delle trattative da anni, è finalmente promulgata dal re: in base a questo nuovo Government of India Act, il diritto di suffragio è ampliato; i musulmani votano separatamente; il governo centrale e le due Camere inglobano i principati; una parte sostanziosa del budget (le spese militari e amministrative) resta al di fuori dei poteri della legislazione federale. Le prime elezioni secondo queste nuove regole restano fissate per il febbraio del 1937.

A dicembre, a Lucknow, nell’Uttar Pradesh, la sessione nazionale del Congresso discute per decidere se esso debba, in qualità di partito, partecipare a queste elezioni. Nehru è contrario e definisce la nuova legge una «carta della schiavitù», dato che conferisce agli indiani un po’ di responsabilità senza accordare loro il minimo potere. «Noi governeremo, ma saremo impopolari, perché non avremo i mezzi per agire»169. Dibattito difficile: accettare, come vorrebbe Subhas Bose, significa fare del Congresso un partito tra gli altri, in condizioni di coabitazione con l’occupante; rifiutare, come chiede Nehru, significa lasciare campo libero ad altri che sono contrari all’indipendenza. Pur avendo preso le distanze, Gandhi partecipa alla riunione e constata che il suo ascendente sui membri del Congresso è rimasto intatto. Tutto preso dal suo programma di “azione costruttiva”, vede nella nuova Costituzione, al contrario di Nehru, un mezzo per ottenere che i futuri ministri provinciali finanzino l’artigianato rurale, vietino gli alcolici, favoriscano l’uso di abiti tessuti in casa, sviluppino l’istruzione e combattano l’intoccabilità. Inoltre, dice, questa riforma, per quanto limitata, può essere un modo per sostituire la democrazia alla violenza, che sente diffondersi.

Dopo lunghe discussioni, il Congresso decide di partecipare alle elezioni. Un solo argomento ha vinto, quello di Bose: non lasciare campo libero agli antinazionalisti. Gandhi non impedisce al Congresso di prendere come obiettivo il socialismo e porta Nehru, sebbene sia contrario alla partecipazione alle elezioni, alla presidenza del Congresso.

Poi ritorna a Sevagram e, il 14 gennaio 1936, riceve Margaret Sanger, un’americana specialista di pianificazione familiare, venuta a chiedere il suo appoggio per promuovere la contraccezione in India; Gandhi, da parte sua, difende l’astinenza: ai suoi occhi la contraccezione è un peccato, è meglio sviluppare l’autocontrollo. Le fa delle confidenze sul suo amore del 1920, Sarala Devi, che custodisce sempre nel suo cuore.

Il 20 gennaio 1936, mentre Edoardo VIII succede a suo padre, Giorgio V, il maharajah di Travancore apre i templi della sua provincia agli intoccabili. Nel frattempo muore il dottor Mukhtar Ahmed Ansari, leader musulmano del Congresso, di cui Gandhi di solito era ospite quando si trovava a Delhi.

A febbraio, visitatori da tutto il mondo si susseguono a Sevagram 55. Ad alcuni religiosi evangelisti (John Mott, Franck Buchman, Stanley Jones, Toyohiko Kagawa) Gandhi spiega che lui non ama i proseliti: «La rosa non deve dire: “Vieni ad annusarmi”»54. Una coppia afroamericana, Howard Thurman, decano della Rankin Chapel all’università di Howard, e sua moglie, Sue Carroll, gli chiede perché non utilizzi il termine “amore” invece di “nonviolenza”; Gandhi risponde che la “nonviolenza”, per lui, non è solamente amore, ma anche un’azione positiva: è l’amore più la lotta54. Inoltre aggiunge che lui vede un legame tra intoccabilità e schiavitù, e riconosce delle somiglianze tra la battaglia dell’India contro l’imperialismo e la lotta dei neri americani contro la segregazione. Sue Thurman gli domanda come applicare la nonviolenza in caso di linciaggio; lui consiglia la non-cooperazione, «fino all’autoimmolazione». Poi li prega di cantare uno spiritual e dichiara che «forse è attraverso gli spiritual che il messaggio inalterato della nonviolenza sarà trasmesso al resto del mondo»54.

Alla fine di aprile, Gandhi ritrova Harilal a Nagpur, a 50 chilometri da Sevagram. Suo figlio se la passa di nuovo molto male. Non riesce a tenersi un lavoro, a fare a meno di bere, a non indebitarsi. Confessa «quanto lo divertano le attenzioni che riceve da parte di certi proseliti».

Un mese dopo, il 30 maggio, mentre Mohandas e Kasturba si trovano a Bangalore, alcuni giornali annunciano che Harilal si è convertito, quindici giorni prima, all’islam, in una delle principali moschee di Bombay. Adesso si chiama Abdullah, diffonde l’islam in vari luoghi e dichiara perfino che smetterà di bere se i suoi genitori si convertiranno all’islam. Il 2 giugno, Gandhi, intervistato da un giornale, fa una dichiarazione di un’estrema durezza:

Se questa conversione viene dal cuore, ed è pura da qualsiasi considerazione mondana, io non la contesterò... Ma nutro grandissimi dubbi in proposito [...]. Chiunque conosca mio figlio Harilal sa che da anni è alcolizzato e ha l’abitudine di frequentare luoghi malfamati. Dio può fare miracoli; sappiamo che è capace di cambiare in un istante i cuori più induriti e di trasformare i peccatori in santi. Niente mi farebbe più piacere di vedere [...] che Harilal è improvvisamente diventato un altro uomo. Ma le voci che mi arrivano non danno questa impressione [...]. L’apostasia di Harilal non è una grande perdita per l’induismo; la sua ammissione nell’islam è fonte di debolezza per quest’ultimo se, come temo, lui è restato il miserabile che era.170

Dunque definisce pubblicamente suo figlio un «miserabile»...

Intanto in Palestina si assiste a un’ampia sollevazione araba che assume la forma contemporaneamente di disobbedienza civile e sciopero fiscale, seguita da quello generale, suscitando una reazione brutale degli inglesi, in particolare a Jaffa. Il 30 luglio, questi indicono la legge marziale e chiamano 20.000 uomini di rinforzo.

A dicembre, mentre Edoardo VIII abdica (per motivi sentimentali), Harilal ritorna all’induismo e adotta un nuovo nome, Hiralal55. Non vuole dovere più niente, nemmeno il nome, a quel padre che adora e disprezza al tempo stesso.

Il Mahatma fa i governi

Nel gennaio del 1937, a due mesi dalle elezioni, il Congresso si riunisce a Faizpur, nell’Uttar Pradesh, a sud di Lucknow, e Nehru, che ha appena perso la moglie, viene eletto presidente. Gandhi pronuncia un discorso molto applaudito. Ha recuperato tutto il suo ascendente e ha ottenuto che nelle sale dell’assemblea sia organizzata un’esposizione dei prodotti dell’artigianato rurale: il suo «programma costruttivo» invade così gli spazi del Congresso. Subhas Bose, tornato dall’esilio, spiega che è tutto inutile se il paese non dispone di un esercito posto sotto il controllo di un governo e che questa Costituzione, che pone l’esercito sotto il controllo degli inglesi, non è una vera Costituzione.

Intanto, sollecitato dalla sezione norvegese degli Amici dell’India, un deputato del Parlamento norvegese, Olë Colbjørnsen, propone la candidatura di Mohandas Gandhi al premio Nobel per la pace. Dopo una prima selezione, lui resta uno dei tredici candidati scelti per un’ultima selezione. Ma il relatore, il professor Jacob Worm-Müller, emette un parere assai negativo, che all’epoca resta segreto:

Gandhi è un combattente per la libertà ma anche un dittatore, un idealista ma anche un nazionalista. Spesso somiglia a un Cristo e poi, subito dopo, a un normale politico. Inoltre, molti membri del movimento pacifista internazionale gli rimproverano di aver ignorato che il suo movimento di nonviolenza poteva sfociare solo in azioni violente e terroristiche, come, ad esempio, nell’episodio in cui la folla, a Chauri Chaura, massacrò diversi poliziotti inglesi e ha aperto il fuoco contro il commissariato di polizia. Gli si rimprovera anche la sua mancanza di universalità, dato che ha difeso unicamente gli indiani del Sudafrica.

Quell’anno, il premio Nobel è assegnato a un certo Lord Cecil di Chelwood, uno degli artefici della Società delle Nazioni e la cui principale qualità è di essere figlio del marchese di Salisbury, tre volte primo ministro. Olë Colbjørnsen riproporrà la candidatura di Gandhi nei due anni seguenti, senza maggiore successo. Bisognerà aspettare il 1960, con Albert John Luthuli, presidente dell’ANC, perché il premio Nobel per la pace scappi a un occidentale...

Sempre a gennaio si apre ufficialmente la campagna elettorale. Molte organizzazioni si costituiscono in partito per prendere parte al gioco di questa democrazia coloniale. Innanzitutto il Congresso stesso, poi il Partito Socialista del Congresso, nato da una scissione del Congresso, la Lega Musulmana di Jinnah, tornato da Londra per guidare la campagna, infine il Partito Laburista indiano, guidato da Bhimrao Ramji Ambedkar. In compenso il Partito Swaraj, creato da Motilal Nehru, in seguito alla riforma del 1919 del Congresso (e che è riuscito a costituire un vero e proprio gruppo parlamentare nell’assemblea di Nuova Delhi nel 1920) si è sciolto. Il manifesto elettorale del Congresso riconferma il rifiuto in toto della nuova legge elettorale e invoca l’elezione di un’Assemblea Costituente.

Jawaharlal Nehru si impegna molto nella campagna elettorale: chiede agli indiani di scegliere «tra il Congresso e gli inglesi». Jinnah ribatte, con grande rabbia di Gandhi: «C’è un altro partito: i musulmani. Non ci lasceremo imporre niente da nessuno»1. Gandhi partecipa ad alcune riunioni ponendo l’accento sul divieto di alcolici e sull’istruzione. Vallabhbhai Patel, che lo scorta, escogita un sistema di microfoni e altoparlanti che d’ora in poi lo seguirà in tutte le sue peregrinazioni. Dove c’è elettricità...

Innanzitutto le elezioni costituiscono un successo per la riforma stessa: il 54 per cento degli elettori si reca alle urne. È anche una vittoria per il Congresso, ma non un trionfo: si è guadagnato la maggioranza in cinque province (Province Unite, Bihar, Orissa, Province Centrali e Madras). A Bombay ottiene quasi la metà dei seggi e può formare un governo di coalizione. Anche nell’Assam e nella Provincia della Frontiera di Nord-Ovest, è la formazione più importante. Conquista pure la maggioranza dei seggi riservati ai musulmani. In totale ottiene 716 dei 1550 seggi delle assemblee provinciali e può formare il governo in sette province, di cui cinque sotto il suo completo controllo. La Lega Musulmana di Jinnah è ampiamente sconfitta e la scelta dell’elettorato separato, su cui Jinnah e la Lega avevano puntato per tutti quegli anni, non è riuscito a procurare loro una vera partecipazione al potere politico. Jinnah, furioso per la sconfitta, avvia una violenta campagna contro il Congresso e contro Gandhi: «Il fatto è che il Congresso vuole dominare l’India con l’aiuto delle baionette inglesi»; ancora: «Il Congresso accerchia la Lega Musulmana e cerca di spezzare la sua compattezza». Definisce Gandhi «dittatore e unico interprete del Congresso», che «tenta di assoggettare e asservire i musulmani sotto un Raj hindu, di annientarli»163. L’elegante avvocato entra apertamente in ribellione contro l’esistenza stessa dell’India. Non ha mai dimenticato l’umiliazione che gli fece subire il giovane tornato dal Sudafrica, più di vent’anni prima, il 12 gennaio 1915, a Bombay.

A questo punto si pone ai partiti la questione di sapere se essi parteciperanno alle assemblee e formeranno dei governi. Si tratta di un vero e proprio problema di convivenza con gli esecutivi britannici. Gandhi, che ha recuperato la sua influenza, si immischia in tutto. Lui è per la partecipazione: «Il boicottaggio delle assemblee, permettetemi di dirvelo, non è un principio eterno, come quello della verità e della nonviolenza. La mia opposizione è cessata, ma questo non significa che io faccia marcia indietro; è una questione di strategia: ciò che conviene di più in un determinato momento»169.

Il passo falso con Jinnah

All’inizio di maggio, mentre il Congresso non ha ancora deciso di partecipare ai governi, Jinnah fa chiedere a Gandhi, tramite un leader del Congresso, l’avvocato B.G. Khmer, di favorire una coalizione tra il Congresso e la Lega a Bombay. Gandhi, che non ha appoggiato la campagna antihindu di Jinnah, è restio. Risponde per iscritto, il 22 maggio 1937: «Vorrei poter fare qualcosa, ma non ho alcun potere. La mia fede nell’unità è più splendente che mai; eppure non vedo spuntare il giorno». Jinnah ne resta mortificato. Si tratta di un momento decisivo: questo sarà l’ultimo torto che subirà, tanto che non accetterà mai più di trattare con Gandhi, che in questo ha una grave responsabilità.

Il Mahatma propone che il Congresso partecipi ai governi solo in quelle province in cui ha ottenuto la maggioranza assoluta. Il Congresso approva e anzi decide di esigere che gli amministratori inglesi di quelle province non interferiscano col lavoro dei ministri. Ed ecco l’ennesimo problema di coabitazione. Il viceré, dopo averne discusso con il ministro a Londra e con i governatori delle province, pubblica una lunga dichiarazione che non potrebbe essere più chiara: il testo della riforma sarà applicato, e niente di più. «Non abbiamo motivo di temere che i governatori agiscano in modo che esuli dalle loro responsabilità». Nel corso di una riunione che si tiene a Sevagram a luglio, Gandhi spinge il consiglio direttivo del Congresso ad accettare di governare. Tutti, anche Nehru, accettano, e quindi si decide di formare dei governi nelle sei province in cui il Congresso è maggioritario: un partito politico che lotta per la liquidazione dell’Impero britannico amministrerà dunque sei delle sue province.

In realtà Gandhi, contrariamente a quanto scrive a Jinnah, ha tutti i poteri: è lui stesso che rivede la composizione dei sei governi, provincia per provincia109. Jinnah chiede a Patel di prendere due membri della sua Lega nel governo di Bombay. Patel, su indicazione di Gandhi, accetta a condizione che i gruppi parlamentari della Lega si fondano ovunque con il Congresso. Significherebbe la morte della Lega e Jinnah rifiuta34. La Lega resta dunque all’opposizione. E lì si fortificherà.

Una volta instaurati i governi provinciali, Gandhi comunque non li molla. Consiglia ai ministri di dare l’esempio di semplicità e frugalità, di coltivare «zelo, intelligenza, integrità, imparzialità e un’attenzione infinita ai dettagli»169, di promulgare riforme agrarie per difendere i mezzadri contro i proprietari e attenuare il debito dei contadini27.

Quando il primo ministro di Bombay introduce il proibizionismo, Gandhi si complimenta con lui su «Harijan», denunciando quegli «elettori alla moda che pensano di aver bisogno di alcolici come hanno bisogno dell’acqua. Se essi non apprezzano l’astinenza, che pensino ai loro fratelli poveri!»169. Gandhi lo approva anche quando, con il consenso del governatore, fa rilasciare Savarkar, il cui movimento, Hindu Sanghatan, diventa un partito politico sotto il nome di Hindu Mahasabha; esso spinge per fare dell’India una nazione hindu e laica: «Non tollereremo che gli hindu siano spogliati dei loro diritti per permettere ai musulmani di ottenere più di quanto loro dovuto con il pretesto che sono musulmani e che rifiuterebbero di comportarsi da onesti cittadini». Dieci anni dopo, Savarkar sarà ingiustamente accusato dell’omicidio di Gandhi.

Il programma di Wardha

Nubi nere si profilano in tutto il mondo. Il 7 luglio 1937, le proposte della Commissione Peel, che raccomandavano una spartizione della Palestina, sono respinte dagli arabi. Questo rifiuto è seguito dalla creazione, in estate, di una “Forza di difesa delle colonie ebraiche”, l’Irgoun, e dell’assassinio da parte di un arabo del commissario britannico per la Galilea: come conseguenza Londra scioglie il Supremo Comitato Arabo; il mufti è destituito da tutte le sue funzioni. Il 26 luglio, quella che diverrà la seconda guerra mondiale comincia con l’invasione da parte dei giapponesi del Manchukuo in Cina. A ciò si aggiungono l’invasione dell’Abissinia da parte dell’Italia, la rioccupazione della zona smilitarizzata della Germania, l’annessione dell’Austria, la guerra civile spagnola. In Gran Bretagna, Neville Chamberlain è nominato primo ministro. Edoardo VIII sposa la signorina Simpson poco prima che il nuovo re, Giorgio VI, scampi a un attentato dell’IRA, il 28 luglio.

A nome del Congresso, Nehru reagisce severamente alla diplomazia inglese di distensione, critica gli atti di aggressione del Giappone, dell’Italia, della Germania, condanna la soppressione delle libertà civili in quei paesi, le persecuzioni religiose e razziali, la liquidazione degli avversari politici. Gandhi non si associa a queste dichiarazioni.

A lui interessa solo il tema che gli sta più a cuore nel suo «programma costruttivo»: l’istruzione. A ottobre riunisce a Wardha, vicino al suo asram, tutti i ministri dell’Istruzione membri del Congresso ed espone loro le sue direttive, che danno un’idea precisa dell’India ideale da lui immaginata: un ciclo di sette anni di scuola primaria finanziato con la vendita di oggetti fabbricati nella scuola; programmi stabiliti in base alle situazioni concrete, in rapporto con l’artigianato e con l’ambiente sociale e geografico del bambino; «sostituire uno sviluppo coordinato di mani e occhi a un insegnamento libresco volatile che la maggior parte dei bambini dei villaggi dimenticano subito»169; la lingua utilizzata deve essere quella materna. Tutti i ministri prendono questo programma molto sul serio. Viene creata una commissione di pedagogisti presieduta da un insegnante musulmano di quarant’anni, Zakir Husain, che Gandhi ha individuato per le sue competenze e perché incarna un islam aperto: è il fondatore della Jamia Millia University di Delhi e trent’anni più tardi accederà alla presidenza dell’India...

Alla fine del mese, Gandhi va a riposarsi a Juhu. Qui riceve un italiano che desidera diventare suo discepolo: Lanza Del Vasto.

Il 9 novembre i giapponesi si impadroniscono di Nanchino, poi di Pechino e Shangai. A Londra il nuovo primo ministro, Neville Chamberlain, manda Lord Halifax, difensore della pace, a incontrare Adolf Hitler a Berchtesgaden. Il Führer gli promette il suo appoggio nella preservazione dell’Impero britannico e si stupisce che la Gran Bretagna non abbia ancora eliminato Gandhi; anzi consiglia, se la morte del Mahatma non dovesse bastare a placare gli animi, di uccidere tutti gli altri leader del Congresso e, se ancora non fosse sufficiente, di far giustiziare altri 200 attivisti, e così via, fino a quando gli indiani non avessero abbandonato ogni speranza di indipendenza.

Il 26 dicembre, a Badgastein, Subhas Bose, poco prima di tornare in India per ambire alla presidenza, sposa in segreto la sua segretaria austriaca, Emilie Schinkel. Questo fatto privato non sarà privo di conseguenze per il destino dell’India...

Ancora le donne

All’inizio dell’inverno, di ritorno a Sevagram dove fa molto freddo, Gandhi, contrariamente alle sue abitudini, è costretto a dormire al chiuso. Kasturba dice: «Bapu dormirà nella mia capanna»118. Ma come riportano molti incensatori nelle loro agiografie: «Trova sollievo ai suoi tremori facendo distendere accanto a lui una delle sue assistenti...». La verità nuda e cruda è che dorme con delle fanciulle. All’epoca, si tratta di Lilavati Asar, di Bombay, di soli quattordici anni, di Prabhavati Narayan, di Amtus Salaam, musulmana praticante del distretto di Patiala, nel Punjab orientale, e della dottoressa Sushila Nayar, con lui da quindici anni. Sushila ricorda questi momenti169:

La stanza di Ba era piccola. C’erano una o due altre persone che avevano l’abitudine di dormire accanto a Gandhi. Ba sgombrava la stanza per Bapu e le sue compagne e dormiva sotto la veranda con il nipote Kanu (figlio di Ramdas). Lei non ha mai mostrato rancore per aver dovuto lasciare la sua camera ad altre donne che dormivano con suo marito.18

Nei suoi confronti, i giorni seguenti, Gandhi si sentì colpevole di «privare di conforto, nella sua vecchiaia», quella «povera Ba». In realtà Kasturba si mostra incredibilmente gentile con le compagne di letto di suo marito. Una di queste, Prabhavati Narayan, racconta:

Nei giorni d’inverno a Sevagram, andavo a rifugiarmi in camera di Ba, dopo la preghiera delle quattro del mattino. E Ba insisteva sempre: «Prabha, va’ a dormire ancora un po’ con Gandhi». Ba aveva l’abitudine di spazzare la stanza, anche quando si gelava, poi metteva a scaldare l’acqua per il bagno, e dopo aver fatto le pulizie veniva a svegliarmi. L’acqua calda era sempre pronta per il mio bagno.54

Gandhi stesso comincia a giustificare questa abitudine dicendo che serve a mettere alla prova la sua castità.

In una recentissima biografia54, un nipote di Gandhi osserva con indulgenza che questo comportamento non è senza precedenti, poiché la Bibbia racconta che il re David non riuscì a scaldarsi, una notte, finché una giovane di nome Abishag «non gli fu condotta». Il Libro aggiunge: «Ella curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei» [1 Re 4]. Un altro biografo del Mahatma, William Shirer, scrive molto più concretamente: «Se Gandhi era colto dai brividi nelle notti d’inverno, perché non ricorrere a una coperta in più, invece che a una ragazza?»143.

«Sushila resterà?»

Nel marzo del 1938 scoppia la crisi dei Sudeti. Jinnah rompe tutti i ponti col Congresso e con l’India. Spiega che, dato che i Sudeti hanno fatto andare in frantumi la Cecoslovacchia, anche i musulmani possono, e questa volta senza intervento esterno, spaccare il Raj. In un discorso pronunciato a Karachi, addirittura paragona esplicitamente i musulmani indiani ai tedeschi dei Sudeti:

Gli unici popoli che la spuntano con gli inglesi sono quelli che possiedono forza e potere, e che possono intimidirli [...]. Io vorrei attirare la loro attenzione [quella degli inglesi] – come anche quella dell’alto Stato Maggiore del Congresso – e chiedere loro di valutare bene, prendere in considerazione e assimilare questo recente avvenimento e le sue conseguenze... È perché i tedeschi dei Sudeti erano schiacciati dalla maggioranza cecoslovacca che li opprimeva, li maltrattava, li negava, mostrando un’indifferenza brutale e implacabile per i loro diritti e i loro interessi da vent’anni che, oggi, la repubblica di Cecoslovacchia è in pezzi e una nuova carta si disegna.109

A ottobre infatti la Germania si annette il paese dei Sudeti, che contiene una maggioranza di germanofoni, e ciò con il consenso di Francia e Gran Bretagna.

Nel Congresso, infuria la battaglia per l’elezione del successore di Nehru alla presidenza. Gandhi vuole evitare a ogni costo che sia Subhas Bose, dato che incita a una strategia di aperta opposizione agli inglesi. L’elezione è prevista per il 4 aprile 1938 a Haripura, nell’Orissa.

Il 20 marzo, Gandhi sbarca a Haripura con la moglie, la consorte di Desai e una delle loro amiche; le donne vanno a visitare l’interno del tempio Jagannath di Puri dove gli intoccabili non hanno il diritto di entrare e dove, nel 1934, Gandhi era stato aggredito e malmenato. Quando viene informato di questa visita, è colto da una violenta collera: «Tutta Puri non parla d’altro che della visita di Kasturba al tempio, e addirittura il capostazione ci ha chiesto: “Davvero Kasturba è entrata nel tempio?”»169. Kasturba si scusa. Gandhi rimprovera a Desai di non aver vietato alle donne di entrare in quel tempio; e loda Narayan, il figlio di Mahadev, di quindici anni, che si è rifiutato di entrare55. Dieci giorni dopo arriva addirittura ad accusare pubblicamente sua moglie, durante una pubblica assemblea a Delang, vicino Puri:

Io mi sento umiliato quando vengo a sapere che mia moglie e due membri dell’asram che io considero come mie figlie sono entrate nel tempio di Puri. Questa contrarietà ha fatto montare in me una tensione incredibile... Queste tre donne vi sono andate senza sapere quello che facevano; perciò sono io quello da biasimare, e ancora di più Mahadev, perché non ha detto loro qual era il loro dovere. Avrebbe dovuto pensare anche alle ripercussioni sociali [...]. Come convincere gli harijan che noi li sosteniamo in tutte le loro prove, che ci identifichiamo totalmente con loro, quando le nostre stesse famiglie (mogli, figli, fratelli, sorelle, parenti) non stanno al nostro fianco?169

Dal canto suo Mahadev Desai si irrita nel vedere che Gandhi fa tanto rumore per nulla. Vuole dare le dimissioni e rimprovera al Mahatma, «che è riuscito in molte iniziative spirituali servendosi del cloroformio dell’amore, di non averlo usato in questa»36. Il 31 marzo, Gandhi si angoscia e gli scrive una lettera di scuse rivelatrice: «Tollererò migliaia di errori, ma non posso separami da te [...]. Se tu decidi di lasciarmi, Pyarelal resterà?». Poi aggiunge, mostrando la sua reale preoccupazione: «E se Pyarelal se ne va, Sushila resterà? Se ne andranno tutti. Io impazzirò, di certo... Tuttavia, come posso impedire a qualcuno di salvarsi?»54. È proprio Sushila la fonte di ogni sua inquietudine. Gli altri non contano.

All’inizio di aprile, Desai osa scrivere su «Harijan»: «Vivere in cielo in compagnia dei santi è una benedizione e una gloria. Ma vivere sulla terra con un santo è tutta un’altra storia!»36. Naturalmente, lui resta e anche gli altri. Come sempre, Gandhi trova una giustificazione morale per ciò che ha fatto. E gli altri si adattano ai suoi desideri, politici o personali.

Il 3 aprile, Subhas Chandra Bose è eletto presidente del Congresso. Gandhi non ha voluto opporsi apertamente a questa scelta per evitare una scissione del partito, ma ritiene che questa decisione sia per lui una sconfitta.

Due eiaculazioni involontarie...

Estremamente turbato sia dall’elezione di Bose che dal rischio della partenza delle giovani che lo circondano, Gandhi attraversa una strana crisi. La notte del 7 aprile, cioè meno di una settimana dopo la questione di Haripura, Gandhi è tornato a Sevagram e al suo fianco dormono Prabhavati e Sushila: gli capita quella che chiama in una nota confidenziale un’«eiaculazione involontaria». Non sa se continuare a dormire con le ragazze, poi persiste. Il 14, altra eiaculazione, sempre involontaria. Lo confida alle persone più intime. Restano tutti scioccati, tranne le due giovani. Alla fine di aprile, Mirabehn, assente, a cui lui ha scritto, gli consiglia di porre fine ai contatti fisici con le donne. Il 3 maggio, lui risponde:

Hai proprio ragione a osservare che il mio esperimento è innovativo [...]. Nella tua prossima lettera, devi dirmi concretamente cosa devo cambiare, secondo te. Devo rinunciare ai servigi che mi rende Sushila? Devo rifiutare i massaggi che mi fanno Lilavati o Amtul Salama, per esempio? O vuoi dire che non dovrei appoggiarmi alla spalla delle fanciulle? [...] Mi sembrava di progredire, mi pareva che il mio brahmacarya [...] fosse diventato più solido, più illuminato [...]. Questa esperienza del 14 aprile, torturante, degradante, insozzante, mi ha scosso come se Dio mi avesse buttato fuori da un paradiso immaginario che non meritavo a causa della mia impurità.169

Le sue incertezze emergono ancora in molte delle sue lettere a Pyarelal, a Sushila, a Mira, a Mahadev. Le ragazze non sanno se andarsene o no. Lui implora a più riprese Pyarelal e Sushila di non lasciarlo. A maggio è distratto dalle sue preoccupazioni da un incontro con Jinnah, che ha dei problemi, e da un altro a Peshawar con un vecchio amico, il leader pashtun Abdul Ghaffar Khan, che ora predica la nonviolenza. Il 1° giugno scrive a Sushila118: «Adesso ho quasi deciso che, a eccezione di Ba, non accetterò più servigi da nessuna donna che prevedano più o meno il contatto fisico». «Più o meno»... tutto qui...

Visto che è impossibile tenerlo segreto, il 2 giugno Gandhi ne mette a parte i suoi compagni di Sevagram in un messaggio dal tenore sorprendente, che fa circolare:

Mi vergogno. Dopo l’esperienza del 7 non riesco quasi a chiudere occhio; ho camminato su e giù per la terrazza cercando di calmarmi. Ho pensato che non ero pronto a ricevere i servigi di Sushila e Prabhavati che dormono accanto a me. Dopo la preghiera dell’alba, ho confidato loro cosa mi era successo e che non avrei più accettato le loro cure. Ma entrambe hanno preso male questa decisione. Nel corso della giornata, sono tornato su questa decisione e ho continuato ad accettare i loro servigi. Ma il mio sconforto non si è alleviato. Il 14 ho avuto un’altra esperienza che ha aumentato la mia vergogna e aggravato la mia angoscia [...]. Mentre ero preso in questo vortice ho dovuto incontrare Jinnah. Ho perso fiducia in me stesso. [...] Perché i miei pensieri e il mio spirito non diventano sempre più puri? Il contatto con le donne ha forse potuto ostacolare la mia strada in un modo che sfugge alla mia analisi? Come saperlo? Non avrei dovuto intraprendere questo esperimento così terribile. Il mio esperimento è stato una trasgressione ai limiti prescritti nel brahmacarya [...]. Dopo aver lungamente riflettuto, ho deciso di non accettare più cure da parte di donne se esse comportano dei contatti fisici – tranne se assolutamente indispensabile [...]. Non avrò più gesti d’affetto per loro [...]. Chi può dire dove mi condurrà il futuro? Il mio più grande desiderio è sottomettermi a Dio con tutto il mio amore e lasciare che mi conduca dove Lui vuole. Il mio chiaro dovere era portare questo alla conoscenza dei miei compagni. Accetto i commenti e le critiche che essi potranno farmi.169

Il 3 giugno, riconosce che in realtà ha cambiato opinione e scrive al suo segretario, Pyrarelal, fratello di Sushila: «Quando Sushila viene spontaneamente, in realtà io la prendo tra le mie braccia nonostante la mia decisione di non accettare più le premure delle donne...»114.

Ecco chi fa danni nella piccola comunità: un amico che lo segue da venticinque anni, Amritlal Thakkar, e che lavora per il giornale «Harijan», si dice «dispiaciuto»; Mahadev Desai, invece, è «turbato». Essi gli chiedono di porre fine alla sua intimità con le donne. Gandhi si oppone e dice che, così facendo, «spezzerebbe il cuore delle donne della cerchia più stretta»54. Il nipote lo giustifica: «Questo gli ricorda l’amore di sua madre che credeva in lui come nessun altro quando era piccolo. Lui cerca, la notte, quel calore materno che gli permette di essere pronto, prima dell’alba, a condurre le sue battaglie quotidiane, a combattere con più virilità di qualsiasi altro indiano»54.

Questa non è la sua sola preoccupazione: Harilal è arrestato per ubriachezza molesta. Kasturba scrive al figlio supplicandolo di ravvedersi per il bene «di una donna vecchia e debole che non può sopportare un tale dolore».

Il 20 giugno Mahadev Desai dice di nuovo a Gandhi che se ne vuole andare, poi si ricrede e resta ancora. A luglio, Gandhi scrive su «Harijan»: «Alla nazione indiana, la grandezza della letteratura inglese non può più portare né il suo clima temperato né i suoi scenari. L’India deve fiorire sotto il proprio clima, nei propri paesaggi, nella propria letteratura, anche se questi tre elementi sono inferiori a quelli dell’Inghilterra»169. Aggiunge inoltre che la conoscenza della lingua inglese, ai suoi occhi, non è indispensabile per accedere alla letteratura inglese: gli indiani leggono Tolstoj senza aver imparato il russo e i giapponesi leggono Shakespeare senza conoscere l’inglese...109

La nonviolenza contro Hitler...

I rapporti tra i ministri del Congresso e i governi migliorano. Questi ultimi trovano i ministri seri, a volte addirittura molto competenti, e questi a loro volta ritengono che i governi abbiano spesso la loro utilità. «I ministri del Congresso mostrarono che potevano agire oltre che parlare, e che erano altrettanto bravi ad amministrare che a protestare»27. «Immagina», scrive Mahadev Desai a Ghanshyan Das Birla, «Garret, il governatore di Ahmedabad, adesso va alla stazione a ricevere il ministro Morarji e viaggia per un buon tratto con lui in terza classe!»36. Più tardi, Sir Harry Haig, governatore delle Province Unite, scriverà: «Per quanto riguarda le questioni comunitarie, a mio avviso, i ministri hanno agito secondo le regole, con imparzialità, spinti dal desiderio di fare il meglio. In realtà. Verso la fine del loro mandato, essi furono severamente criticati per non essersi mostrati leali verso gli hindu, benché non fosse accaduto niente che giustificasse una tale critica»54.

Gandhi segue ancora con estrema attenzione quello che succede nei governi locali. Chiede e ottiene dal Congresso la dimissione di un ministro delle Province Centrali, il dottore N.B. Khare, per malversazione109. Esige inoltre la creazione di un ente centrale del Parlamento, «composto dall’élite dei leader del Congresso», cioè nominato da lui, per controllare i rischi di indisciplina e deviazioni in materia di conflitti di interesse. Quando Nehru obietta che sarebbe «puro e semplice fascismo»154, lui replica: «Il fascismo usa la sciabola sguainata: sotto un tale regime, il dottor N.B. Khare avrebbe perso la testa. Il Congresso è l’antitesi del fascismo, perché fondato sulla nonviolenza pura e senza macchia. La sua autorità non deriva dal controllo delle camicie nere!»54. Intanto Subhas Chandra Bose, presidente del Congresso, rifiuta di condannare Germania, Italia e Giappone. Gandhi non se dà pena.

Sempre tormentato dalla propria sessualità, scrive il 27 luglio 1938:

La parola di un generale del satyagraha deve manifestare la sua potenza, una potenza procurata non dalla detenzione illimitata di armi, ma da una vita pura, una stretta vigilanza, un’applicazione continua. È impossibile senza l’attuazione del brahmacarya. Questa deve essere completa, per quanto umanamente possibile. Brahmacarya, in questo caso, non significa semplicemente controllo del corpo, ma molto di più. Significa dominio totale dei sensi. Un pensiero impuro è dunque un attentato al brahmacarya, come anche la collera. Qualsiasi potere proviene dalla conservazione e dalla sublimazione dell’energia responsabile della creazione della vita. Questa vitalità, coltivata e non dissipata, può essere trasformata in energia creatrice di un ordine superiore. Altrimenti, essa è continuamente e anche inconsciamente dissipata da cattivi pensieri, anche involontari, disordinati e non desiderati.169

In una conferenza tenuta a Évian a luglio, gli inglesi non accettano di accogliere un ebreo tedesco di più né in Inghilterra né in Palestina. Alla fine di agosto, Nehru è di nuovo a Londra e, in una lettera al «Manchester Guardian», critica la politica di «distensione» del primo ministro davanti ai colpi di forza di Germania e Italia.

Gandhi, invece, pensa più che mai che l’ahimsa è l’unica soluzione, e consiglia dappertutto e a tutti la nonviolenza: «Un’Abissinia nonviolenta non ha bisogno né di armi né del soccorso della Società delle Nazioni. Ogni abissino, uomo, donna o bambino, deve rifiutare di collaborare con gli italiani: questi ultimi dovranno marciare verso la vittoria sui cadaveri delle loro vittime e occuperanno un paese senza abitanti»109. A settembre, quando i cechi cedono al ricatto, raccomanda anche a loro la nonviolenza: «Non esiste coraggio più grande di un fermo rifiuto di piegare le ginocchia davanti a un potere terreno, per quanto potente, e ciò senza amarezza dello spirito, nella piena certezza che solo lo spirito vive, e nient’altro»109.

Il 29 settembre, all’indomani della disastrosa conferenza di Monaco tra Francia, Inghilterra, Italia e Germania sulla questione dei Sudeti, nel corso della quale le democrazie hanno ceduto, Gandhi pensa che Hitler e Mussolini possano essere ancora convinti a diventare pacifisti. Scrive: «Se il nemico si rende conto che voi non avete la minima intenzione di alzare una mano su di lui, neanche per difendere la vostra vita, perderà la voglia di uccidervi. Ogni cacciatore ha fatto questa esperienza. Nessuno ha mai sentito parlare di qualcuno che spari alle mucche...». Poi aggiunge, stranamente: «È il trionfo della minaccia? Hitler ha dunque messo a punto una tecnica di azione violenta che gli permette di ottenere ciò che vuole senza spargere sangue?»169.

Gandhi spiega a un giapponese esperto in cooperative in visita al villaggio costruttivo, il dottor Kagawa, che l’invasione della Cina da parte del Giappone è ingiusta: «Se fossi in lei, io mi dichiarerei obiettore e sarei giustiziato», gli dice. Poi aggiunge senza scherzare: «Il dramma è che si possono persuadere milioni di persone ad ammazzarsi o farsi ammazzare in una guerra, mentre nemmeno un centinaio di pacifisti sono disposti a morire per le loro convinzioni».

Ormai Gandhi è visto in tutto il mondo come il maestro del pacifismo. A settembre, in un articolo su «Aryan Path», John Middleton Murry lo descrive come il più grande cristiano del mondo moderno: «Sicuramente, non vedo altra speranza per la civiltà occidentale che di accendere un’immensa e ardente fiamma di Amore cristiano. Bisogna scegliere tra questo e un genocidio di un’ampiezza il cui solo pensiero rivolta lo stomaco»109.

«Un mio amico ebreo»...

La sera del 9 novembre, per tutta la notte fino alla mattina del 10 novembre, in Germania si verificano degli atti di violenza perpetrati da nazisti. La Notte dei Cristalli provoca la distruzione di beni appartenenti agli ebrei, l’incendio di numerose sinagoghe e il massacro di centinaia di persone. Il 12 novembre, i nazisti pretenderanno di canalizzare e prevenire questa violenza “selvaggia” vietando la funzione pubblica e altri mestieri agli ebrei, che devono pagare un’ammenda enorme. Gandhi reagisce con il suo temperamento pacifista: il 26 novembre pubblica su «Harijan» un importante articolo a proposito dei suoi rapporti con gli ebrei, per i quali manifesta la sua amicizia: «La mia simpatia va tutta agli ebrei. Li ho conosciuti intimamente in Sudafrica. Alcuni sono divenuti miei compagni per la vita. Grazie a questi amici, ho potuto sapere molte cose sulle persecuzioni che li hanno accompagnati nel corso dei secoli. Loro sono stati gli intoccabili del cristianesimo. Tuttavia, questa simpatia non mi acceca sulle decisioni di giustizia...»169.

Ma poiché, nella situazione attuale, bisogna scegliere tra ebrei e arabi, lui non esita. Gandhi è contrario alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina:

La Palestina è degli arabi come l’Inghilterra è degli inglesi o la Francia dei francesi. È un grave errore, è inumano imporre gli ebrei agli arabi. La Palestina della Bibbia non è una regione geografica. Essa è nei cuori. E se loro devono considerare la Palestina geografica come loro nazione, volerci entrare all’ombra dei fucili britannici è un errore. Un atto religioso non può riuscire con l’aiuto delle baionette e delle bombe. Loro potranno stabilirsi in Palestina solo con il consenso degli arabi [...]. Non voglio qui difendere gli eccessi arabi. Vorrei che avessero scelto la via della nonviolenza per resistere a quella che considerano a ragione come un’ingiustificabile usurpazione del loro paese [...]. La via più nobile è invocare con insistenza un giusto trattamento nei confronti degli ebrei nel luogo dove sono nati e cresciuti...109

Poi viene la parte più terribile: come alle vittime di Amritsar, Gandhi raccomanda agli ebrei di accettare il massacro senza lamentarsi, senza ribellarsi.

Se io fossi ebreo, nato in Germania, e mi guadagnassi da vivere in quel paese, dichiarerei che la mia patria è la Germania, come può dire il più distinto dei Gentili, e sfiderei il nemico a uccidermi o imprigionarmi; io rifiuterei di essere espulso o sottomesso a un trattamento discriminatorio. Può darsi che la violenza calcolata di Hitler generi un massacro generale degli ebrei come prima risposta a una simile dichiarazione di ostilità. Ma se lo spirito ebraico è pronto alla sofferenza volontaria, perfino il massacro che ho immaginato potrà tramutarsi in un giorno d’azione di grazia e di gioia per Geova che ha operato per la liberazione del popolo...169

Difficile dire parole più scandalose. Arriva addirittura a stabilire un’equivalenza tra la situazione degli ebrei in Germania e quella degli indiani in Sudafrica, e si pone come esempio da seguire. In pratica dice agli ebrei: «Fate della resistenza passiva!». Scrive:

Vi è nella campagna di satyagraha in Sudafrica un equivalente esatto. Lì gli indiani occupavano esattamente lo stesso posto degli ebrei in Germania. La persecuzione rivestiva ugualmente un aspetto religioso. Il presidente Kruger diceva che i cristiani bianchi erano gli eletti di Dio e che gli indiani erano degli esseri inferiori creati per servire i bianchi. Una clausola fondamentale della Costituzione del Transvaal stabiliva che non doveva esserci uguaglianza tra i bianchi e le razze di colore, compresi gli asiatici. Anche lì gli indiani erano relegati in ghetti chiamati “riserve”. Le altre restrizioni erano più o meno dello stesso tipo di quelle applicate agli ebrei in Germania. Gli indiani, o piuttosto uno sparuto gruppo di questi, ricorsero al satyagraha senza il sostegno del mondo né del governo indiano. Anzi, i funzionari britannici tentarono di dissuadere i satyagrahi dall’intraprendere l’azione che progettavano. L’opinione pubblica mondiale e il governo indiano andarono loro in aiuto solo dopo otto anni di lotta. E lo fecero con delle pressioni diplomatiche, non con una minaccia di guerra.169

Non capisce che Hitler non è Smuts e che gli inglesi sono ben diversi dai nazisti. In Europa e in America scoppia la bufera. Quando dicono a Gandhi che il suo punto di vista è influenzato dalla preoccupazione per l’unità tra hindu e musulmani, lui ribatte: «[Io non] venderei mai la verità nemmeno per la causa dell’indipendenza indiana o per conquistarmi i favori dei musulmani».

In realtà, all’epoca Gandhi si preoccupa molto delle relazioni tra le due comunità in India, che si sono incrinate da quando il Congresso governa nella provincia. Alla fine del 1938, la Lega diffonde dei rapporti che elencano le lamentele dei musulmani nelle province governate dal Congresso. È un attacco in piena regola a Gandhi. La Lega si indigna per il fatto che il giorno della sua nascita sia a volte dichiarato festivo, che si faccia cantare l’inno del Congresso a scuola, che si issi la sua bandiera e che il programma educativo fissato a Wardha non includa niente di religioso. Gandhi risponde: «La decisione di rendere il mio compleanno giorno festivo dovrebbe essere considerata un’”offesa”; quanto all’inno e alla bandiera, sono del parere che si debbano rispettare le suscettibilità musulmane e non intonare l’inno né issare la bandiera se anche un solo musulmano è contrario; infine il programma di Wardha non contiene nemmeno un riferimento a qualche insegnamento hindu»169.

Nel frattempo, Gandhi spiega all’americano Mott, giunto a Sevagram, riguardo all’ascesa delle dittature: «Il mondo dovrà affrontare il gangsterismo in maniera diretta, brutale»54. Mott lo interroga sul ruolo del silenzio nella sua vita: «Ormai è diventato una necessità sia fisica che spirituale. All’inizio, l’ho praticato per alleviare la tensione. Poi ho voluto avere del tempo per scrivere. In seguito, praticandolo da qualche tempo, mi sono accorto del suo calore spirituale. All’improvviso, mi ha attraversato l’anima l’idea che quello era il momento in cui potevo comunicare meglio con Dio»54.

In Germania, dove la situazione degli ebrei peggiora sempre di più, la lettera di Gandhi ha sconvolto tutti i suoi amici. E poi gli inglesi scelgono proprio questo momento per vietare agli ebrei di rifugiarsi in Palestina: pubblicano infatti un nuovo Libro Bianco in cui si afferma che non ci sarà divisione della Palestina né creazione di uno Stato ebraico senza il consenso degli arabi. L’immigrazione ebraica è limitata a 75.000 persone in cinque anni. Sia arabi che ebrei rifiutano la quota.

La situazione mondiale degli ebrei diventa così terribile che a gennaio del 1939 un vecchio malato, che Gandhi non vede da un quarto di secolo, attraversa il mondo per supplicare il Mahatma di parlare in altro modo degli ebrei: Hermann Kallenbach, l’architetto tedesco insieme al quale ha lottato per decenni, che lui ha lasciato tra le grinfie della polizia inglese e con cui, da allora, scambia lettere ogni quindici giorni. Kallenbach è rimasto a Durban come architetto. Un architetto famoso, corrispondente di Gropius141. Quando questi arriva, i due uomini fanno grandissima fatica a riconoscersi. Ma Kallenbach non è venuto a rivangare vecchi ricordi. Ha fatto quel lungo viaggio per esprimere la sua collera: contrariamente a quanto sostengono gli agiografi di Gandhi, se si leggono con cura quei testi, si deduce che l’incontro va male. Kallenbach torna dalla Palestina, dove ha pensato di stabilirsi in un kibbutz142. Ricorda a Gandhi che per vent’anni si è occupato della sorte degli indiani e non gli ha mai chiesto di occuparsi di quella degli ebrei. Questa volta ha bisogno di lui. È necessario, dice Kallenbach, che Gandhi parli degli ebrei, ma in modo diverso: che riconosca loro il diritto alla loro terra, il diritto di essere difesi e quello di difendersi. Deve chiedere che Hitler sia condannato come il mostro che è.

Gandhi non intende ammettere di avere torto. Kallenbach allora racconta piangendo quello che succede nel suo paese natale. Racconta dei campi, dei pogrom, dei ghetti, delle umiliazioni. Dice che lui è sempre nonviolento ma ucciderebbe Hitler se potesse, e non potrebbe mai pregare per lui. Supplica Gandhi di scrivere al Führer, nella speranza che un appello da parte di una personalità tanto prestigiosa, che vive fuori dall’Europa, potrebbe sortire qualche effetto almeno sull’opinione pubblica, se non sul capo del Reich. Niente da fare.

Il 18 febbraio Gandhi pubblica su «Harijan» un terribile commento, in cui definisce colpevole non il nazismo, ma il suo amico Kallenbach:

Si dà il caso che un mio amico ebreo in questo momento si trovi da me. Intellettualmente crede nella nonviolenza. Ma dice che non può pregare per Hitler. È talmente pieno di rabbia per le atrocità tedesche che non riesce a parlarne con calma. Io non gli rimprovero la sua rabbia. Lui desidera essere nonviolento, ma le sofferenze dei suoi compagni ebrei sono troppo difficili da sopportare per lui.169

Le sofferenze dei suoi amici ebrei, osa scrivere, sono «troppo difficili da sopportare per lui»! E definisce Kallenbach «un mio amico ebreo»! Senza mai fare il suo nome. Non si potrebbe immaginare maggiore distacco.

Un nuovo satyagraha?

L’Europa è messa a ferro e fuoco. Ma questo non preoccupa minimamente Gandhi: il 3 marzo 1939 intraprende un «digiuno fino alla morte» per ottenere... una riforma dell’amministrazione e una maggiore autonomia dell’India. Lo interrompe il 7 su richiesta del viceré, che gli fa sapere che non si può aspettare assolutamente niente, e dei suoi amici del Congresso, che lo ritengono inutile. È più isolato che mai e il 18 scrive, con profonda amarezza:

È notevole che nessuno dei miei colleghi del mondo politico abbia provato il richiamo del digiuno. E sono felice di poter dire che non mi hanno mai serbato rancore per i miei digiuni. Nemmeno gli altri membri dell’asram hanno sentito questo richiamo, tranne in rare occasioni. Anzi hanno accettato la regola per cui non dovevano intraprendere digiuni penitenziali senza la mia approvazione, anche se il richiamo interiore fosse parso loro terribilmente pressante.169

Gandhi sente affiorare nuove esigenze nel popolo, ben oltre la minuscola riforma elettorale. Teorizza dunque la manifestazione di massa. Il 25 scrive:

Nel satyagraha, non è mai il numero che conta, ma la qualità, a fortiori, quando si scatenano le forze della violenza. Così, spesso si dimentica che il satyagrahi non cerca mai di confondere chi fa il male. Non fa mai appello alla sua paura, ma al suo cuore [...].
1. Egli deve avere una fede incrollabile in Dio, perché Egli è la sua unica roccia.
2. Verità e nonviolenza devono costituire il suo credo; è dunque indispensabile che sia convinto della bontà della natura umana, e speri di suscitarla con la sua verità e l’amore espresso dalla sua sofferenza.
3. Deve condurre un’esistenza casta, pronto a donare volontariamente la sua vita e i suoi beni nell’interesse della sua causa.
4. Deve filare e tessere la khadi. Ciò è essenziale per l’India.
5. Non deve consumare alcol né droghe, affinché la sua ragione sia sempre chiara e il suo spirito attento.
6. Deve applicare di buon grado tutte le regole di disciplina che possono essere via via promulgate.
7. Deve rispettare le regole delle prigioni, tranne se esse sono concepite appositamente per umiliare il suo amor proprio.
Tali qualità non sono da considerarsi esaustive. Esse costituiscono solo degli esempi.170

Qualche settimana più tardi, si domanda se può lanciare un nuovo satyagraha:

È poco probabile che con leggerezza e in un prossimo futuro io consigli un satyagraha di massa. La popolazione non ha né la preparazione, né la disciplina necessarie. [...] Io non conosco altri programmi che quello, costruttivo, del 1920, in quattro parti. Se la popolazione non lo applica di buon grado, questo a mio avviso proverà la sua mancanza di ahimsa, almeno per come la concepisco io, o la sua mancanza di fiducia nei leader attuali. Per me, non c’è altro test che quello che propongo alla nazione dal 1920.

A maggio, quando davanti all’aggravarsi delle tensioni mondiali il Congresso «si oppone a qualsiasi tentativo di imporre la guerra senza il consenso del popolo indiano», Gandhi si interroga ancora sulla possibilità di rilanciare una manifestazione di massa. Ne sente i fremiti: ovunque nel paese, a Hyderabad, Travancore, Jaipur, Orissa, è sempre più evidente che le riforme elettorali del 1935 non basteranno a soddisfare le aspirazioni all’ampliamento delle libertà civili e alla creazione di istituzioni democratiche. L’agitazione riprende.

Il 3 giugno, in un discorso a Brindavan nell’Uttar Pradesh, Gandhi dichiara che un socialista ateo non può in nessun caso essere un satyagrahi, perché la fede in Dio è una delle qualità indispensabili: «Un satyagrahi non ha altro sostegno che Dio, e chi ne ha un altro o conta su un altro aiuto non può praticare il satyagraha. Può essere un resistente passivo, un non-cooperante, e così via, ma non un vero satyagrahi»169. Il 6 giugno scrive ancora:

È permesso praticare il satyagraha in prigione contro un trattamento inumano? Sì, ma “trattamento inumano” è un’espressione tra le più difficili da definire, che non può indicare tutto e qualsiasi cosa. Un satyagrahi è pronto a sopportare le torture, i trattamenti brutali, e anche le umiliazioni, ma non deve fare niente che sia contrario al suo amor proprio e al suo senso dell’onore. Tuttavia, il satyagraha non è un’arma che possa essere utilizzata alla leggera, facilmente o alla minima provocazione. È preferibile che chi cede facilmente alla provocazione non vada in prigione.169

Presto troverà un’ottima occasione per verificare se questo tipo di manifestazione sia possibile.

Ritorno a Rajkot, «laboratorio prezioso»

Gandhi ha visto giusto: la gente è esasperata. La popolazione della città dove Gandhi ha trascorso la sua prima giovinezza, Rajkot, reclama un governo democratico. Gandhi pensa che possa essere un «laboratorio prezioso» per tastare il polso del paese e assicurarsi di poter rilanciare una battaglia globale, un nuovo satyagraha per avanzare sulla strada verso l’indipendenza109. Invia sul posto Vallabhbhai Patel, che trova un accordo con il principe locale, nipote di colui il cui padre era divan: viene concessa l’amnistia ai prigionieri politici; un comitato di dieci persone (di cui sette designate da Patel) è incaricato di preparare un piano di riforma istituzionale. Poi però, seguendo il consiglio del suo divan e del residente britannico, il principe ritorna sulla sua decisione e respinge questo comitato. Gandhi allora manda Kasturba, poi il 10 giugno va di persona a spiegare che è necessario che tutti si calmino e che si negozi tranquillamente. Ripete con insistenza la solfa dell’uso dell’arcolaio come metodo per dominare la violenza:

Dipende dalla volontà degli individui di coltivare la nonviolenza in pensieri, parole e azioni [...]. Il massimo lavoro e il minimo discorso: questo deve essere il vostro motto. Al centro del programma c’è l’arcolaio [...] non un vago programma di filatura, ma la comprensione scientifica di tutti i dettagli, comprese le leggi meccaniche e matematiche di questa attività, lo studio del cotone e delle sue varietà e così via...169

Ricorda l’abilità di un musicista cieco che aveva ascoltato, da bambino, per le strade di quella città, e aggiunge: «Il cuore di ogni essere umano possiede delle corde sensibili. Se noi sappiamo toccare la corda giusta, facciamo nascere l’armonia»109.

Le interminabili discussioni con il divan, lontano successore di suo padre, non servono a niente. Nel corso di una manifestazione Kasturba è arrestata. Gandhi non si sente molto bene: trema, e ad aprile il suo segretario Pyarelal deve scrivere su «Harijan» che questo tremito, che tutti possono vedere, «è un vecchio sintomo che lo coglie ogni volta che riceve un forte shock psicologico», in generale seguito «da un dolore acuto alla vita»154.

Gandhi denuncia «la rottura a sangue freddo di un accordo stabilito tra il sovrano di Rajkot e il suo popolo»109. Esorta dunque il popolo di Rajkot «a sollevare il principe dai suoi obblighi» e decide di digiunare per ottenere il rispetto dell’accordo. Il suo digiuno trasforma una semplice questione locale in crisi nazionale109. Il viceré invia il suo ministro della Giustizia, Sir Maurice Gwyer, a gestire il conflitto. Gandhi è entusiasta di questo intervento dettato dal suo digiuno. Sir Maurice, contraddicendo il suo residente che si era opposto, chiede l’attuazione delle riforme da parte di Patel. Gandhi allora interrompe lo sciopero della fame. I manifestanti e Patel esultano.

Ma il principe e il suo divan rifiutano di cedere. È l’impasse. Gandhi spiega che non avrebbe mai dovuto interrompere il suo digiuno. Rimpiange l’intervento del rappresentante del viceré, decide di considerare nullo e non avvenuto l’arbitraggio di Sir Maurice e rifiuta di chiederne l’attuazione, con grande disappunto dei manifestanti e di Patel.

Rajkot è davvero per Gandhi un «laboratorio prezioso» in un momento in cui riflette sulla possibilità di rilanciare un satyagraha globale in tutto il paese. Il 24 giugno 1939 scrive: «Ho osservato che, nei principati, il movimento ha prodotto una reazione violenta contro i principi e i loro consiglieri. Questi non fanno alcun affidamento sul Congresso e non accettano la sua ingerenza. In certi casi, la parola stessa “Congresso” è una sorta di anatema...»169. Qualche giorno più tardi, aggiunge:

Ritengo che lo swaraj nonviolento sia impossibile se gli hindu, i musulmani e gli altri non rinunciano alla sfiducia reciproca e non vivono come fratelli di sangue; se gli hindu non si purificano sopprimendo il flagello dell’intoccabilità e instaurando strette relazioni con coloro che emarginano, da tempo immemorabile, dalla società; se gli uomini e le donne ricchi dell’India non pagano le tasse; se i poveri, vittime impotenti dell’alcol e della droga, non riescono a resistere alla tentazione poiché non vengono chiusi gli spacci di alcol e droghe, infine se non decidiamo di identificarci con le moltitudini che muoiono di fame, rinunciando ai tessuti industriali e tornando alla khadi prodotta da milioni di mani nei villaggi dell’India.169

Inoltre difende una forma nonviolenta di lotta di classe: «È possibile organizzare i contadini e gli operai in vista di un’azione nonviolenta efficace se i membri del Congresso vi si applicano onestamente. Ma questo è impossibile se non credono al successo finale dell’azione nonviolenta. È solo necessaria la giusta formazione di contadini e operai»169.

Trae dunque la conclusione che l’India non è pronta a battersi per la democrazia e che, se un giorno fosse attaccata, la nonviolenza di massa senza dubbio non si rivelerà efficace: «L’atmosfera nei principati non è propizia all’instaurazione di un governo democratico, il popolo non è pronto a pagarne il prezzo; esso dovrebbe ricevere una preparazione adeguata. Il popolo non ha la formazione né la disciplina necessarie perché possiamo incitarlo a un satyagraha di massa, né ora né in un prossimo futuro»169. Di conseguenza, Gandhi non vuole più satyagraha di massa, bensì con la partecipazione di persone selezionate. Aumenta i requisiti dei satyagrahi volontari: essi devono essere davvero nonviolenti, non solo nelle azioni ma anche nei pensieri. E chiede agli abitanti dei principati di limitare le loro richieste a quelle che i sovrani possono soddisfare: libertà di parola e associazione, indipendenza della giustizia109.

Lettera di un «amico sincero» a Hitler

Nell’estate del 1939, mentre la guerra, imminente in Europa, si sviluppa in Cina, le truppe indiane sono inviate preventivamente in Malesia e in Estremo Oriente senza che alcun indiano sia stato consultato. Come protesta, il Congresso si astiene all’Assemblea Legislativa centrale (che emette solo un voto consultivo) nello scrutinio relativo a un progetto di legge depositato dal viceré, che organizza la difesa e gli concede più ampi poteri in caso di guerra. Il 10 agosto, il Congresso adotta una risoluzione, approvata da Gandhi, in cui si afferma:

In questo momento di crisi mondiale, la simpatia del comitato esecutivo del Congresso va interamente ai popoli che difendono la democrazia e la libertà; il Congresso ha senza sosta condannato l’aggressione fascista in Europa, Africa e Asia, come anche il tradimento della democrazia da parte dell’imperialismo britannico in Spagna e Cecoslovacchia. Il Congresso ribadisce la sua determinazione a rifiutare qualsiasi tentativo di imporre la guerra all’India.

Alcuni, al contrario, vedono nel comportamento del Reich nei confronti degli ebrei un modello da seguire con i non hindu. Il capo del Rashtriya Swayamsevak Sangh, Madhav Sadashiv Golwalkar, scrive in un’opera intitolata We or Our Nationhood Defined: «La Germania ha mostrato che è del tutto impossibile integrare razze e civiltà che hanno origini diverse; è una buona lezione per noi, nello Hindustan, e dobbiamo trarne profitto [...] le razze straniere nello Hindustan dovranno adottare la cultura e la lingua hindu, rispettare e onorare la religione hindu ecc.». Qualcuno pensa addirittura che la conversione dei musulmani debba essere obbligatoria e che quelli che si rifiutano debbano andarsene. Oppure essere massacrati.

Kallenbach insiste: rifiuta di partire prima che Gandhi abbia scritto una lettera a Hitler. E l’ottiene! Il 23 luglio parte, dopo sei mesi passati a Sevagram, per tornare in Sudafrica, portando con sé questa lettera. Deluso, ma avendo almeno ottenuto questa minima cosa da Gandhi, Kallenbach la consegna lui stesso alla posta di Wharda, prima di lasciare l’India. Ma che lettera! In essa scopriamo che, se Gandhi ha esitato a scrivere a Hitler, non è perché non voleva avere a che fare con un mostro, ma perché pensava di non avere il diritto di chiedergli nulla, convinto che scrivere al dittatore fosse... un’«impertinenza»!

Lettera pietosa, indirizzata a «Herr Hitler, Berlin, Deutschland», in cui Gandhi spreca righe a scusarsi per il disturbo arrecato al Führer, essendo stato costretto da «amici» a scrivergli. Riconosce come «validi» gli obiettivi del dittatore di cui si dichiara «amico sincero», rimproverandogli solo di usare la guerra per raggiungerli:

Alcuni amici mi hanno incoraggiato a scrivervi per amore dell’umanità. Ma ho resistito alla loro richiesta ritenendo che una mia lettera avrebbe costituito un’impertinenza [...]. È chiarissimo che oggi Voi siete la sola persona al mondo che possa impedire una guerra che rischia di ridurre l’umanità allo stato selvaggio. Dovete proprio pagare questo prezzo per un obiettivo, per valido che esso possa apparire ai vostri occhi? Ascolterete l’appello di uno che ha deliberatamente evitato il metodo della guerra, e non senza un considerevole successo? [...] Ad ogni modo, imploro il Vostro perdono se ho commesso un errore scrivendovi.
Vostro amico sincero,

Sd. M. MK Gandhi169

Il Raj blocca la lettera, cosa che Gandhi ignora quando, il 9 settembre, la pubblica su «Harijan», dando in questo modo una sorta di avallo a Hitler.

Il 1° settembre 1939, la Germania ha invaso la Polonia e il 3 l’Inghilterra e la Francia le hanno dichiarato guerra.