Casey Morrow, un giovane intento ad annegare nel whisky i suoi dispiaceri, viene abbordato nel bar da una bella sconosciuta che gli chiede di sposarla offrendogli in compenso una cospicua somma.

L’indomani Casey si sveglia con la sensazione di aver sognato, ma i cinquemila dollari che si trova in tasca gli dicono che il ricordo è reale. E su un quotidiano trova una notizia sensazionale: “Finanziere ucciso! Ereditiera scomparsa!”, con una foto dell’ereditiera in prima pagina: è proprio la ragazza del bar!

Helen Nielsen

Notturno per la morte

1

Dal punto di vista di Casey la vita era un tiro mancino: inizio non richiesto, fine indipendente dalla propria volontà, e nulla tra i due che fosse degno neppure di una pesca di beneficenza. Però arrivava in un pacco, simile a una cravatta per Natale, e una volta aperto il pacco non si poteva più liberarsene.

Casey Morrow stava riflettendo di nuovo, ed era un brutto segno. Occorreva buttar giù un altro sorso.

“Ho bisogno di bere” consigliò a se stesso in tono grave (perché non c’era nessuno li attorno cui dar consigli) e trasse di tasca il suo ultimo denaro. Ormai non era più un malloppo di entità ragguardevole a causa dell’andazzo di tutto il pomeriggio, ma stese comunque due biglietti spiegazzati sul ripiano di vetro del tavolo e li scrutò per accertarsi. Due dollari. Ultimi rimasugli del Grosso Affare, e ciò significa che il whisky avrebbe dovuto agire più rapidamente di quanto non avesse fatto sino allora, se voleva raggiungere uno stato di felice oblio prima che i fondi sfumassero. Esistevano bar più economici — in quel campo era molto pratico, — ma per questo particolare Crepuscolo degli Dei occorreva quel che c’era di meglio in fatto di locali. Tavoli ricoperti di vetro, soffici cuscini, luci diffuse. Ora si trovava nel bar più buio che gli fosse mai capitato di vedere fuori dall’inferno, e anche là c’era stato.

Si sarebbe detto che non ci fosse anima viva, ma poi d’un tratto l’ombra confusa di un cameriere emerse dall’oscurità, l’attimo necessario per posare un altro whisky sul tavolo e scomparire con uno dei biglietti spiegazzati. I suoi passi erano attutiti dallo spesso tappeto, e dal semicerchio azzurrino del banco proveniva solo un lontano tintinnar di bicchieri. Casey non guardava il bar, che da quella distanza del resto non avrebbe potuto vedere, ma pur non vedendolo sapeva che era quasi deserto. In un locale elegante di Chicago è poca la gente che si fa un proposito di ubriacarsi nel primo pomeriggio, a meno che non voglia festeggiare un evento particolare, magari il proprio funerale. Proprio allora il sogno ebbe inizio.

— Posso sedermi?

La domanda non era stata preceduta da una frase d’approccio, ma non era troppo strano udire voci, date le circostanze. Cose che accadono. Casey riuscì con non poca difficoltà a distrarre la propria attenzione dal whisky per concentrare lo sguardo un poco più in alto, e, man mano che le ombre si diradavano, si chiedeva perché mai gli fosse occorso tanto tempo. Viso e figura di quella voce erano decisamente femminili e di primo ordine, e l’espressione con cui lei lo guardava non era certo indicata a chiarirgli le idee.

— Mi sembrate solo — aggiunse. — Tanto vale che uniamo le nostre solitudini.

Casey Morrow accettava quello che la sorte offriva, fosse bello, brutto o indifferente. Non che ne avesse sempre voglia, ma l’esperienza gli aveva insegnato che la sua opinione in merito non sarebbe comunque stata richiesta. E adesso era apparsa quella ragazza, indiscutibilmente bella. Il vocabolario di Casey era limitato, ma in simili casi trovava le parole adeguate. Mentre rimuginava per trovare una risposta adatta alla provocante proposta di lei, la ragazza prese posto sull’altro lato della nicchia, tanto vicina che le sue ginocchia sfiorarono quelle di lui. Intanto alle narici di Casey giungeva il profumo pungente dei capelli color miele. Si appoggiò allo schienale, illuminata dalla piccola lampadina da tavolo in modo da mettersi bene in evidenza, e lui ne approfittò per notare, tra l’altro, gli occhi color fumo e le labbra turgide, fresche.

Si chiedeva che cosa potesse volere una donna simile da Casey Morrow, un tipo non bello, che dimostrava più dei suoi trent’anni. Poi la sua bocca larga si torse” in un sorriso ironico, mentre stringeva con gesto quasi tenero l’ultima banconota spiegazzata.

— Mi dispiace — disse — ma questa è per me.

— Vi sembra gentile? — Lei non aveva battuto ciglio.

— È una questione economica… economia elementare. — L’ultima frase gli era riuscita difficile, e riprese quasi sillabando: — Bellezza, non c’è altro. È una triste verità, ma non c’è altro.

A questo punto, secondo ogni regola, la ragazza avrebbe dovuto ricordarsi di un impegno precedente e andarsene. Invece lei pareva seguire regole personali a seconda degli eventi. Gli occhi color fumo scrutarono il viso di lui, esaminandolo attentamente dai capelli scuri scomposti fino al mento quadrato, volitivo. All’esame di lei non sfuggi la cicatrice seminascosta dal sopracciglio, ricordo della mira poco esatta d’un giapponese, ed era prevedibile che non le sfuggisse neanche l’espressione insolente di quel sorriso sarcastico. Eppure non se ne andò.

— Vi dispiace se mi pago da bere? — chiese.

— Non mi dispiacerebbe neppure se pagaste anche per me, bellezza.

— Intesi, allora.

Lo disse come se nulla fosse. Casey si appoggiò allo schienale del divano e cercò di ottenere una prospettiva più chiara della situazione. Nulla di mutato. Era davvero seduta li, era davvero bellissima e stava davvero ordinando da bere anche per lui, assistita dal cameriere dall’occhio di falco.

— Rinuncio — disse. — A che gioco giochiamo?

— Ve l’ho già detto. Me ne stavo sola soletta al bar e mi sono stancata.

— Che razza di città è mai questa, se una ragazza come voi è assillata da un simile problema?

Quasi quasi sorrise, dando la netta impressione che il sorriso, se fosse veramente spuntato, sarebbe stato qualcosa di eccezionale, e intanto lo fissava come se in vita sua non avesse mai avuto nulla da nascondere. Sconcertante, ma non quanto la sua conversazione.

— Se lo desiderate potete parlarmene — stava dicendo.

— Parlarvi di che?

— Dei vostri guai.

— Ho dei guai?

— Tutti ne hanno, specialmente le persone come noi.

— E che gente siamo?

— È appunto questo uno dei nostri guai: non lo sappiamo.

Quella mocciosa — e non era altro, nonostante le lunghe ciglia e la bocca provocante — diceva le cose più impensate.

— Ora so chi siete! — Il tono di Casey era trionfante. — Appartenete a un’opera sociale. Il vostro visone mi aveva tratto in inganno, sulle prime. — Si trattava infatti di un visone che non rispondeva al concetto che si era fatto di lei, a meno che in quel quartiere non si facessero le cose in grande stile. Lei, poi, lo portava come se ci fosse abituata dalla nascita.

— Mi dispiace di sembrare uno zoticone — aggiunse. — Manco da tanto tempo dalla mia città, che mi sono arrugginito. Che cosa volete, esattamente?

— Avete una sigaretta?

Gliela diede, considerando che se l’era guadagnata, e lasciò che se l’accendesse col suo accendisigari incastonato di pietre, mentre l’osservava procedere tastando il terreno.

— Siete sospettoso, mi pare — gli disse. — Mi va, denota intelligenza.

— Grazie, signora maestra. Quando mi darete il premio?

— Non siate scontroso. Chissà, potrei essere la fortuna che bussa alla vostra porta.

— Non c’è pericolo. — Casey scrollò la testa. — L’ultima volta che la fortuna bussò alla mia porta la feci entrare. Ora non ho più neppure una porta.

— Era bella?

— Mi costò cara.

— La sposaste?

— Non mi costò cara fino a questo punto.

Poteva darsi che fosse frutto della sua fantasia, ma ebbe l’impressione che queste sue confidenze le garbassero molto. O l’aveva imbroccata oppure stava scivolando nello stato che fa parere felice il prossimo. Ogni volta che posava sul tavolo il bicchiere vuoto, uno pieno lo sostituiva. Tutto andava dunque a gonfie vele, finché il cameriere non s’impossessò del dollaro solitario. Per un momento, Casey fu sommerso da un’ondata di solennità, perché l’essere al verde, totalmente al verde, non è uno stato che vada preso con leggerezza, e il suo dolore era tale, che non riusciva a dissimularlo.

— Era davvero il vostro ultimo dollaro? — chiese la ragazza.

Lui sospirò: — Davvero.

— In tal caso, potrebbe interessarvi un lavoro.

Casey rimase perplesso. Non era la prima volta che gli veniva proposto un lavoro, sebbene mai in modo così diplomatico, ma l’ora, il luogo e la ragazza erano privi di logica. Concluse d’aver immaginato la scena. Nonostante il suo piano di buttar giù un sorso e non pensare al domani, il subcosciente non gli dava tregua. E dal momento che si trattava di pura fantasia e che la ragazza era frutto delle libagioni, tanto valeva esser cordiali.

— Quale sarebbe il vostro progetto? — le chiese.

— Che attività svolgete?

Era un problema con cui si erano già arrabattati i cervelli più intelligenti dell’Ufficio Disoccupazione, ma Casey non esitò. — Sono stato barista, camionista e guerriero.

— E questa è stata la vostra più recente attività?

— La penultima. Dopo aver vinto la guerra, con qualche trascurabile aiuto, dovevo disporre del mio denaro mal guadagnato. Avrei potuto dedicarmi alle corse dei cavalli, ma è troppo rischioso, perché esiste sempre la possibilità di vincere. Mi misi invece negli affari e in quattro e quattr’otto feci piazza pulita.

Non desiderava rivangare tutto ciò. In fin dei conti, l’intero scopo della festicciola era di dimenticare. Caso strano, però, la ragazza non chiese nulla. Disse invece: — Siete disponibile, allora.

— Per qualsiasi cosa.

Forse era stata una frase imprudente, ma, in questi casi, si sentiva proprio così: eccitato, spericolato, pronto a tutto. Quando era apparsa quella visione dagli occhi color fumo e priva di apparenti inibizioni, era sommerso dall’avvilimento, e qualcosa doveva pur succedere. La ragazza ordinò ancora da bere, e la sua voce bassa e riposante si affievolì, come in lontananza. Casey non aveva visto se aveva gareggiato con lui, nel calmare la sete, e del resto la cosa non avrebbe avuto importanza, dato il suo grande vantaggio. Era ancora abbastanza euforico, ma non gli garbava che l’immagine della sua interlocutrice svanisse in quel modo. Appoggiò il mento su una mano, sforzandosi di centrare la vista su di lei e soprattutto di afferrare ciò che stava dicendo:

— Un incarico proprio adatto a voi. Credo che vi piacerà.

— Allora non si tratta di guidare un autocarro.

— No. — Ancora una volta, lei parve sul punto di sorridere.

Il sorriso, una vaga promessa di sorriso, quegli occhi, un fremito delle labbra. Però continuava a dileguarsi, per quanti sforzi Casey facesse. Quando lui tentennò il capo a significare che aveva capito, la ragazza chiese il conto e, solo dopo che il cameriere fu apparso e scomparso, Casey vide la borsetta aperta sul tavolo. Il suo sguardo fu attirato non tanto dalla borsetta, che per lui assomigliava a qualsiasi altra, quanto dall’interessante pacco di banconote che conteneva, e che valse a dissipare per un attimo la nebbia nella quale era immerso.

— Che cosa avete detto? — borbottò.

— Cinquemila.

Cinquemila. Bastava aggiungere la parola “dollari” e nasceva la più bella frase che avesse mai uditp. Cercava disperatamente di trovare una spiegazione coerente, quando, dalla porta che dava sulla strada, soffiò una folata di vento lacustre, mentre un cliente entrava nel locale. Quel vento salutare, freddo e tagliente, che ravvivava le giornate nuvolose di novembre a Chicago. Casey scrollò il capo, conscio che c’erano ancora da riempire molte lacune, ma la ragazza taceva e aspettava. Tuttavia fu ancora lei a rompere il silenzio:

— Se dobbiamo arrivare prima che sia buio, sarà bene muoversi — gli disse infine.

Evidentemente dovevano andare da qualche parte. A Casey seccava dover ammettere di non aver seguito i discorsi di lei, e finse d’essere al corrente, mentre si alzava e s’infilava l’impermeabile, ma poi, nell’avviarsi alla porta, concluse che la finzione non poteva durare in eterno.

— Chiariamo bene — disse. — Di che lavoro avete parlato?

Non si era sbagliato circa il sorriso. Spuntò, ed era veramente eccezionale. Fantastici davvero i sogni pazzeschi e inverosimili che potevano nascere da una bottiglia.

— Dovevate essere distratto — lo redarguì la sconosciuta. — Potreste prestare un poco d’attenzione, quando una ragazza vi chiede di sposarla.

2

Ecco dunque il sogno. Casey ne emerse lentamente, si stirò e aprì gli occhi. Nulla più ebbe alcun senso. Giaceva prono su una sorta di lettino stretto e in apparenza senza molle, e, quando si sollevò, vide per prima cosa una donna seduta su una sedia di cucina, all’altro capo della camera.

Non era uno spettacolo particolarmente piacevole, ma gli venne fatto di pensare che era una visita piuttosto inconsueta, data l’ora mattutina. Si rizzò sul gomito per guardare di nuovo, e a poco a poco notò altre stranezze, fra le quali un pesce morto e una bottiglia di vino, per non parlare d’un cielo cosparso di dischi volanti tra cui spiccava un ukulele dalla forma bislacca. Sorrise divertito. Erano quadri accatastati contro le pareti.

Ripensandoci bene, però, le tele non avevano maggior senso logico della prima impressione avuta. Benché un cerchio di ferro gli attanagliasse le tempie, riuscì a mettersi a sedere sul lettino e a guardarsi attorno. La stanza, piccola e quadrata, era illuminata solo da un lucernario distante un chilometro, lassù nel soffitto, e, con l’acume di cui disponeva sempre dopo una sbornia, Casey dedusse di essere nello studio di un artista ove non mancavano l’intonaco scrostato, la vernice graffiata e i soliti accessori. Non rammentava di conoscere artisti, ma ciò non valeva a far luce sulla situazione, e nemmeno spiegava quale buon samaritano gli avesse allentato la cravatta e tolto le scarpe, rincalzandolo poi in una coperta militare. Certo era dovuto al medesimo buon samaritano il rincorante aroma di caffè caldo, che proveniva da dietro un cavalletto ricoperto da un telo. S’infilò le scarpe e partì per indagare, incerto su ciò che avrebbe scoperto, ma lontano mille miglia dalla verità.

Non appena le sue corde vocali si decisero a funzionare, disse: — Scusate, non ci conosciamo credo.

La donna non era un dipinto. Alta per lo meno quanto lui, che non aveva nulla del gigante, aveva capelli color mogano, corti e arruffati. Indossava sul pigiama un camice imbrattato di colori, ai piedi portava pantofole foderate di pelo, e nei suoi occhietti vivaci era palese uno sguardo bonario e divertito.

— Chiamatemi pure Maggie — disse. — Vi secca bere da una tazza senza manico?

— È casa vostra, questa?

— Finché pago l’affitto.

La cucina era poco più grande di una cabina telefonica, ma Maggie pareva avere tutto sotto mano. Si allontanò un attimo dal fornello a gas, aprì il rubinetto del lavandino da bambola e tese al suo ospite una cartina di bicarbonato, dicendo: — Tutto sommato, credo che vi servirà poco, ma è, per lo meno, un pensiero gentile.

— Grazie. A proposito, come mai sono qui?

— Speravo che poteste spiegarmelo voi.

— Non lo sapete?

— So appena che, quando vi attaccate a un campanello, non mollate più. Non so che cosa vogliate vendere, giovanotto, ma io compro di rado dai viaggiatori di commercio che vengono dopo le due del mattino.

Ora che i suoi occhi si erano abituati a stare aperti, Casey vedeva più chiaramente il viso di lei; non poteva dirsi grazioso: tondo, con il naso all’insù, e con tante piccole rughe che lo solcavano, quando sorrideva. Un viso espressivo che rivelava molto, anche se le labbra restavano chiuse.

— Per questo mi avete accolto in casa e mi avete dato un letto? — le chiese.

— Pioveva.

Non era una ragione sufficiente. Casey lo sapeva, ma non ebbe modo di approfondire perché Maggie aggiunse subito: — In fondo al corridoio, c’è la stanza da bagno, e a lasciarla scorrere per circa un quarto d’ora, l’acqua si scalda un po’. Nel frattempo, avrò già bruciato le uova e carbonizzato il pane tostato.

A Casey Morrow, uomo navigato, capitava spesso di trovarsi in luoghi inattesi, all’ora grigia dell’alba, ma non lo aiutavano certo a rimettersi in carreggiata le voluttuose sirene sul soffitto della stanza da bagno, né le visioni alla Salvador Dalì, sulle pareti. La casa, vecchia e buia come un granaio, pareva quasi un avanzo del famoso incendio; ma d’un tratto, Casey cominciò a domandarsi se era proprio a Chicago. Dai suoi ricordi mancava una grossa fetta di tempo. Il mattino della vigilia, (era proprio la vigilia?) era andato in quell’albergo di lusso di fronte a Grant Park e, dopo aver pagato in anticipo la pensione di un giorno, era uscito, deciso a festeggiare il ritorno in modo consono a chi abbia fatto da poco bancarotta. Mancava davvero una fetta notevole, e la lacuna era colmata soltanto dal sogno pazzesco di una ragazza dagli occhi color fumo. Mentre percorreva il corridoio per tornare nello studio di Maggie, rimuginava su quel sogno, ma fini col decidere di non farne cenno. L’unico comportamento ammissibile, in casi come quello, era di scusarsi, ringraziare e filare.

Maggie tuttavia, non aveva l’aria di aspettarsi niente di simile. Anzi, insistette: — Bevete almeno il caffè. Me ne infischio che gli altri inquilini di questa topaia vedano uscire un uomo dal mio appartamento a quest’ora, ma mi seccherebbe se pensassero che do ospitalità a un fantasma.

Casey cominciò a sorbire il caffè, sospirando: — Suppongo che vi aspettiate una spiegazione — disse. — Spiacente, ma non ne ho. Per me, la serata di ieri è una zona buia, e non ricordo assolutamente che cosa sia successo. — Vedendo che la donna lo fissava in modo strano (a meno che non fosse il suo viso a essere strano di per sé), aggiunse: — Mi dispiace.

— Lasciate perdere. Non lo sapete che Chicago è una città accogliente? A noi piace che i turisti di classe si divertano.

Per un attimo Casey non capì, ma ben presto ricordò le etichette nella giacca e nell’impermeabile acquistati in un negozio di lusso di Beverly Hills. Era chiaro che Maggie ne aveva tratto conclusioni errate.

— Non alluderete a me, spero. Io sono un “indigeno” tornato all’ovile.

— Però venite dalla California! Non vorrete dirmi che siete stanco della terra del sole e dell’eterna gioventù!

— Per viverci non è male, ma odierei doverci andare in gita.

— Mancate da molto tempo?

— Sono sempre stato via. Anche quando vivevo qui, perfino da bambino. Capite che cosa voglio dire?

— Credo di sì.

— Tanto meglio, perché io non ne sono troppo sicuro.

— E dove andavate?

Era facile chiacchierare con Maggie, quasi troppo facile. — Ovunque, in qualsiasi luogo — le rispose. — In posti dove la vita era comoda… cristalli, nichelature, bei mobili, tutto elegante, bello. Niente vicoli pieni d’immondizie, niente tuguri soffocanti, finita la gente che ti salta agli occhi per un nonnulla perché ha i nervi tesi…

Tremendo, come il passato si affollava alla mente, annullando il tempo finché i vecchi odi, i vecchi terrori diventavano di nuovo vivi e ossessionanti.

— Sogni piacevoli, per l’avvenire, ma quando tutto è finito si resta con un pugno di mosche.

— Eh già — confermò Maggie con tono asciutto. — Quando si è vecchi, con i capelli grigi, non resta che stare a sedere davanti alla tazzina del caffè nelle mattinate fredde e umide, e rivangare sulla passata gioventù.

Casey non poté fare a meno di sorridere, La compagnia di Maggie faceva quell’effetto. — Non mi sembrate molto compassionevole — disse, in tono di rimprovero.

— E perché dovrei esserlo? Tutti gli esseri umani hanno dei guai, me compresa. Parlando tra compaesani, dove avete pescato ricordi tanto di lusso?

— Frequentando chi di dovere.

— Gente importante?

— Teste vuote. Un paio di tipi sul mio stampo, usciti dalle scuole superiori, con pochi quattrini e troppe idee.

Era proprio facile chiacchierare con Maggie. Con quei discorsi, però, riaffioravano le nostalgie e le nostalgie non erano lussi che Casey potesse più concedersi. Respinse la sedia e, come parlando a se stesso, osservò: — Non mi lamento, sono fatalista. Un giorno si è padroni del mondo e l’indomani s’impara che un vestito da duecento dollari sembra esserne costati trentasette, dopo averci dormito dentro.

La giacca che Maggie stava traendo dal piccolo armadio non offriva quell’aspetto, ed era evidentemente stata stirata da poco. — L’ho rinfrescata — disse con aria vaga. — Era sporca.

Pareva quasi timida, e Casey provò una sensazione di tenerezza non del tutto fraterna per quella strana donna dal camice imbrattato e dal naso solcato da piccole rughe. Come se gli avesse letto nel pensiero, Maggie gli tese bruscamente l’impermeabile e aprì la porta.

— Se rimarrete da queste parti farete bene a comprarvi un cappello — gli consigliò, — Non siete più in California.

Quando uscì dall’edificio, gli occorsero alcuni momenti per orientarsi. Era ancora presto, e il cielo pareva una distesa di flanella grigiastra, mentre il vento che proveniva dal lago si era fatto più tagliente. Non se la sentiva di affrontarlo, perciò svoltò a sinistra e andò fino al primo angolo, dove il cartello lo informò che si trovava nella Erie Street, molto lontano da casa.

Il vento serviva perlomeno a chiarirgli le idee. Valutò la distanza che doveva percorrere, poi pensò agli effluvii e alla folla ondeggiante di un filobus, e fini per concludere che era preferibile andare a piedi. Dopo tutto aveva tempo fino a mezzogiorno per ritirare la valigia nell’albergo, e tutta la vita per decidere dove andare in seguito. Il suo pensiero corse al quartiere di nord-ovest e al misero appartamento di cinque stanze della madre, sopra il bar di Big John, e poi al patrigno, appunto Big John, e all’odore di birra stantia e di salsicce unte. Cominciò a chiedersi perché mai fosse tornato, e fin da prima aveva saputo che avrebbe finito per chiederselo.

Nella Vallata di San Fernando il sole brillava caldo e filtrava attraverso i lucernari del tetto a merletti. In un mondo tanto gaio e promettente, era stato facile sperdersi nel roseo sogno di produrre un nuovo sensazionale televisore, che sulla carta pareva una cannonata, ma che in effetti costava troppo costruire. Ora la piccola fabbrica era sprangata, ma Casey non si lamentava: che importanza poteva avere una vittima in più o in meno del dopoguerra, in questo nuovo mondo coraggioso?

Aveva fatto sogni assai diversi, quando la luna brillava rotonda sul Pacifico e al suo fianco, nell’elegante decappottabile, sedeva una rossa coi fiocchi. Ma anche quello era stato un fiasco e sempre per la medesima ragione: fondi insufficienti. Comunque, non era stato costretto a tornare a casa. Fin dal giorno in cui si era arruolato, otto anni prima, aveva evitato quell’estremo gesto, eppure adesso eccolo qua. La bolla era scoppiata in frantumi e ora via, corri a casa come un moccioso dal naso sanguinante.

(Ricordava benissimo quei ritorni da scuola con il naso sanguinante. Nessuna possibilità di spiegare, nessuna scusa accettata quando voleva giustificare la camicia strappata o i calzoni a brandelli. Quella terribile espressione sul viso della mamma che allungava la mano per afferrare la frusta.)

Ormai stava camminando verso sud, in direzione del fiume, dove cominciavano a levarsi i rumori mattutini, e le luci parevano sfidare la giornata grigia da dietro le file di finestre umide di pioggia. Giunto al fiume, gli toccò aspettare che il ponte si abbassasse dopo il passaggio di una nave da trasporto. Gli piaceva quel quartiere. Il quartiere e le stazioni. Tutto ciò che si muoveva, tutto ciò che viaggiava. Nell’attesa cominciò a notare i passanti, uomini d’affari con le cartelle sotto il braccio e impiegate che lanciavano occhiate nervose all’orologio, che spiccava su un tabellone gigante sull’altra sponda del fiume. Un giornalaio ammucchiava le prime edizioni nel suo chiosco…

Il ponte si abbassò di nuovo, e il traffico riprese a snodarsi, ma Casey non si mosse. Fissava la fotografia in prima pagina di uno dei giornali e restava paralizzato. Un volto di ragazza. Ricordava perfettamente il profumo dei suoi capelli color miele quando gli avevano sfiorato il viso, ricordava quegli occhi leggermente obliqui dallo strano color fumo. Rivedeva il sogno, ma non era più un sogno; un viso in prima pagina, sovrastato da grossi titoli:

FINANZIERE UCCISO: EREDITIERA SCOMPARSA

— Volete che volti la pagina?

La frase sarcastica del giornalaio spezzò lo stato quasi ipnotico in cui si trovava e lo fece indietreggiare di alcuni passi. Gli occorreva quel giornale, più di qualsiasi altra cosa al mondo gli occorreva quel giornale, ma ricordava d’un tratto gli ultimi due dollari stesi sul ripiano di vetro del tavolo.

Si frugò in tasca nella vana speranza di raggranellare qualche moneta sparsa e le sue dita sfiorarono qualcosa. Piegati con cura, in fondo alla tasca. Li trasse fuori lentamente, e lisciò col pollice lo spessore dei biglietti da cento, nuovi e fruscianti. Senza neppure contarli sapeva a quanto ammontavano. Cinquemila, aveva detto il sogno. Cinquemila dollari.

3

Il sogno si chiamava Phyllis Brunner, così diceva la didascalia del giornale. Giovane, ricca e scomparsa dalla sera precedente. Il punto di grande interesse era tuttavia il padre. Darius Brunner II era morto, e la sua bella testa brizzolata era stata fracassata da venti colpi di attizzatoio, che avevano tramutato lo studio, nel suo elegante appartamento sulla riva del lago, in un obitorio. I fatti erano comprovati in pieno dalle fotografie scattate sul luogo. Non si era ancora stabilita l’ora del decesso, ma si sapeva che il defunto aveva pranzato con la sua bella segretaria, la signorina Leta Huntly, di ventotto anni, poco dopo le venti.

Quando fu interrogata dalla polizia, la signorina Huntly spiegò: — Avevamo lavorato fino a più tardi del solito in ufficio, e il signor Brunner ha insistito per condurmi a pranzo, accompagnandomi poi a casa in macchina. Mi ha lasciata al mio appartamento verso le nove e mezzo, e ho creduto che intendesse rincasare. Non posso immaginare chi sia stato a fare una cosa tanto orrenda a quell’uomo straordinario.

A questo punto si sciolse in lacrime, e uno zelante fotoreporter fu pronto a scattare.

Con il giornale spiegato sul letto, disfatto in fretta prima che arrivasse il fattorino, Casey stava finalmente imparando i fatti. Era stato un colpo di fortuna poter tornare nella camera d’albergo, e, nello stato in cui era, accoglieva qualsiasi colpo di fortuna con entusiasmo. Insieme con i cinquemila dollari aveva tratto di tasca la chiave della stanza e concluse di essere entrato al bar prima di averla consegnata al portiere. Da quel momento non era più stato in condizioni di ricordare niente e tanto meno una chiave, ma ora l’importante era di sapere quanto rammentasse il personale dell’albergo, soprattutto il cameriere del bar. Il ricordo della tetra penombra della sala gli portava qualche conforto, ma non troppo. Se lui era riuscito a vedere il viso della ragazza a quella luce fioca, il cameriere avrebbe potuto fare altrettanto, e, del resto, non era un viso che un uomo avrebbe dimenticato facilmente.

La camera era al sesto piano, ma non aveva osato prendere l’ascensore. Voleva far credere di essersi crogiolato nel suo comodo letto tutta notte, e soltanto quando ebbe chiesto per telefono il giornale del mattino si rese conto di essere un po’ fuori orario. In un batter d’occhio aveva tramutato l’aspetto della camera: il letto disfatto, la valigia di cuoio aperta, e il vestito gettato su una sedia per aggiungere una nota casalinga. Quando bussarono alla porta, si stava sbarbando nella stanza da bagno.

Spalancò l’uscio e tornò nel bagno ad asciugarsi le mani, dando modo al fattorino di vedere bene la stanza. “Dàgli tempo, Casey, nel caso che ti occorresse un alibi.”

Tornò poi con un biglietto da cento dollari e disse: — Dovrai cambiarlo, non ho taglio più piccolo. Non ci mettere un secolo perché devo acchiappare un treno.

Appena la porta si fu richiusa, riaprì il giornale con impazienza.

Il corpo di Brunner era stato trovato da Arvid Petersen, il domestico, al suo ritorno da una serata passata a giocare alle bocce.

— Non era la mia consueta sera libera, ma il signor Brunner aveva telefonato nel pomeriggio per dire che non sarebbe tornato per pranzo e che potevo uscire. Sono rincasato verso le undici e mezzo e l’ho trovato. Una cosa tremenda. Era un brav’uomo, ed ero al suo servizio ormai da vent’anni.

La signora Brunner, che aveva avuto l’annuncio nella sua proprietà di campagna presso Arlington Heights, era in stato di grande prostrazione e non voleva ricevere i giornalisti, ma non mancava una profusione di fotografie… nota signora della società, conosciuta per le sue numerose opere benefiche.

Casey gettò via il giornale seccato… Se ne infischiava delle opere benefiche della signora Brunner; a lui importava soltanto il breve accenno alla scomparsa di Phyllis. Il giornale, in complesso, dava poche informazioni e annunciava unicamente che al momento di andare in macchina non si avevano notizie della ragazza e della sua potente decappottabile. Intuendo che poteva trattarsi di un evento sensazionale, lo avevano montato a grossi titoli, pubblicando una fotografia e un paio di righe inconcludenti di commento. Ciò che Casey temeva di più era passato sotto silenzio, e non si accennava all’individuo che era uscito in compagnia di lei dal bar.

Quando riapparve il fattorino con il resto, si sentiva assai meglio e gli riuscì perfino di osservare: — Ottimo servizio — staccando un biglietto da dieci dal rotolo.

Il fattorino parve non udire. Fissava la fotografia in prima pagina con tale attenzione, che Casey rimpianse di non aver voltato il giornale alla pagina sportiva.

— Mica male — mormorò. — Peccato pensare che una ragazza come quella sia finita in qualche bidone d’immondizie.

Di età indefinibile, il fattorino poteva avere sia vent’anni sia trenta, viso sprezzante e voce che vi si adeguava. Le sue parole furono come un pugno nello stomaco per Casey, che riteneva tuttavia di dover rispondere in qualche modo: — Non capisco. Il giornale dice soltanto che è scomparsa.

— Il giornale! Non sa ancora tutto la stampa, e anche quando salterà fuori la verità, dovranno annacquare il vino. Trattandosi di gente di alto bordo, non si può render pubblico quello che si sa sul conto della ragazza. Chiaro?

Casey esitò. Poteva darsi che si trattasse di pettegolezzi, ma il fattorino pareva molto sicuro del fatto suo, e, del resto, giunti a questo punto, non era peggio un’informazione inesatta di una totale mancanza di informazioni. — Si direbbe che tu sappia un sacco di cose — disse, subito ricompensato da una smorfia, che con un po’ di buona volontà avrebbe potuto sembrare un sorriso.

— So che ieri pomeriggio era qui e s’imbottiva di whisky. L’ha vista il barista. Dopo un po’ ha raccattato un ubriaco dalle nicchie e se n’è andata con lui. È facile immaginare il resto.

Casey non riuscì a fare commenti e continuò a fissare il suo interlocutore a bocca aperta, con evidente compiacimento di quest’ultimo: — Se lo sarà portato a casa e poi avranno finito per litigare. La troveranno in qualche bidone d’immondizie; prima o poi doveva succedere.

Ora mostrava interesse per i dieci dollari, ma Casey fece finta di nulla e ribatté con tono secco: — Non mi sembra il tipo di ragazza da raccattare ubriachi. Forse il vostro amico barista si lascia influenzare dai titoli dei giornali e crede di aver visto Phyllis Brunner.

— Ernie? — La parola era accompagnata da uno sguardo che di solito si riserva agli idioti e ai bambini piccoli. — Se dice che era la Brunner, era lei. Ora vi faccio vedere…

La stanza non guardava verso il lago, e le finestre davano su un grande edificio grigio, sull’altro lato della via. Appunto verso quella direzione puntava il dito il fattorino. — Gli uffici Brunner — spiegò. — Phyllis ci andava spesso e in genere dopo veniva qui al bar Nuvola per. ammazzare qualche ora. L’ho vista io stesso tante volte. Mi chiedevo sempre perché fosse tanto infelice una ragazza provvista di tutto come lei.

— Infelice?

— Lo sembrava. Nervosa, irascibile. Credete a me, se le fosse saltato il ticchio di raccattare un uomo lo avrebbe fatto. Sono passatempi pericolosi, però.

Per un attimo Casey provò il desiderio di scaraventare quello sputasentenze pieno di insinuazioni fuori dalla finestra, ma d’altra parte voleva ottenere ulteriori informazioni. Del resto, non erano tanto le parole del fattorino a dargli quel senso di vuoto allo stomaco, quanto la tremenda consapevolezza di non sapere sull’accaduto più di quanto poteva raccontargli quell’equivoco cameriere o altri teorici. No, non era esattamente così. Era al corrente dell’esistenza dei cinquemila dollari, e non si racimola una somma di quell’entità in una notte, standosene seduto a casa a leggere il manuale del Giovane Esploratore.

— E l’individuo? — chiese. — L’hanno trovato?

— È un punto interessante — fece il ragazzo, aggrottando la fronte, pensieroso. — Si dice che un assassino non possa mai farla franca, e invece succede spesso. Se l’acciuffano, potrà sempre ricorrere all’infermità mentale, è vero, ma non gli servirà molto. Vi occorre altro?

Forse la fantasia di Casey era un poco sovreccitata, ma gli pareva di essere oggetto di un esame troppo attento, a meno che non fossero i dieci dollari a risvegliare l’interesse dell’altro. — Scusa — borbottò, tendendogli la banconota. — Stamattina non sono troppo in gamba. Ieri sera nell’atrio mi sono imbattuto in un vecchio amico e abbiamo alzato il gomito. — (Forse quella frase sarebbe valsa a giustificare il suo intontimento, e per di più sarebbe stata utile nel caso improbabile che il portiere avesse provato a telefonargli durante la notte.)

— Potrei procurarvi qualcosa — si offrì il fattorino, — Ernie ha un rimedio che guarisce o ammazza.

Di nuovo il barista. Casey stava cominciando a odiarlo.

— In questo momento è indaffarato con la Squadra Omicidi, ma in caso di emergenza…

— La Squadra Omicidi! — esclamò Casey con voce strozzata. — Qui?

— Quando sono andato a cambiare il vostro biglietto da cento, stavano ascoltando la deposizione di Ernie. Posso andare a chiedergli…

Casey quasi gridava quando disse: — No, devo prendere un treno. — Ma ora parlava sul serio. Appena il fattorino fu uscito, si lasciò cadere sul letto, ascoltando il martellare ritmico che gli rintronava nella testa.

Questa è la situazione, diceva il martellare. Con tanti posti a disposizione, dovevi proprio cacciarti nel bel mezzo di una muta di segugi a caccia di piste. Del resto, era difficile che le ipotesi del fattorino fossero originali; probabilmente era soltanto il portavoce di idee di altri. Comunque, non aveva importanza. Non erano certo le congetture altrui a spaventarlo, bensì le proprie. In cuor suo stava già fuggendo ancor prima di avere udito il macabro racconto, ancor prima di aver letto i giornali, e l’istinto che gli aveva consigliato di scappare stava facendosi più impellente ogni momento. Se Ernie, che il diavolo lo prendesse, stava parlando alla polizia, esisteva ancora una possibilità di filare dall’albergo prima che ci fosse un allarme generale. La sigaretta, che non ricordava di avere accesa, cominciava a bruciargli le dita. Si alzò in piedi di scatto. Non era il momento di riflettere, occorreva agire.

Per cambiare un poco aspetto, aveva soltanto la risorsa di mettere una camicia pulita e una. cravatta diversa. La maggior parte del suo bagaglio si trovava ancora al deposito della Stazione, e gli pareva quasi di udire Ernie descrivere un individuo che indossava un vestito di gabardine beige. Color sabbia, aveva detto il commesso raffinato, sabbia del deserto, molto elegante. Casey non aveva nessuna voglia di apparire elegante e soprattutto non voleva avere niente in comune con il tizio che Phyllis Brunner aveva raccattato al bar.

Stava già allungando la mano per prendere l’impermeabile (che almeno non era vistoso), quando la propria immagine riflessa nello specchio gli ricordò una cosa. Alzando il braccio destro, vedeva un’ombra scura sotto la manica, e d’un tratto gli tornarono in mente le parole di Maggie. “Era sporca.” La giacca era sporca, e lei l’aveva pulita. Gentile, ma la macchia riflessa nello specchio faceva riaffiorare alla sua mente la macabra fotografia del corpo di Brunner ripiegato su se stesso e dell’attizzatoio insanguinato, che sporcava il tappeto accanto a lui.

Sotto la manica della giacca. Rovesciò quella corrispondente dell’impermeabile e trovò quanto cercava. Maggie non aveva smacchiato altro: il sangue c’era ancora.

4

“Sono Casey Morrow, giovane uomo d’affari (o meglio, exuomo d’affari), appena arrivato da Los Angeles. Sono stato tutta notte in camera mia da bravo ragazzo, non ho mai visto Phyllis Brunner né ho avuto nulla a che fare con l’uccisione di suo padre. La manica della mia giacca non è sporca di sangue e non ho cinquemila dollari incriminati in tasca. Se vedo un poliziotto non ho nessun bisogno di aver l’aria colpevole e non ho ragione alcuna di fuggire…”

Quando l’ascensore giunse nell’atrio aveva a malapena finito di recitarsi questa litania. Uscì con passo frettoloso, adatto a chi vada a prendere un treno, e allontanò con un gesto l’inserviente che voleva prendergli la valigia.

— Faccio io — disse, avviandosi verso il banco della direzione.

“Se fossi stato furbo e avessi ricordato di aver pagato in anticipo avrei potuto dare la chiave a quel giovinastro. Ma forse è meglio così. Non mi pare di vedere nessuno che abbia l’aspetto del poliziotto… o mi sbaglio?”

Un uomo maturo, dal viso austero, stava parlando con un impiegato della direzione, appoggiato al banco. Occhi azzurri e cappello della stessa sfumatura, sotto la cui falda s’intravedevano i capelli grigi. Indossava un impermeabile grigio sgualcito e ormai piuttosto consunto e aveva un aspetto comune, quanto lo può avere un poliziotto. Casey stesso non avrebbe saputo spiegare questa sua erudizione in materia, ma sapeva di vedere giusto. Era inoltre presente una terza persona, un individuo piccolo, con un inizio di calvizie, vestito di scuro, con la cravatta a farfalla, e Casey non dubitava che rispondesse al nome di Ernie. In quel momento stava parlando lui:

— Personalmente — insisteva — non credo che troverete quel tizio registrato qui. Era al verde e contava ogni dollaro come se fosse l’ultimo.

Casey si era avvicinato abbastanza per udire, tenendo la testa girata, e, mentre consegnava la chiave, trasse di tasca il portafogli in modo da far notare quanto fosse rigonfio.

— Un momento, tenente — mormorò l’impiegato, accostandoglisi. — Buon giorno, signore. Ci lasciate?

— Appunto.

— Tutto è stato di vostro gradimento?

— Perfetto, perfetto. Ho dormito come un neonato.

Dopo aver compilato le necessarie schede, l’impiegato sorrise. — Mi pare che il vostro conto sia già saldato, signor Morrow — osservò.

— Davvero? Ah già, ora ricordo. — Stava andandosene, evitando con cura i due all’altro capo del banco, quando gli venne un’idea geniale. — Se qualcuno mi cercasse — aggiunse — dite che ho concluso i miei affari e sono tornato sulla costa.

— Senz’altro, signor Morrow. Volete lasciare un indirizzo?

Era inutile strafare, e riuscì a rispondere con un sorriso: — Chiunque abbia comunicazioni che m’interessano conosce il mio indirizzo.

Tutto andava a gonfie vele. Si trattava di procedere piano, con prudenza. Mantenere un passo misurato e cauto. Si scostò dal banco e si fermò volutamente per guardare l’orologio; ciò gli permise di udire qualche stralcio della conversazione con il tenente della polizia.

Quello dagli occhi azzurri stava dicendo: — So che è una descrizione un po’ vaga, ma Ernie dice che se ci fosse un confronto potrebbe identificarlo in modo positivo.

— Non dimentico mai un viso — intervenne Ernie. — Riconoscerei quel tizio dovunque.

Lentezza e prudenza. Un passo, poi un altro. Quelle simpaticissime porte girevoli non erano poi tanto lontane. Procedere piano, con cautela.

— Ehi! Signore!

Casey s’irrigidì. Sapeva che le parole erano rivolte a lui e sapeva anche chi fosse stato a pronunciarle. Avrebbe potuto mettersi le gambe in spalla, e il vantaggio l’aveva, ma già mentre il pensiero attraversava la sua mente, un grosso agente in divisa era entrato e stava parlando con uno degli inservienti. Rimase dov’era e quando si volse con mossa lenta si trovò a faccia a faccia con il barista.

— Stavate dimenticando la valigia — disse Ernie.

— Ah… grazie. Grazie infinite.

Fuori faceva un tempo freddo e uggioso, e cadeva un fitto nevischio, ma Casey avrebbe accettato con piacere anche una vera e propria tempesta. L’importante era di essere fuori e libero. Quando un tassì rasentò il marciapiede, fu pronto a fermarlo, ma dove andare? Non a Los Angeles, quello era indubbio.

— Alla Stazione Centrale — disse, appoggiandosi poi allo schienale e respirando per la prima volta con un minimo di tranquillità da quando aveva avuto inizio l’incubo.

Quello stato d’animo non durò molto. Bastarono pochi minuti per arrivare alla Stazione, ma furono sufficienti a fargli capire che mai più avrebbe respirato liberamente se avesse tagliato la corda. Una strana riflessione per Casey Morrow, che amava prendere sempre la strada più comoda.

Casey Morrow? Perché gabbare se stesso? Casey Morrow non esisteva. C’era, o meglio c’era stato, Casimir Morokowski, un ragazzetto dal viso sparuto, dagli occhi sgomenti, in stretti calzoni a sbuffo e lunghe calze nere che si attorcigliavano di continuo attorno alle magre gambe. In famiglia lo chiamavano “Cas”, e gli avventori puzzolenti del bar di Big John gli gridavano: “Ehi, tu!”. Per un certo tempo era esistito il sergente Morrow, ma poi era morto. In fondo, nessuno tornava da quel genere di guerra. Quanto a Casey Morrow non era che un abito vistoso e un paio di scarpe fatte su misura, un sogno infranto su una lontana costa di cui non era rimasto neppure di che fare un funerale decente.

Il tassi si fermò davanti alla stazione, ma quando fu entrato, Casey non comprò nessun biglietto. Andò invece a sedersi su una panca nella sala d’aspetto e cercò di riflettere. Non valse gran che. Si accorse di essere all’erta per avvistare la presenza di un uomo con un cappello azzurro e un impermeabile grigio, perché tutto era stato troppo facile. Fumò due o tre sigarette, poi andò a depositare la valigia in uno degli armadietti metallici disposti a file. Forse era una buona idea tenersi leggero, in vista del piano che aveva in mente.

Quando gli riuscì finalmente di ritrovare la casa nella Erie Street, Maggie non c’era. La maggior parte degli edifici nel quartiere erano uguali l’uno all’altro, e non aveva che il nome Maggie come punto di riferimento. Supponeva che fosse il diminutivo di Margaret, ma si sbagliava. Si chiamava proprio Maggie, Maggie Doone, e quando premette il pulsante sotto quel nome, nella fila di cassette per le lettere, non accadde nulla. Forse era stata un’idea balorda. Tornò sul marciapiede davanti alla casa e rimase un attimo incerto, cercando di prendere una decisione.

Tutto il piano consisteva nel trovare Maggie prima che avesse letto il resoconto del delitto e soprattutto prima che le successive edizioni pubblicassero la deposizione del barista. Poteva darsi che la stampa fosse meno esplicita del fattorino, ma un tipo dalla lingua lunga come Ernie non avrebbe certamente nascosto nulla ai giornali. Prima o poi Maggie avrebbe appreso dell’esistenza del compagno di Phyllis Brunner al bar Nuvola, ed era possibile che cominciasse a ricordare alcune cose, da donna intelligente qual era. Per esempio un ubriaco con la manica imbrattata di sangue. Un ubriaco i cui abiti portavano etichette di Beverly Hills.

Più che altro era stata la macchia di sangue a ricondurre Casey nella Erie Street. Una donna disposta a lavare la giacca di un estraneo poteva essere altrettanto disposta a prestare orecchio a un racconto inverosimile quanto il suo. Rischioso, ma a volte trovare un orecchio pronto ad ascoltare può essere la cosa più importante del mondo.

La vide arrivare quando distava ancora mezzo isolato. Senza cappello, indossava un voluminoso cappotto di tweed, che probabilmente odorava di trementina e di tabacco, e reggeva una borsa di provviste, particolare questo di maggiore interesse. Non era plausibile che una donna, uscita precipitosamente per dare ragguagli su un presunto assassino, stesse rincasando con passo noncurante, carica di viveri. Casey sperava.

Davanti alla gradinata, lo scorse e lo apostrofò, con la fronte aggrottata: — Non dite nulla, lasciate che indovini. Avete dimenticato il fazzoletto?

— Devo parlarvi. È importante.

Parve sul punto di protestare, ma l’espressione preoccupata di lui la dissuase.

— Parlate pure.

— Non qui.

— Sentite, giovanotto, la mia buona azione l’ho già compiuta.

— Non qui — ripeté Casey.

Attraversarono l’ingresso e, mentre salivano su per la stretta scala, dall’espressione di Maggie si capiva che la faccenda cominciava a preoccupare anche lei.

Appena giunti nel piccolo studio, Casey si guardò attorno. Neanche un giornale, tanto di guadagnato. Ma poi dalla borsa delle provviste vide spuntare il quotidiano piegato.

— Avete già visto? — chiese.

— Visto che cosa? Che volete, insomma?

Era perfettamente inutile tergiversare con una donna come Maggie Doone. O parlar chiaro o sparire.

— C’era del sangue sulla mia giacca, non è vero? — le chiese.

Non rispose, ma impallidì leggermente.

— Non vi è sembrato strano… sangue sulla mia giacca?

— No, potevate aver avuto una rissa.

— Senza neppure uno sgraffio?

— Non vi ho esaminato! Dove volete arrivare?

Volle afferrare il giornale, ma non era ancora il momento, e Casey glielo impedì, dicendo: — Ve lo darò soltanto quando mi avrete ascoltato. Prima dovete sentire la mia versione, che corrisponde alla verità.

Le riferì i fatti per filo e per segno, così come si erano svolti. Il bar, gli ultimi due dollari sul tavolo, la ragazza, il suo aspetto, la sua conversazione… le cose pazzesche che aveva detto… — Siamo poi usciti insieme, o per lo meno così mi dicono. A questo punto la mia memoria non funziona più.

— So che gli uomini scarseggiano — fece Maggie lentamente — ma non sapevo che le ragazze andassero in giro con la dote nella borsetta…

Tacque, fissando con gli occhi sbarrati la pila di banconote, che Casey aveva posato sul tavolo di cucina. Nel suo sguardo divampava la curiosità.

— Li ho trovati nella tasca dell’impermeabile pochi minuti dopo essere uscito da qui stamattina — spiegò Casey. — Sono proprio cinquemila, come aveva detto lei.

Maggie mormorò: — Non capisco.

— Siamo in due a non capire.

— Ma non sapete neppure chi fosse?

— Ora lo so.

A questo punto poteva intervenire il giornale, e Casey glielo tese, guardandosi poi attorno in cerca di una sedia, su cui prese posto a cavalcioni, incrociando le braccia sullo schienale e appoggiando il mento sulle mani. Guardava Maggie leggere le notizie in prima pagina, ma dal volto di lei non trapelò nulla. Poco dopo depose il giornale.

— Ora potete avvertire la polizia — disse Casey — oppure prestar fede alla mia versione. In fondo, sia l’una sia l’altra cosa mi sono piuttosto indifferenti.

— Phyllis Brunner — mormorò Maggie.

— Come vedete, non ho sognato.

— Altri sono al corrente?

— Alcune persone. Quando ho lasciato l’albergo, circa un’ora fa, il barista stava fornendo la mia descrizione a un tenente di polizia dall’aria molto sveglia. Non sono mai stato un genio, ma so bene che cosa significa. Quando i giornali del pomeriggio pubblicheranno i miei connotati, nessuno in città scotterà quanto il sottoscritto. E non è per vantarmi, ma penso che ci sarà anche una taglia.

— Non inducetemi in tentazione! — fece Maggie irritata. Era pallida, visibilmente preoccupata, e Casey capiva il suo stato d’animo. Non era indicato avere ospite un uomo ricercato per omicidio e fors’anche per due. Tuttavia non chiedeva aiuto, almeno per il momento.

— Perché siete tornato qui? — chiese all’improvviso. — Perché mi raccontate tutto questo?

Nessuna risposta avrebbe potuto suonare plausibile, e Casey infatti tacque. Maggie si protese a toccare il denaro come per garantirsi che almeno quello fosse vero.

— Ne ho già speso — le disse.

— E se i biglietti fossero marcati?

— Marcati? — Strano, quell’idea non gli era mai venuta. Era stato troppo indaffarato a fuggire da se stesso, troppo intimorito dall’ipotesi del fattorino, che forse era davvero personale, per pensare a una simile possibilità. Se Phyllis Brunner avesse voluto tendere un tranello a qualcuno, non avrebbe potuto trovare un soggetto più adatto. Comunque, Maggie era stata davvero amichevole a suggerirlo.

— Per lo meno ho imbroccato il campanello giusto — osservò Casey.

— Siete proprio sicuro di averlo imbroccato voi?

Era davvero uno spettacolo affascinante osservare Maggie, e l’unico paragone che gli venne in mente fu quello di un cane da caccia pronto a balzare sulla preda.

— Comincio a dubitare che siate finito davanti alla mia porta per caso. Siete stato piantato qui volutamente.

Non parlava a vanvera. Era andata all’altro capo della stanza e ora tornava, spingendo davanti a sé una grande tela. — Conosco una sola persona capace di questo — aggiunse, voltando il quadro. Non c’erano dubbi: si trattava di un ritratto di Phyllis Brunner.

5

— Vi dirò tutto quello che so di Phyllis, ma non è molto.

Maggie era seduta alla turca su uno dei due divani dello studio e fissava il ritratto pensierosa.

— Non la conoscevo con il nome di Phyllis Brunner. Si faceva chiamare Paula Browning, per via della borsa di camoscio con le iniziali P.B., suppongo. Ricordo quella borsetta in modo particolare, perché valeva per lo meno ottanta dollari, e Paula non aveva un soldo. Possedeva in tutto un tailleur da sartoria di lusso, una tuta di maglia da ginnastica e gli occhi più conturbanti che si potessero vedere.

— Color fumo — aggiunse Casey.

— Proprio! La prima volta che la vidi stava entrando nello studio di Papà Danikoff, qui accanto. Insegna danza, Danikoff, e apparteneva un tempo al Balletto Imperiale Russo, o almeno così dice. Comunque, Papà è bravo e poco esoso, e Paula era ridotta ormai al suo ultimo zaffiro.

— Brutta situazione.

— Infatti. Un giorno lo impegnò e diede una festicciola nella sua camera, che si trovava proprio sopra a questa. Furono invitati tutti gli allievi di Papà Danikoff, e andai anch’io, per non sentirmi tremare il soffitto sulla testa. Una festa riuscitissima: spaghetti, pizze e molto vino rosso. Paula si divertiva un mondo, e mentre la guardavo non potevo fare a meno di pensare che quella doveva essere la prima festa che dava in vita sua. Fu allora che decisi di ritrarla.

Maggie fece una pausa per accendere una sigaretta, e intanto fissava il ritratto, che rappresentava la figura intera di una ragazza in tuta di maglia nera, ritta contro la sbarra degli esercizi. L’attenzione veniva però per lo più attirata dal viso.

— Ne fu contenta — riprese quindi — ma non volle accettare un soldo per fare da modella.

— Benché fosse svanito anche l’ultimo zaffiro?

— Proprio. Era un’ottima modella, in complesso, ma una tremenda bugiarda. — Vedendo lo sguardo d’interesse di Casey, Maggie sorrise. — Non potevo essere certa in modo assoluto che mentisse, per lo meno sulle prime, ma anche la dabbenaggine di Maggie Doone ha un limite. Secondo lei sua madre era stata una famosa prima donna, la più bella creatura d’Europa; ungherese o qualcosa del genere, non ricordo tutti i particolari. Suo padre, d’altro canto, era l’erede di un nobile di rigidi princìpi, che l’aveva cacciato di casa perché disapprovava certe tendenze artistiche del rampollo. Paula non arrivò mai a dichiarare di essere illegittima, ma capivo che l’idea l’allettava.

— Non mancava di fantasia, almeno — fece Casey.

— Questo non è che il principio. Risultava che la bellissima prima donna era morta poco dopo la nascita di Paula, e il padre, affranto dal dolore, era caduto sempre più in basso e al momento viveva in un tugurio a Parigi, servendosi delle sue ultime risorse per dare una buona educazione alla figlia.

— Da Papà Danikoff?

Maggie rise. — I suoi racconti facevano acqua da tutte le parti, ma io non la mettevo mai con le spalle al muro. Non so spiegare, ma avevo sempre un vago timore che potesse diventare una ninfa, o qualcosa del genere, e scomparire. In effetti andò proprio così. Scomparve.

— Un momento, spiegatevi meglio.

— Filò, tagliò la corda senza preavviso. Come vedete la tela non è finita. Stava riuscendo bene, il più bel lavoro che io avessi mai fatto, secondo la mia poco modesta opinione, e quando lei mi piantò in asso ne fui seccatissima. M’informai nel quartiere, ma nessuno sapeva dove fosse finita, come del resto s’ignorava da dove fosse sbucata. Era apparsa un giorno nel nostro mondo squinternato, ne aveva fatto parte per un poco e poi se n’era andata. Uno degli allievi di Papà asserì di averla vista salire in una berlina nera, a mezzo isolato di distanza da qui, e disse che piangeva. Se ne parlò per un poco, ma in complesso noi siamo troppo immersi in noi stessi per perdere il sonno a causa del prossimo. Io però, come dico, ero rimasta male per via del ritratto.

— Finito o no — disse Casey, che trovava giustificato il dispiacere di lei — a me piace. Le assomiglia molto.

— Grazie, gentile signore — sorrise Maggie. — Un’osservazione come questa mi rende quasi vostra schiava per la vita.

Non era facile per Casey continuare a pensare ciò che voleva pensare di Phyllis Brunner, mentre il viso di lei lo fissava dalla tela, con quello sguardo un po’ vago e quel sorriso indecifrabile che increspava le labbra piene. Faceva riaffiorare una sensazione ossessionante di sogno, che non si addiceva al suo stato di calma lucidità. Distolse bruscamente gli occhi e disse: — Non l’avete più rivista?

— Mai. Una sera però, qualche settimana dopo la fuga, che avvenne circa due mesi fa, stavo sfogliando il giornale quando il mio sguardo cadde su un trafiletto nella cronaca mondana.

Maggie si alzò per andare verso una scrivania ingombra di carte, seminascosta in un angolo. Dopo aver frugato apparentemente a casaccio, trovò una pagina di giornale ripiegata più volte e la tese a Casey, dicendo: — Vecchi ricordi.

Nell’elenco dei fidanzamenti si leggeva: “Il signor Darius Brunner II e signora annunciano il fidanzamento della figlia Phyllis con Lance Gorden, eminente giovane avvocato della nostra città…”.

Seguivano alcune righe di commento, ma non occorreva altro. Casey era già immerso nell’esame della fotografia, che rappresentava Phyllis Brunner, bella come in realtà, e Lance Gorden, che sorrideva come per la pubblicità di un dentifricio. Alto, biondo, robusto, gli fu immediatamente odioso.

— Quando gioca a tennis deve avere tattiche traditrici — borbottò.

— E starà benissimo in calzoncini corti — annuì Maggie.

Spinto da un improvviso risentimento, che non si diede la pena di analizzare, e che del resto non gli sarebbe garbato se lo avesse fatto, Casey lasciò cadere il ritaglio di giornale e si alzò in piedi. — Va bene — fece in tono secco. — E con questo? Ha a che fare in qualche modo col mio caso? Non m’interessa la vita amorosa di Phyllis, voglio soltanto scoprire dove si è cacciata questa volta e perché. Soprattutto perché. Non mi va che mi si tendano tranelli, se pure con biglietti da cento dollari.

— Forse fate male a non interessarvi della sua vita amorosa — osservò Maggie, che affrontava la situazione con molta calma.

— Come?

— Mi stavo chiedendo… — Prese il ritaglio di giornale e, dopo averlo steso sulla scrivania, lo esaminò attentamente, mentre un’espressione pensierosa le si dipingeva sul viso.

— Che giorno è? — chiese.

— Che giorno è? — fece eco Casey. — E come posso saperlo? Ieri sera ho dimenticato di scrivere nel mio diario.

— Parlo sul serio. Dovrebbe mancare poco alla festa del Ringraziamento.

— Bene! Ho sentito dire che nelle prigioni moderne passano il tacchino.

— Il giorno del Ringraziamento era la data stabilita per le nozze.

Casey cominciava a capire. — Ci sono! — esclamò, accostandosi alla scrivania. — L’orgasmo mi rode addirittura.

— Siete certo che Phyllis vi avesse chiesto di sposarla?

— Ve l’ho già detto, a meno che non abbia sognato tutto.

— I cinquemila dollari no di certo. Se Phyllis avesse finto di sposare qualcun altro, e cioè voi, avrebbe evitato il matrimonio con Lance Gorden, capite?

Maggie parve molto soddisfatta di sé, ma Casey era dubbioso. — Evitato? — fece eco, incredulo. — Volete dire che c’è una donna a cui Lance ripugna quanto a me?

— Perché no? Quei tipi sani e robusti soffocano il nostro complesso materno. Del resto, Phyllis Brunner non stava fuggendo da qualche cosa? Quando venne qui stava scappando, ma qualcuno la rintracciò e se la portò via. Chi vi dice che ieri pomeriggio non stesse scappando altrettanto affannosamente?

— E che lo stia facendo tuttora?

— È possibile.

— Ma perché?

— È questo il punto.

Casey rifletteva. In vita sua aveva sempre opinato che tutto debba avere una ragione di essere, ed ora questa sua convinzione veniva avvalorata. Cercava di ricordare il comportamento di Phyllis, e se al bar Nuvola aveva l’aspetto di una persona che fugge da qualcosa. Nulla. Gli riusciva soltanto di vedere due strani occhi obliqui e di sentire il profumo pungente dei suoi capelli. Però era un’idea, e a questo punto valeva la pena di seguire a fondo qualsiasi idea.

— Siete una brava ragazza — concluse. — E non fosse che per questo credo che vi permetterò di schierarvi dalla mia parte.

— Benone! — ribatté Maggie. — Accolgo un vagabondo ubriaco perché non muoia di congelamento e mi trovo immischiata fino al collo in un omicidio. Quanto credete che durerà la nostra alleanza con quella lingua lunga di un barista a zonzo?

— Ho un fisico molto comune e mi camufferò. Per prima cosa, potreste andare a comprarmi un bel cappello che non ricordi la moda della California.

— E poi?

“Poi…? Bisogna che mi accerti” pensava Casey. “Potrei essere un assassino, uno sposo, o un palo involontario, o magari tutte e tre le cose. Ma devo accertarmene.”

— In questa stagione fa troppo freddo per giocare a tennis — osservò. — Chissà come occupa i suoi pomeriggi quel biondo atleta?

6

Sotto la pioggia, Casey Morrow portava un cappello nuovo e teneva il capo chino, con il bavero dell’impermeabile rialzato. Avrebbe potuto notare che infiniti sosia lo sorpassavano frettolosi su ogni lato, e invece si sentiva vistoso come un esquimese nel deserto. Ricercato dalla polizia, e per quali reati Dio solo lo sapeva. Gli sarebbe stato facile convincersi della inutilità di questa spedizione, o almeno posporla finché la stampa si fosse calmata, ma non esisteva un posto dove nascondersi. Anche lo studio di Maggie era un indirizzo pericoloso, e l’attesa sarebbe stata un vero calvario. Quando svoltò finalmente nel porticato degli Uffici Brunner, gli pareva di avere inghiottito un’elica in movimento. C’era da aspettarsela che Gorden avrebbe avuto il suo ufficio in vicinanza di quelli del futuro suocero.

Lo studio pareva uno scenario di Hollywood prima del periodo di economia: sala a pannelli di legno verniciato, un tappeto paragonabile a un folto prato, e al di là delle finestre al diciassettesimo piano il lago e il cielo si fondevano in una squisita sfumatura grigiastra. Ancor più squisita la bionda prosperosa seduta dietro un tavolo col ripiano di vetro che fungeva da scrivania. Più squisita, ma non meno gelida.

— Il signor Gorden non c’è e non è atteso. Tutti gli appuntamenti per la giornata sono stati disdetti.

Le parole le uscivano di bocca come fosse stata una telescrivente, nonostante il suo aspetto tutt’altro che meccanico.

— Non ho un appuntamento — spiegò Casey. — Volevo soltanto vedere il signor Gorden.

— Lo so, dite tutti così.

— Tutti? — Attraversato il folto tappeto, Casey si chinò sulla scrivania. — Perché? Sono venuti in tanti a cercarlo?

La ragazza ebbe l’aria di non ascoltarlo.

— Ve l’ho già detto, il signor Gorden non c’è.

— E dov’è andato?

Non aveva mai visto ciglia tanto lunghe e tanto scure in una bionda di quella sfumatura cenere, e come sapeva servirsene!

— Sono la segretaria del signor Gorden, non la sua balia — aggiunse lei con tono secco. — Non mi ha comunicato i suoi programmi.

— Come fate a mettervi in contatto con lui se accade un imprevisto importante?

— Cioè?

— Ripeto, voglio vederlo.

Le lunghe ciglia ombreggiavano immensi occhi castani, che fissavano l’interlocutore con severo cipiglio.

— Se siete un giornalista arrivate in ritardo — sbottò.

Giornalista! Pareva un buon suggerimento, e Casey se ne valse.

— Oltre alle qualità troppo palesi perché valga la pena di parlarne — disse — vedo che siete anche telepatica. Intendete dire che i miei colleghi mi hanno battuto?

— Da alcune ore.

— Ecco che cosa succede a essere dormiglioni — sospirò Casey.

Trasse di tasca un pacchetto di sigarette e, dopo averlo teso alla bionda, si soffiò sulle dita per scaldarle per il gelido rifiuto di lei. Scorgendo poi un accenditore d’argento su un tavolo basso all’altro capo della stanza, andò a prenderlo e se ne servì. Anche il secondo tavolo era coperto da un ripiano di vetro, e a ogni lato lo fiancheggiava un divano. Casey non vedeva un luogo tanto lussuoso da quando aveva per l’ultima volta comprato dei calzini a Beverly Hills.

— Deve andare a gonfie vele il principale, per essere un novellino — mormorò.

— Si cava la fame — osservò la bionda.

— Suppongo che Brunner gli procurasse molti affari.

— Lo suppongo.

— Compresi i propri.

— Forse.

— Anche il suo testamento, per caso?

Per la prima volta un lieve sorriso increspò quelle labbra provocanti. — È stato qui anche il tenente Johnson.

Johnson. Casey si provò ad applicare quel nome al ricordo di un tale col cappello azzurro e l’impermeabile grigio, concludendo che gli si adattava. Johnson, della Squadra Omicidi, era dunque stato a ficcare il naso nell’ufficio di Lance Gorden. Gli sviluppi si facevano interessanti. L’elica gli si rimise in moto nello stomaco, ma non aveva certamente fatto un tentativo tanto rischioso per niente, e disse: — Immagino che Gorden sarà molto addolorato per la morte di Darius Brunner.

— Lo suppongo.

— Lo conoscevate?

— Brunner? — La ragazza tamburellò sul ripiano di vetro con le unghie laccate. — Certamente! Eravamo vecchi compagni di università, avevamo fatto le regate insieme. Andiamo, signor Procuratore Distrettuale, io ho da fare.

Di questo, Casey dubitava assai. Quando era entrato, la bionda stava oziosamente lucidandosi le unghie; tuttavia aveva palesemente i nervi tesi, e questo poteva essere un colpo di fortuna per Casey. Decise di prolungare il colloquio per rivolgerle almeno qualche altra domanda.

— Gli uffici Brunner si trovavano in questo stabile — osservò, tastando il terreno — e ho sentito dire che, a volte, le segretarie si scambiano le loro opinioni sul principale. Non conoscete per caso la segretaria privata di Brunner?

— La segretaria!

L’esclamazione era stata automatica, e ormai era tardi per mascherarla.

— Forse non regnava l’armonia nella famiglia Brunner — suggerì Casey e la ragazza rise.

— Di che giornale avete detto di essere? — gli chiese.

— Non l’ho detto. Perché?

— Dev’essere una pubblicazione proprio aggiornata se questa per voi è una novità. Lo sanno tutti che i Brunner sono separati. Non è ufficiale, ma lo sanno tutti.

“Ogni giorno se ne impara una nuova” pensava Casey tra sé.

La situazione cominciava a farsi interessante: una figlia che ogni tanto scompare e pare allergica al fidanzato, e la vedova piangente di un marito capriccioso. Tutto sommato, si sentiva proprio come un neonato.

Ad alta voce concluse: — E Gorden naturalmente si sarebbe occupato delle pratiche per il divorzio.

— Non era in programma un divorzio.

— Ne siete certa?

— Sicurissima. La signora Brunner non approva il divorzio.

Un’ipotesi andava già a farsi benedire. E cioè che a Phyllis potesse non andare a genio la posizione di Gorden quale legale di uno dei genitori contro l’altro. Era stata comunque un’ipotesi piuttosto debole, e vi rinunciò senza lotta.

— Ecco perché Brunner viveva in un appartamento in città — continuò Casey — mentre la moglie abitava nella proprietà di famiglia. E dove stava la favolosa ereditiera scomparsa?

Vedendo che la bionda guardava fisso al di sopra della sua testa cominciò a chiedersi se fosse improvvisamente diventato invisibile e incalzò: — L’avete sentita nominare? Sapete, la ragazza che doveva sposare il vostro principale… o forse le mie informazioni sono sbagliate?

A meno che la voce della segretaria di Gorden non fosse d’un tratto diventata baritonale, era presente qualcun altro nella stanza, e Casey si volse di scatto, maledicendo lo spesso tappeto e le porte silenziose. A prescindere dal sorriso pubblicitario, non gli fu difficile riconoscere Lance Gorden. Alto, biondo e robusto, il suo viso appariva tuttavia leggermente pallido sotto il dignitoso cappello blu scuro, e stringeva con dita nervose il manico di un ombrello bagnato.

— State sgocciolando sul tappeto — lo informò Casey.

— Chi è quest’uomo?

— Un altro giornalista, signor Gorden. Stavo cercando di liberarmene.

Era davvero sorprendente udire come ogni inflessione aggressiva si fosse dileguata in così breve tempo dalla voce della bionda. Casey la guardò di nuovo e notò la luce che aveva rischiarato quegli occhioni castani, facendoli parere due gioielli. Ora capiva perché era stata restìa a parlare di Phyllis Brunner. Una brutta cotta.

— Avete fatto colazione, signorina Nardis?

— No, signor Gorden, ma non ha importanza.

— Sarà meglio che andiate, ora. Si fa tardi.

Il tono di lui non ammetteva repliche. Se ne stava lì ritto a sgocciolare sul tappeto e fissava Casey.

— Arrivederci, signorina Nardis — disse questi, ma la bionda, mentre usciva, non lo degnò di uno sguardo.

— Dunque, che cosa stavate dicendo quando sono entrato?

Casey rifletté per alcuni secondi. Continuava a trovare più esatto il giudizio di Maggie anziché quello della bionda, tuttavia quel fisico atletico imponeva un certo rispetto, tanto più se accompagnato dallo sguardo iroso di Lance Gorden.

— Non ho buona memoria — borbottò.

— Stavate insinuando che esisteva uno screzio tra la signorina Brunner e me.

— Davvero?

— Esattamente.

— Chissà perché?

— Le domande le faccio io! — ribatté Gorden con tono secco.

Per un secondo Casey provò uno strano senso di formicolìo alla nuca e il modo con cui l’altro stringeva nervosamente l’ombrello gli riportava alla mente una macabra fotografia di un attizzatoio insanguinato. Si scrollò di dosso quel senso di disagio e riuscì a tirar fuori un debole sorriso, dicendo: — Avrò raccattato qualche sciocco pettegolezzo. Mi ero messo in testa che qualche mese fa la signorina Brunner vi avesse piantato per unirsi a una compagnia di balletti.

Nello sguardo di Lance gli riusciva di leggere un po’ di tutto: ira, stupore, colpevolezza. Ma forse erano tutti giudizi avventati.

— Siete stato male informato — ribatté Gorden. — Alla signorina Brunner la danza interessa quanto le altre arti, ma non è mai stata fonte di screzi fra noi. Per di più vi consiglio seriamente di non pubblicare le vostre opinioni.

— In questo momento m’interesso poco di ciò che si deve pubblicare e ciò che non si deve pubblicare — osservò Casey. — Siete sicuro che non esistesse un malinteso fra voi due quando la signorina andò al bar Nuvola ieri pomeriggio?

Questa volta si aspettava davvero che l’ombrello gli si abbattesse sul cranio, invece Gorden si limitò a mordersi il labbro e non fece un gesto. Piano piano la sua tensione parve allentarsi, e, dopo aver deposto l’ombrello sulla scrivania dal ripiano di vetro, si frugò in tasca e ne trasse un portasigarette d’oro. Mentre accendeva le mani gli tremavano.

Alla fine disse, lentamente: — Avevamo i nostri piccoli litigi, s’intende, come accade a tutti i fidanzati. Del resto la signorina Brunner ha un temperamento nervoso e tende a preoccuparsi molto per suo padre.

— E per la segretaria del padre?

— Non capisco — mormorò Gorden, fissandolo freddamente attraverso una sottile cortina di fumo.

— Ho sentito dire che Brunner se la spassava.

— Sciocchezze.

— L’intera città ne parla.

— Se l’intera città ne parla, e per me è una novità, la città sta dicendo delle corbellerie. Conosco intimamente la famiglia Brunner.

— E non sapete che sono separati?

— Separati? Non è assolutamente vero. — Riacquistata ormai la calma, Gorden ebbe perfino un fuggevole sorriso. — Alcuni mesi fa, Brunner prese un appartamento qui in città, ma lo fece dietro consiglio del medico. Il lungo percorso dalla sua proprietà di campagna lo stancava molto, e accennavo appunto a questo, dicendo che la figlia si preoccupava per lui.

Le sue parole avrebbero potuto essere convincenti per chiunque, ma Casey serbava un ricordo vago di una proposta di matrimonio e un ricordo assai positivo di cinquemila dollari, che parevano indicare più che una semplice preoccupazione per la salute di Darius Brunner.

Insistette quindi: — E quando la signorina era in ansia, si dirigeva sempre verso il bar più vicino?

— Vi ho detto che era molto nervosa.

— E si sentiva sola?

La calma di Gorden fu poco duratura. Uno strano pallore gli si era diffuso attorno alla bocca, e si capiva che dominava a fatica la voce quando disse: — Non so bene quale sia la vostra losca mira, ma è certo che manca di buon gusto.

— Anche l’omicidio manca di buon gusto.

— È appunto ciò che intendo. Se non avete rispetto per la reputazione della mia fidanzata, e a quanto pare non ne avete, potreste almeno avere riguardo per i sentimenti di sua madre. Questa tragedia è già fonte sufficiente di dolore per la signora Brunner, senza che il comportamento piuttosto capriccioso di sua figlia venga frainteso per offrire divertenti letture al pubblico di analfabeti, a cui evidentemente vi rivolgete.

— Sarei desolato di addolorare la signora Brunner — ribatté Casey — ma se la sua cara figlioletta ha sbattuto un attizzatoio sulla testa del papà anche gli analfabeti hanno diritto di saperlo.

— Phyllis? — Per un attimo Gorden parve aumentare di statura e fissò l’altro incredulo, lasciandosi poi cadere sulla poltroncina della segretaria, dove rimase a occhi bassi, fissando la propria immagine sgomenta riflessa nel ripiano di vetro. — Dio mio! — mormorò roco.

— Non vi era venuto in mente?

— Neanche per sogno.

— Forse dovreste interrogare gli analfabeti di cui vi lamentavate. Probabilmente loro già lo pensano.

— Ma Phyllis adorava suo padre!

— Però lui è morto, e lei è scomparsa.

Gorden alzò il capo con gesto lento e fissò Casey con espressione calcolatrice: — Il vostro lavoro deve occuparvi molto — osservò in tono asciutto. — Che giornale avete detto di rappresentare?

— La “Rassegna femminile”.

— Davvero? — Si vedeva che cominciava a sommare alcune cose, e pareva essere un matematico in gamba. — Perché non riferite le vostre ipotesi alla polizia? — suggerì. — Potrebbero interessarla e, chissà, forse riuscireste a ottenere qualche notizia. Vi farebbe piacere sapere dove sono stato in quest’ultima ora?

Una suoneria d’allarme squillò nel subcosciente di Casey, il quale prese ad indietreggiare, allontanandosi dalla scrivania. Lo sguardo di Gorden era troppo fisso.

— Sono stato in un vicolo nei pressi del fiume per identificare la macchina della signorina Brunner. Chiunque l’avesse abbandonata lì, aveva cercato di eliminare le prove dando fuoco alla tappezzeria, ma un passante ha dato l’allarme appena visto il fumo. Strano il fatto della tappezzeria. Un lato del sedile era imbrattato di sangue, ma non quello del guidatore.

Un vicolo nei pressi del fiume. Poteva indicare un’infinità di luoghi, ma per Casey significava una zona situata fra il bar Nuvola e un vecchio edificio nella Erie Street. Dovette fare uno sforzo per chiedere: — E la signorina?

— La sua borsetta è stata trovata a circa mezzo isolato di distanza. Null’altro… per ora.

Gorden si era alzato e allungava la mano sinistra verso il telefono. — Quanto all’individuo con cui si era incontrata nel bar dell’albergo…

Non terminò la frase né la manovra per afferrare il telefono. Praticamente era già proteso a ricevere il pugno che Casey fece scattare e, dopo averlo ricevuto, non parve più disposto a chiacchierare.

Casey stava già filando oltre l’ingresso, diretto verso l’ascensore, e ben presto usciva a precipizio dallo stabile, prima che la bionda tornasse per trovare il suo eroe con il bel viso affondato nel portacenere. Fuggiva anche da un’orda di ombre i cui volti assomigliavano a quello sardonico del fattorino. Se Phyllis Brunner era morta… Non era ammissibile neppure pensare a certe cose, non poteva essere morta. Maggie doveva per forza aver visto giusto!

Una volta in strada gli fu facile disperdersi nella calca frettolosa e svoltò automaticamente a sinistra. Pochi isolati più oltre balzò su un autobus che stava per invertire la direzione, ripartendo verso nord, e lungo tutto il percorso fino alla Erie Street continuava a ripetersi che Phyllis non poteva esser morta.

Maggie non c’era, e allora s’introdusse in casa con la chiave che gli aveva dato, chiedendosi come poteva essersela cavata al Municipio. Del resto, c’erano pochi dubbi in proposito. Anche se fosse esistito un fondo di verità nelle supposizioni di lei, le probabilità di un matrimonio segreto erano minime. Phyllis Brunner non avrebbe arrischiato un’attesa di tre giorni, anche se le fosse riuscito di ottenere una licenza, con il confine dell’Indiana tanto vicino. Comunque, tutto pareva ancora un sogno pazzesco.

Nello studio regnava una quasi totale oscurità. Nei giorni piovosi, l’imbrunire sopraggiunge presto, e il crepuscolo plumbeo che filtrava dall’alto creava soltanto una fantasmagorica chiazza di luce. Casey si chiuse la porta alle spalle e attese che la sua vista si fosse abituata alla penombra. La luce fioca batteva in pieno sul viso che Maggie aveva ritratto e lui la ricordava appunto così, avvolta in un tenue raggio azzurrino in mezzo a cui spiccavano gli occhi color fumo.

“Che ti prende, Casey Morrow? Quali poteri magici aveva quella ragazza per capovolgere la tua vita in questo modo? È possibile che siano trascorse soltanto ventiquattro ore da quando hai visto quel volto? Sembrano secoli, lunghi secoli oscuri.”

All’improvviso cessò il suo soliloquio. Nonostante la luce plumbea si era accorto che il quadro si era mosso e avanzava verso di lui.

7

Viva, anzi vivissima, Phyllis Brunner stava avanzando con passo esitante, incerta sull’identità della persona entrata nello studio, quando Casey accese la luce. Era la prima volta che la vedeva illuminata chiaramente: il volto pallido, la pelliccia di visone ormai simile a un topo annegato, era tuttavia sempre bellissima. Si fermò a mezzo metro da lui e attese le parole, che Casey non riusciva a trovare.

— Aspettavo Maggie — finì per dirgli. — Un tempo abitavo qui.

— Lo so.

— Ho ancora la chiave. Suppongo che serva per tutte le porte.

Non c’era alcun senso logico in quella sua posa, lì ferma a mostrare la chiave che stringeva in mano come se avesse un significato, come se quelle vane chiacchiere ne avessero. Casey provava il desiderio di afferrarla per le spalle e darle uno scrollone finché non avesse preso a parlare logicamente, ma di fronte a quegli occhi strani e intimoriti non ebbe neppure la forza di alzare le braccia.

— Volevo ritrovarvi — aggiunse Phyllis.

— Ci credo!

— Sul serio. Volevo spiegarvi perché vi avevo condotto qui ieri sera. Perché sarei tornata, altrimenti?

— Non lo so e ho paura di cercare d’indovinare. Forse avete un altro incarico da propormi.

Le ultime tracce di colore si dileguarono sulle guance di lei. Strinse i piccoli pugni esclamando: — Che volete dire? Che cosa state insinuando?

— Dovreste saperne più di me su quanto sto insinuando. Lo confesso, non ricordo molto bene e so soltanto che voi ieri siete venuta nella mia nicchia al bar Nuvola e vi siete messa a parlare di un misterioso incarico da affidarmi. Questa mattina trovano vostro padre con la testa fracassata e io mi sveglio con la manica della giacca insanguinata e cinquemila dollari. Che cosa pretendete che insinui?

Si chiamava parlar chiaro, e l’effetto delle parole fu corrosivo. O Phyllis era davvero sgomenta come pareva, oppure era la più grande attrice del mondo. Barcollò leggermente, ma Casey lasciò che se la sbrogliasse da sola. Una tremenda bugiarda, aveva detto Maggie.

— Oh no… — ansimò Phyllis. — Non è così! Non vi avevo assoldato perché assassinaste mio padre!

Quasi quasi le credeva, ma forse lo spingeva il suo grande desiderio di crederle. — E chi l’ha mai detto? — ribatté. — A voi occorreva un capro espiatorio su cui far ricadere la colpa quando le cose si fossero messe male. Come mai vi è mancato il coraggio? Perché non avete strillato per chiamare la polizia? Credevate forse che avrebbero dubitato della vostra tragica storiella? — Trasse di tasca le banconote, Casey le soppesò e riprese: — C’è anche il movente, e un uomo che ha perso la memoria non può difendersi.

— Per voi è dunque tutto chiarissimo, non è vero? — Il grido di lei era una protesta, una difesa.

— Possono essermi sfuggiti alcuni particolari.

— Tutto chiarissimo!

Nonostante il visone gocciolante, non mancava di una certa dignità. Non pareva tipo da piangere facilmente, e infatti dai suoi occhi non sgorgò una lacrima. Taceva, ma quando si scostò un poco le sue spalle erano scosse da un tremito.

— Se aveste un’altra versione… — azzardò Casey.

— Grazie, grazie davvero!

— Santo Dio, che cosa pretendete che pensi?

Non era stata sua intenzione gridare così, ma non voleva farle credere di avere il minimo dubbio e non desiderava averne. Tutto il giorno non aveva fatto che ripetersi che tipo di donna fosse e non intendeva mutare opinione. Eppure aveva sempre saputo di mentire a se stesso. Ora ne era ancora più conscio, mentre Phyllis si volgeva di nuovo verso di lui e lo fissava con sguardo perplesso, indagatore. Così umidi di lacrime, i suoi occhi sembravano più grandi, e lei pareva piccina e spaventata.

— Scusate — disse — è tutto il giorno che mi sto rodendo. Non avrò riflettuto su ciò che avreste pensato, ma se volete ascoltarmi…

Casey ascoltò, ma non in quel momento, perché i minuti successivi gli occorsero per sollevare Phyllis che si era accasciata sul pavimento.

— È svenuta. Mi stava parlando e a un tratto è svenuta. È infreddolita e inzuppata.

— Lo vedo — disse Maggie. — Smettetela di comportarvi come il solito maschio buono a nulla e ficcatevi da qualche parte, mentre io le tolgo gli abiti bagnati. Andate a fare il caffè… se ne siete capace.

Casey si ritirò in cucina e cominciò a fare un baccano del diavolo col macinino e la cuccuma. Già un guaio vedere una ragazza in lacrime, vederla svenire era ancor peggio. Nessuno poteva esser più gradito di Maggie quando si era precipitata nello studio con aria stupefatta, prendendo subito le redini della situazione. Sulle prime gli aveva lanciato un’occhiataccia come se fosse stato lui a tramortire Phyllis — se non peggio — ma non era questo a dare quel tremito alle mani di Casey mentre dosava il caffè. La causa del tremito avrebbe richiesto una lunga analisi, e stava appunto procedendo a farla, quando Maggie lo chiamò.

— È viva — stava dicendo — e parla.

— Casey…

Solo allora lui si rese conto che conosceva il suo nome. Doveva sapere tante altre cose sul suo conto che non ricordava di averle detto, ma ormai non erano più importanti. Si accostò al divano, su cui sedeva avvolta in una coperta militare, e si sedette al suo fianco.

— Va bene, ascolto — disse.

— Non è come avete detto voi.

— E allora?

— È stato… terribile. — Si strinse di più la coperta, ma il suo tremito non dipendeva soltanto da una questione di temperatura. — Era tardi, quando siamo arrivati a casa di mio padre — continuò. — Non so esattamente l’ora, ma dovevano essere circa le undici. Eravate completamente sbronzo, ma sono riuscita a tirarvi fuori dalla macchina e a trascinarvi su fino all’appartamento. Avendo visto la luce nello studio di papà, avevo deciso di farvi fare la sua conoscenza.

— Questa non me l’aspettavo — fece Casey. — Doveva essere di manica larga vostro padre.

Phyllis non parve udirlo, e il suo viso aveva un’espressione tesa.

— Eravamo già nella stanza, prima che io vedessi ciò che era accaduto. Per un momento sono stata incapace di aprir bocca e perfino di fare un gesto, ma voi siete inciampato nell’attizzatoio sul pavimento e poi l’avete raccattato. Ecco come vi siete sporcato di sangue.

— L’ho raccattato! — ripeté Casey. — Ma bene! L’avrò coperto d’impronte.

— Lo suppongo. Non mi è venuto in mente di pulirlo.

Casey diede un’occhiata a Maggie, e i suoi occhi chiedevano: “Come si fa a capire quando mente?”. Ammesso che avesse un’opinione in proposito, Maggie la tenne per sé.

Intanto Phyllis continuava: — Quando mi sono finalmente resa conto dell’accaduto sono stata presa dalla paura. Nello stabile tutto taceva e poi d’un tratto ho udito il rumore dell’ascensore che saliva. Non si è fermato al nostro piano, ma il rumore è stato sufficiente a darmi l’impulso di fuggire. Forse avrei dovuto dominarmi, forse sarei dovuta rimanere e chiamare la polizia, ma ero in preda al panico. Temevo soprattutto per voi, non volevo mettervi nei guai.

— Davvero premurosa — fece Maggie.

— Sono sincera! Non è stato facile, ma sono finalmente riuscita a portarlo giù e a farlo salire in macchina. Nel frattempo si era messo a piovere, e devo aver vagato per ore sotto l’acqua prima di aver l’idea di condurlo qui. È stato l’unico posto che mi sia venuto in mente.

Maggie chiese: — Dopo dove sei andata?

— Mi sono avviata verso casa… per andar da mia madre, ma non ho potuto.

— Perché?

— Non lo so, non me la sentivo.

— Se vi picchia — osservò Casey — nutrirò grande ammirazione per lei.

Phyllis sollevò di scatto il capo biondo e lo fissò con occhi lampeggianti. Gridò: — Non mi credete! Non volete credermi! Ormai avete stabilito di non credermi, e, qualunque cosa io dica, non cambiereste opinione. Ma perché dovrei avere ucciso mio padre o incaricato voi di farlo? Era l’unica persona a cui volessi veramente bene.

Nascose il viso nella coperta che l’avvolgeva e, pur non piangendo, rimase tanto immobile che gli altri due non osarono disturbarla. Dopo poco rialzò la testa e prese a scrutare il viso di Casey con la stessa espressione assorta del giorno prima al bar Nuvola.

Finì per dire con tono calmo: — Voi mi aiuterete a scoprire chi è stato a uccidere mio padre.

— Davvero?

— Sì, e non sarà difficile. Il compito più arduo sarà di provarlo. È molto scaltro.

— Allora sai chi è? — chiese Maggie.

— Credo di saperlo. Anzi, sono sicura di saperlo. Papà era l’unica persona che temeva, l’unico che lo intralciasse. Era riuscito a ipnotizzare mia madre come fa con tutti, ma papà non si era lasciato menare per il naso. Aveva detto che non dovevo sposarlo se non ne avevo voglia.

Casey diede un’occhiata a Maggie, che rispose con un cenno di soddisfatta modestia. Rivolto a Phyllis spiegò: — Maggie ritiene che steste scappando da Lance Gorden quando veniste qui la prima volta.

— Lo conoscete?

— Ci siamo incontrati — fece Casey, sfregandosi le nocche con aria pensierosa.

— Maggie ha ragione, scappavo da lui. Insisteva sempre perché lo sposassi, e la mamma faceva altrettanto, così finii per cedere. — Phyllis aggrottò la fronte, quindi aggiunse: — Mia madre si agita troppo, trova che dovrei sistemarmi. Suppongo che le sue intenzioni siano buone, ma non capisce fino a che punto Lance l’abbia ipnotizzata.

— Dev’essere un vero Svengali — osservò Maggie — e senza neanche la barba.

Nelle sue parole affiorava un’inflessione che consigliava la prudenza, e Casey fu messo in guardia. “Ricorda” gli stava dicendo “è la piccina dalla fantasia fervida. Ricorda la disgraziata prima donna e il padre dedito al sacrificio.”

— A prescindere da una ragione ovvia che per il momento lascerò perdere — disse Casey — perché Gorden ci tiene tanto a questo nozze?

— Denaro. — La risposta era stata pronta.

— Sembra ben provvisto.

— Il verbo sembrare è molto adatto. — Il sorrìso di Phyllis era amaro. — Come credete che se la sarebbe cavata senza l’appoggio di mio padre? E anche quella fu un’idea di mia madre.

— E così, forse stanco di pagare la tassa sui redditi, fa fuori la sorgente di questi redditi? Sarebbe questa la vostra teoria?

Era chiaro che a Phyllis non garbava essere contraddetta, e la bimba pallida dalle labbra tremanti e dagli occhi sgomenti sparì in un baleno.

— Non vi espongo teorie! — esclamò seccamente. — Sto dicendo la verità, e non mi importa che voi mi crediate o meno, dovrete fare comunque quello che vi dico.

— Non starebbe male aggiungere “per piacere” — suggerì Maggie, ma ormai nulla avrebbe fermato Phyllis.

— Tanto per cominciare, nessuno di voi due denuncerà alla polizia la mia presenza. Non voglio essere trovata, almeno per ora. Ecco perché ho dato fuoco alla mia macchina.

— Ho notizie per voi — intervenne Casey. — Siete stata poco abile e l’automobile non è bruciata.

Quell’informazione la tacitò soltanto per un istante, e subito riprese: — Ad ogni modo, me ne sono liberata. Starò nascosta per un poco, lasciando che Lance si roda per sapere dove sono e perché. Anche in questo mi aiuterete voi.

— A quanto pare, tutto d’un tratto sto diventando il vostro braccio destro.

— Sarà meglio, perché in caso contrario sarà sufficiente che io vada alla polizia a dire che mi avete rapito dopo avere ucciso mio padre.

Già da un po’ Casey si aspettava il colpo mancino. A volte nella vita è possibile discutere, ma in questo caso l’aria decisa e dura di Phyllis lo precludeva. Lanciò una occhiata a Maggie, e questa osservò: — Siete in trappola.

— Non è detto! — ribatté, soffocato dall’ira.

Si volse di scatto per fronteggiare la ragazza, che gli sedeva a fianco con l’aria sicura di sé. Sicura e soddisfatta. — Si tratta della vostra parola contro la mia — le disse — e io preferisco la mia. La polizia ha metodi molto rigidi quando si tratta di omicidio e cerca sempre di trovare il movente. Più ci penso e meno moventi vedo da parte mia, a meno che voi mi aveste pagato per commettere il reato, e in tal caso non fiaterete con anima viva. Dopo tutto Darius Brunner non era nulla per me.

— Come no!?

— Mi è forse sfuggito qualche particolare?

Un lento sorriso si diffuse sul viso di Phyllis e quel sorriso non auspicava nulla di buono per Casey Morrow. Se lo sentiva nella bocca dello stomaco.

— Vi è sfuggito tutto — disse la ragazza. — Mi è toccato andare fin nell’Indiana e anche sorreggervi durante la cerimonia, ma ho trovato un magistrato miope e avido di denaro quasi quanto voi. Ho notizie da darvi: sono la signora Casey Morrow.

Tacque un attimo per dar modo alle sue parole di penetrare, ma in fondo Casey non era stupido. Era il modo di fare di lei che lo faceva ammutolire. Indubbiamente aveva avuto le sue ragioni per compiere un simile passo, e quelle ragioni potevano significare grossi guai.

— Quest’onore mi è costato cinquemila dollari — aggiunse Phyllis. — Avrei potuto trovare ciò che cercavo a minor prezzo, ma quando vi ho visto coccolare il vostro ultimo dollaro al bar Nuvola ho intuito che eravate la persona adatta. Avevo ragione, non vi sembra?

Guardandosi bene dal rilevare l’ultima frase, Casey domandò: — È Gorden la causa di questo matrimonio?

— Appunto.

— Ora non può più sposarvi.

— Non può sposarmi e non può mettere le mani sui quattrini.

— Quattrini? Che quattrini?

Gli rispose con una risata argentina, un poco aspra: — Lo sapevo che vi avrebbe interessato. I miei quattrini, s’intende. Papà non nutriva molta fiducia nelle capacità amministrative della mamma e odiava le tasse di successione per cui mi aveva intestato tutto il suo patrimonio. Un paio di milioni di dollari, se volete proprio farvi venire l’acquolina in bocca. L’unico ostacolo consiste nel fatto che legalmente io non sono maggiorenne e devo quindi avere un tutore… oppure un marito.

A Casey occorse un certo tempo per assuefarsi all’idea.

Ora capiva il piano di Phyllis e riusciva anche a essere più lungimirante. Non era forse l’uomo più scaltro del mondo, ma sapeva riconoscere una occasione propizia anche se gli veniva presentata avvolta in una coperta militare. E se Phyllis avesse avuto ragione? E se fosse riuscito a provare che era stato Lance Gorden a uccidere Darius Brunner? Era una possibilità piuttosto vaga, ma in genere sono proprio quelle vaghe che rendono, e a Phyllis avrebbe reso non poco. Per procurarsi un marito aveva già sborsato cinquemila dollari, per disfarsene ne avrebbe sborsati molti di più.

Lei attendeva con gli occhi lucenti. — Dunque? — chiese. — Che ne pensate del mio racconto?

— Dàgli tempo d’interrogare il suo animo — consigliò Maggie con tono asciutto. — Non ci metterà molto, e sono sicura che sarete molto felici, figlioli miei.

8

L’assassinio di Darius Brunner occupò le prime pagine dei giornali finché un bambino, classificato nella categoria dei piccoli prodigi, nelle statistiche scolastiche, abbatté un’ascia su un compagno, dando al pubblico qualcosa di più interessante cui appassionarsi. Ormai tutta la città era talmente familiarizzata con le foto della ereditiera scomparsa e con le descrizioni del “misterioso uomo in grigio” (grazie ai colori falsati che creava l’illuminazione del bar Nuvola) che quasi erano finite nel dimenticatoio. Intanto Casey Morrow e la sua sposa “non premeditata” erano andati a vivere in un piccolo appartamento nel quartiere nord. Non molto lussuoso, comprendeva un salottino grande come una scatola di fiammiferi, completo di divano Rinascimento, una camera da letto, una cucina e una stanza da bagno con gli impianti refrattari. Data l’urgenza, Maggie non aveva trovato di meglio.

Non appena Casey aveva smesso di interrogare il proprio animo, Maggie aveva detto: — Non potete restare qui. Prima di tutto non c’è posto, e in secondo luogo gli allievi di Papà Danikoff si accorgerebbero subito della presenza di Phyllis. Terzo… — il suo aspetto severo scartava la possibilità di uno scherzo — … non ho nessuna intenzione di passare i miei ultimi anni dietro le sbarre.

E così aveva trovato l’alloggio e aveva fatto anche alcune spesucce, comprando camicie e biancheria per Casey e qualcosa di meno appariscente del visone, per Phyllis. Mentre Casey tirava fuori il contante la ragazza gli aveva detto:

— Tieni nota delle spese e, quando tutto sarà chiarito, ti rimborserò.

Lo sposo riluttante aveva risposto: — Va bene… come vuoi.

Il mattino dopo, e cioè due giorni esatti dopo il delitto, Casey, che era seduto davanti al caffè per la prima colazione, disse, cercando di avere un’espressione severa: — Dunque, Genio, dal momento che siamo riusciti a evitare la galera fino ad ora, qual è la prossima mossa?

Non si sentiva soddisfatto. Sebbene non gli fosse stato ancora detto, che il divano nel salotto era per lui. Ma non era tanto questo a turbarlo, quanto l’aspetto di Phyllis. Nessuna donna aveva il diritto di essere tanto bella al mattino presto, e infatti prima d’allora non ne aveva mai incontrate. Anche con la vestaglia economica comprata da Maggie, e i capelli radunati in cima al capo in una crocchia, era una creatura eccezionale. Per di più dotata di una calma esasperante.

— Te l’ho già detto, quando eravamo da Maggie. Dobbiamo scoprire perché Lance ha ucciso mio padre.

— Soltanto?

— Faremo quello che occorre! Tu stesso hai detto che non aveva nessuna ragione logica di uccidere la fonte delle sue rendite, quindi una ragione ci deve essere.

Quella sua maledetta logica faceva quasi dimenticare a Casey ciò che aveva letto nel giornale. — Gorden dice di essere stato in campagna la sera in cui tuo padre è stato ucciso — l’informò. — Dichiara di esserci andato per pranzo e di averci pernottato, ricevendo là la notizia della sua morte. Per di più tua madre conferma.

— Naturalmente. Se Lance le ha detto che gli occorre un alibi, sarebbe pronta a mentire per lui.

— Ne sei certa?

— Sicurissima. Te l’ho detto, l’ha ipnotizzata.

Casey sospirò, ripiegando il giornale. — Va bene, correrò qualche rischio per cercare di scoprire qualcosa sul tuo amico. Mi convincerò anche della sua colpevolezza, se questo potrà essere di aiuto. Mentre sarò fuori a indagare, tu però stai al coperto. Non preoccuparti, che torno.

— Lo so.

Sulla porta Casey si volse a guardare indietro. Lei la sapeva lunga. Aveva scelto bene il suo uomo di paglia, e se ne rendeva conto. “Devo essere ancora sbronzo” si disse. “Sbronzo o in pieno sogno.” Poco dopo scendeva le scale e aveva in tasca un indirizzo e un numero telefonico scritto a matita.

— Il signor Gorden non c’è. No, non rientra per ora. È andato al funerale di Darius Brunner.

Il funerale. Casey se n’era completamente scordato. Depose il ricevitore del telefono e aprì la porta della cabina, turbato da un nuovo pensiero. Aveva detto a Phyllis di non muoversi e non era possibile che lei fosse tanto imprudente da svignarsela per assistere al funerale del padre. Si trastullò per un attimo con l’idea di tornare ad accertarsene, ma poi ricordò il famoso colloquio in casa di Maggie e come Phyllis fosse rimasta seduta sul divano a raccontare senza interruzioni e senza lacrime. Ciò non significava che fosse arida, ma semplicemente che sapeva dominarsi. Concluse che un maggior dominio di se stesso non avrebbe fatto male neanche a lui.

Forse recarsi direttamente a casa di Gorden non era la mossa più abile. Chissà. Sapeva soltanto che doveva pur cominciare da qualche parte e che Gorden in quel momento era fuori. Altro problema era sapere chi avesse risposto al telefono, ma l’avrebbe affrontato sul posto, tanto più che c’erano molte probabilità che il suo interlocutore non lo avesse mai visto.

Alla sua scampanellata venne ad aprire un tipo magro dalle folte sopracciglia, i capelli arruffati e piedi piccolissimi. Casey notò in modo particolare i piedi, perché bloccavano l’ingresso, e vide che l’individuo dal viso inespressivo indossava calzoni neri e giacca bianca.

— Mi dispiace che Gorden non ci sia — disse Morrow. — Ma non ho fretta, lo aspetterò.

Nobile tentativo, che però non sortì alcun effetto.

— Il signor Gorden sarà assente tutto il giorno — insistette il domestico. — Può darsi che torni molto tardi e forse soltanto domani.

— Davvero? — Casey tirò fuori una smorfia, sperando di farla apparire come un sorriso genuino. — Come ai vecchi tempi — aggiunse.

— Come?

— Eravamo compagni di università, e anche allora il vecchio Gorden non ci teneva troppo a rincasare la sera. Peccato che non fosse al corrente della mia venuta, altrimenti avrebbe potuto trovare una ragazza anche per me.

Continuava a sprecare tempo. Il viso indifferente non mutò espressione, e i piedi non si scostarono dalla soglia. Non c’era nulla da fare per schivare quel cane da guardia, e non sarebbe neppure valso mostrargli una sua fotografia con Gorden in braccio alla stessa balia. Ci voleva un tipo più scaltro di lui per scoprire se c’era qualcosa di sospetto nell’appartamento ricco di lucidi legni che s’intravedevano dalla porta. Si allontanò per avviarsi verso l’ascensore, ma giunto a metà del corridoio, si fermò per guardarsi alle spalle. L’uscio era stato richiuso, e doveva esser effetto dei suoi nervi se continuava a sentirsi fissare da quegli occhi scuri.

Era logicissimo che Lance Gorden alloggiasse in un quartiere di lusso tanto diverso dalla zona a cui era abituato Casimir Morokowski, in quella casa austera, fronteggiata da un prato vellutato che serviva da parcheggio, e con l’autorimessa privata sul retro. Incerto sul da farsi, Casey entrò appunto nell’autorimessa per attaccare discorso con il negro che stava sfregando una macchia invisibile sul cofano di una Cadillac chilometrica.

— Questo tempaccio deve darvi molto da fare — osservò.

L’inserviente interruppe il lavoro per scrutarlo dalla testa ai piedi, poi chiese: — Vi manda un giornale?

Casey stava convincendosi di avere sbagliato professione, a meno che non fossero i suoi abiti a necessitare di una stiratura. — Perché? — fece. — Sono stati qui a seccarvi i reporter?

— Non me particolarmente, ma sono venuti. Anche la polizia.

— Grande agitazione, eh?

— Niente agitazione, soltanto domande.

— Come per esempio, se Lance Gorden è uscito o no la sera in cui è morto Brunner?

— Forse.

— Era uscito, naturalmente.

— Forse. Non mi immischio nelle faccende che non mi riguardano.

Riprese a lucidare, dando chiaramente a capire che la conversazione era conclusa, ma Casey non era dello stesso parere e ammise: — In genere è più saggio, ma quella ragazza fa proprio pena. Era bella, vero?

— Così dicono.

— Non l’avevate mai vista?

— Sentite un po’, vi ho già detto che non m’immischio…

— Lo so, e per di più le domande non vi garbano. Ma io dovrò pur guadagnarmi il pane, non vi sembra?

— Anch’io devo guadagnarmelo.

Casey cominciava a sentirsi molto avvilito. Aveva sperato di udire qualche pettegolezzo su Gorden e sulle sue abitudini, ma a quanto pareva aveva scelto la fonte sbagliata. E va bene, se non gli riusciva di strappare qualche bocconcino interessante, tanto valeva tenersi ai fatti.

— C’è un custode di notte, qui? — chiese.

— In teoria.

— Voi?

— Credete che lavori sempre, io?

— M’informavo. Allora non sapete a che ora ha tirato fuori la macchina il signor Gorden la notte in cui è stato ucciso Brunner?

— Da quello che ho sentito dire, non ne aveva bisogno, perché era già fuori.

— È stato fuori tutta notte?

— So soltanto che l’ha riportata la mattina dopo di buon’ora. L’ho lavata io stesso prima di mezzogiorno.

— Era sporca?

— La pioggia non lava le automobili. Se c’è altro che volete sapere…

— Vorrei sapere tante cose — fece Casey, sorridendo con ironia — ma non desidero strapparvi al vostro lavoro.

Non si sentiva molto soddisfatto, mentre si allontanava con passo lento dallo stabile, ed era sul punto di intavolare un monologo con se stesso. Phyllis aveva detto: “Scopri perché Lance ha ucciso mio padre”. Scopri. Bazzecole. Per il momento, i risultati delle sue indagini erano nulli, e il suo cervello non pullulava certamente di idee utili a migliorare la situazione. Aveva però in tasca altri indirizzi. Uno forse sarebbe stato utile soltanto dopo il funerale, ma l’altro poteva servire. Sprofondò il mento nel bavero e riprese a camminare contro vento. La mèta non era lontana e, se pensava allo stato di subbuglio del suo stomaco, era addirittura troppo vicina.

Erano passati tre giorni da quando era stato trovato il cadavere di Darius Brunner, ma Casey avanzava lemme lemme verso la casa. Quando vi giunse, sostò sul lato opposto del marciapiede per accertarsi che non ci fosse ombra di poliziotto, e una volta entrato continuò a procedere con cautela, guardandosi attorno. Tempo sprecato. Soltanto í suoi passi risuonavano nei corridoi coperti di tappeti, e quando suonò il campanello, non ottenne risposta. Aprì cautamente l’uscio con la chiave che gli aveva dato Phyllis ed entrò.

Buio pesto. Attraverso le persiane chiuse, la giornata nuvolosa faceva filtrare nelle stanze sottili strisce di luce grigia. Nello studio regnava una oscurità ancor più profonda a causa delle pesanti tende tese davanti alle finestre, e Casey dovette cercare la lampada sulla scrivania e accenderla. Si trovava in una stanza per lui nuova, eppure aveva trovato il lume con facilità e sapeva con altrettanta sicurezza in che punto del tappeto fossero le chiazze scure. Sebbene cercasse di ricordare di essere già stato in quella camera, tutto ciò che Phyllis gli aveva raccontato restava in una zona d’ombra. Eppure si orientava benissimo. Mentre fissava la macchia di sangue, si diceva che non era una ragione sufficiente per correre il rischio di entrare nell’appartamento di Brunner, e sempre più sentiva che il gioco non valeva la candela. Comunque la logica consigliava di cominciare le indagini frugando nella scrivania.

Darius Brunner doveva essere un uomo ordinato. Lo spazio lasciato libero dalla lampada e dal telefono era occupato da accessori d’argento da scrivania e da una fotografia di Phyllis in cornice pure d’argento. Nessuna carta ingombrava il tavolo né spuntava da sotto la cartella; il ripiano era stato spolverato di recente, e il calendario aggiornato.

Il grande cassetto centrale, che pareva il punto logico da cui iniziare le ricerche, si aprì facilmente, e anche all’interno regnava l’ordine. Buste, carta da lettere, scatoletta dei francobolli, tutto a posto. Più in fondo s’intravedeva un oggetto di maggior interesse e cioè un libretto degli assegni, e fin dal primo rapido sguardo alle matrici compilate con cura, Casey capì che Darius Brunner aveva usato la penna con facilità. Sebbene fosse di misura commerciale, il libretto concerneva ovviamente il suo conto corrente personale, e la maggior parte delle matrici si riferiva a conti, ad assicurazioni e così via; in più ve n’erano alcune intestate ad Arvid Petersen che, come Casey ricordava d’aver letto sui giornali, era il domestico. Non poche matrici si riferivano a enti definiti “opere di beneficenza”, mentre a quelle che portavano il nome della signora Brunner e di Phyllis era aggiunta la parola “personale”. Casey esaminò ogni matrice, ma non gli riuscì di trovarne intestate a Lance Gorden. O questi riceveva uno stipendio annuo oppure veniva pagato con gli assegni adibiti alle spese d’ufficio.

Era ormai giunto alle ultime due matrici, quando notò qualcosa di un certo interesse. Gli ultimi assegni scritti da Brunner portavano entrambi la data del suo ultimo giorno di vita. Il primo della somma di cinquemila dollari, era intestato a Phyllis, e nel leggere Casey ebbe un sorriso amaro. La ragazza non aveva certamente comunicato al padre l’uso che intendeva fare di quel denaro. Aveva forse inventato una malinconica favola, dichiarando di essere ridotta al solo visone dell’anno prima, o era davvero tanto facile spillare denaro a Brunner? Prima o poi glielo avrebbe chiesto. Passato all’ultima matrice, vide che rappresentava una strana somma, e cioè milleduecento ottantasette dollari e quaranta cents, pagati personalmente a un certo Carter B. Groot.

Fu la parola “personale” a richiamare la sua attenzione. Una somma di quel genere faceva pensare al saldo di un conto, eppure tutti gli altri assegni erano stati accuratamente specificati. Perché quell’eccezione? Casey riandò con la mente a tutti i nomi che la stampa aveva collegato con Brunner: Petersen, Huntly, Gorden, ma nessun Carter Groot. Forse era una pista, forse no, ma in quel momento non ebbe il tempo di decidere. Oltre la porta dello studio aveva afferrato l’inconfondibile rumore di una chiave infilata nella serratura, e trascorse appena un attimo fra il momento in cui lui spense la luce e quello in cui si apri la porta esterna.

9

Balzato prontamente dietro l’uscio dello studio, Casey tendeva l’orecchio verso le voci. Prima due e subito dopo una terza. La prima era maschile e, mentre si apriva la porta dell’ingresso, stava dicendo: — Ora accendo, è buio pesto qua dentro. Sei sicura di voler rimanere, Alicia? Tanto varrebbe che tu aspettassi a casa mia.

I nervi di Casey si tesero. Aveva riconosciuto la voce di Lance Gorden, e non faceva parte dei suoi programmi per la giornata imbattersi nel suo avversario in quelle circostanze. Non aveva previsto che il funerale di Brunner sarebbe terminato così in fretta.

Intanto una voce di donna rispondeva: — Non c’è ragione perché io non rimanga. Non sono una bambina, Lance.

— Hai però passato ore molto angosciose.

— Sto benissimo. Dopo tutto, bisogna saper affrontare anche le situazioni più sgradevoli. Tanto vale che cominci subito.

In quella voce, nuova per Casey, vibravano accenti forti: dominio di sé, educazione e forza. Aveva già una mezza idea sull’identità della donna, quando un terzo personaggio entrò in scena, confermando i suoi sospetti.

— Ma come, signora Brunner, intendete rimanere qui?

— Sì, Petersen, per qualche tempo.

— Voglio esprimervi tutto il mio cordoglio…

— Capisco, Petersen, e vi ringrazio. I vostri fiori erano bellissimi.

Seguì un silenzio imbarazzato, di quei silenzi che implicano come non esistano parole adeguate di fronte alla morte.

Fu Petersen a romperlo: — Provvederò alla colazione.

— Grazie, non ho fame.

— Capisco, ma dovete mangiare, signora. Preparerò subito qualcosa.

— Ha ragione, Alicia — fu pronto a intervenire Gorden. — Io non posso rimanere, perché devo consultarmi di nuovo con il tenente Johnson, ma tu cerca di riposare. Ti telefonerò appena mi sarà possibile.

A giudicare dal rumore della porta che si apriva e si richiudeva, queste parole dovevano essere state l’addio di Gorden, e Casey ne provò un gran sollievo. Udì i passi del domestico avviarsi verso la cucina e gli parve che trascinasse i piedi, come se fossero indolenziti per avere seguito il funerale con un paio di scarpe nuove. Appiattendosi contro la parete e spiando attraverso la fessura tra l’uscio dello studio e l’intelaiatura, gli riuscì di scorgere di sfuggita la schiena dell’uomo, le sue spalle e un ciuffo di capelli brizzolati. Non appena Petersen fu sparito, nulla si frapponeva tra lui e la porta, eccettuata la figura profumata della signora Brunner.

Aspettò che anche lei si muovesse, che si avviasse in qualsiasi direzione che non fosse quella dello studio, ma ancora una volta la fortuna non gli arrise. Preceduta dalla sua ombra, si avvicinò e si fermò sulla soglia, fissando l’oscurità in silenzio. Era troppo vicina perché Casey potesse vederla chiaramente, ma la luce della lampada del corridoio illuminava il suo profilo classico. Bellissima, di una bellezza fuori del comune, la signora Brunner non assomigliava alla figlia. L’effetto di insieme, in Phyllis, vivace e colorito, a volte perfino aggressivo, nella madre era invece di calma, eleganza e dignità. Indossava un abito di velluto nero, e al collo portava una collana di perle. L’espressione impassibile del suo viso era certamente frutto di intere generazioni abituate a dominarsi. Per la prima volta dall’inizio di quell’incubo, Casey fu conscio di un’.atmosfera di tragedia e dovette lottare contro il folle impulso di uscire dal nascondiglio per dire alla signora Brunner che sua figlia non era morta, che stava bene ed era al sicuro. Ma poi? La domanda ebbe l’effetto di una doccia gelata.

Aveva perso il senso del tempo: in quello stato di tensione i secondi parevano ore, ma finalmente la donna si mosse e, immersa in chissà quali pensieri, tornò lentamente sui suoi passi. Casey attese ancora, sempre in ascolto, finché non ritenne possibile un tentativo di fuga, e allora uscì da dietro la porta e attraversò il corridoio illuminato con la rapidità concessagli dalle sue gambe malferme. Soltanto quando fu in strada respirò a pieni polmoni.

Leta Huntly abitava in un minuscolo appartamentino nella Diversey Street, poco lontano dalla Sheridan Road.

L’alloggio al terzo piano guardava sul retro e dava su uno stretto vicolo di dubbia pulizia e su un fazzolettino di prato che a volte era verde, ma non certamente nel mese di novembre. Veniva definito uno studio in quanto il letto era truccato da divano, la tavola truccata da scrivania, e la cucina si chiudeva come un armadietto. Lindo, pulito e dall’aria molto utilitaria, come la stessa signorina Huntly, che si truccava da segretaria efficiente. Mentre Casey entrava nella stanza, tutto ciò attirò la sua attenzione, perché gli parve avere un preciso significato. Se la signorina Nardis, nell’ufficio di Gorden, era stata esatta nelle sue poche velate allusioni riguardo ai rapporti di Leta Huntly con Darius Brunner, questi doveva essere stato un uomo di gusti semplici e dalle poco visibili manifestazioni di generosità.

— Assicurazione? — ripeté Leta con tono freddo. — Non m’interessa…

— Non sono qui per fare una polizza — intervenne prontamente Casey. — Rappresento la Società di Assicurazioni Midwest e vorrei rivolgervi alcune domande.

Buona mossa. Aveva ricordato che una delle matrici di Brunner portava quel nome, e Leta non era in uno stato d’animo scettico. A giudicare dal pallore del suo viso grazioso ma non conturbante, doveva essere ancora sotto l’impressione penosa del funerale.

— So che è un momento difficile — continuò Casey, prendendo posto su una delle sedie dallo schienale rigido poste intorno al tavolo trasformabile — ma sono certo che vorrete aiutarci a chiarire questo triste caso.

— Oh sì! Il signor Brunner era una così brava persona, e non posso ancora credere…

La voce di lei si ruppe bruscamente, e le labbra le tremarono. Casey temeva uno scoppio di pianto, ma sgorgò soltanto qualche lacrima. Leta si asciugò gli occhi con un semplice fazzoletto di lino, toccandosi poi con gesto nervoso i corti capelli dal taglio accurato, mentre riusciva a sorridere con aria dolorosa.

Disse: — Vogliate perdonarmi, signor…

— Kelly — l’informò Casey, senza una ragione speciale per scegliere quel nome piuttosto che un altro.

— Scusatemi, signor Kelly. Come avete detto giustamente, è un momento difficile. In che cosa posso esservi utile?

Casey pensò che in un momento meno opportuno non gli sarebbe andata tanto liscia. Leta non pareva il tipo di donna pronta a comprare azioni di una miniera d’oro da un venditore ambulante, né ad accettare le dichiarazioni di un qualunque investigatore di compagnie assicurative. Comunque il momento era ben scelto, e si doveva approfittarne.

Cercando di apparire un individuo pratico, cominciò: — Naturalmente la mia società è ansiosa di mettere le mani sull’assassino del signor Brunner prima che vengano pagate polizze, tanto più che uno dei principali eredi sembra che sia implicato in maniera grave.

— Suppongo che alludiate a Phyllis.

— È tuttora irreperibile.

— Lo so.

Casey non aveva dimenticato che il suo compito consisteva nell’occuparsi di Lance, ma riteneva che non sarebbe stato certo un male compiere qualche indagine nei riguardi della ragazza, che in quelle strane circostanze era diventata sua moglie. — Voi la conoscevate, immagino.

— Soltanto di vista. Veniva spesso in ufficio.

— Lavorava?

— Se lavorava! — Lo stupore portava sorprendenti mutamenti al viso di Leta, come se delle luci si accendessero d’un tratto su un palcoscenico buio. — Una ragazza come Phyllis non ha bisogno di lavorare, signor Kelly. Le basta tendere la mano per ottenere ciò che vuole. Ecco tutto.

Naturalmente non era tutto. Intendeva dire che Phyllis apparteneva all’alta società, non aveva mai dovuto affrontare la sveglia mattutina e gli orari degli autobus, non aveva mai dovuto lavare la propria biancheria di notte nella toletta comune… mai. Ma quelle cose non si potevano dire a un estraneo, soprattutto a un estraneo dallo sguardo pronto. Le luci nel suo volto si spensero e Leta rimase con gli occhi fissi sulle proprie mani.

— Il signor Brunner era molto generoso con la sua famiglia — riprese poi in fretta. — Cioè con Phyllis e con la moglie.

— Capisco — mormorò Casey.

— Anche per le opere di beneficenza. Erano opere di cui s’interessava la signora, ma il denaro lo passava lui. In questo momento si occupava del progetto dei “Verdi Pascoli”, un’idea veramente meravigliosa per strappare i bambini indigenti dai quartieri poveri. Col tempo l’opera diventerà autonoma, ma gli inizi sono molto dispendiosi.

Tacque un istante per riprendere fiato, poi continuò: — Io naturalmente so soltanto quanto ho udito dire dal signor Brunner al signor Gorden.

— Gorden? — Forse Casey stava diventando suscettibile su questo punto, ma gli pareva che ogni voce femminile si raddolcisse un poco nel pronunciare quel nome. — È interessato anche lui in questa opera pia?

— Certo. Amministra tutte le questioni finanziarie della signora.

— E quelle del marito?

Gli occhi di Leta erano grigi, con piccole pagliuzze verdi. Casey non se ne accorse finché lei non lo fissò.

— Il signor Brunner si occupava personalmente dei suoi affari. — La risposta fu pronta, pronunciata quasi in tono di sfida, come se gli avesse letto il pensiero. — Era così, gli piaceva far da sé.

— Però non trovava da ridire che Gorden avesse carta bianca per gli affari di sua moglie.

— Da ridire? E perché mai? Il signor Gorden faceva più o meno parte della famiglia.

Casey s’impose del tempo per riflettere. Non poteva rischiare di trarre affrettate conclusioni, lì su due piedi; eppure, per la prima volta, cominciava a scorgere un po’ di luce. Forse, fra le numerose opere benefiche della signora Brunner, ce n’era una ignota perfino a lei: qualcuno doveva pur pagare l’affitto di Gorden. Era un punto che meritava un accurato esame, ma gli occhi di Leta cominciavano a manifestare una certa curiosità attraverso il velo di malinconia.

— Suppongo che corressero rapporti cordiali fra Gorden e Brunner — osservò Casey. — Insomma, non c’erano obiezioni alle nozze imminenti, o qualcosa del genere?

La donna era evidentemente lontana mille miglia da una simile idea, e infatti lo fissò stupefatta, chiedendo: — E perché mai? Il signor Gorden è un uomo di affidamento e riscuote grandi simpatie, tanto che speravamo tutti che avrebbe avuto un’influenza benefica su Phyllis. Non le farebbe male rinsavire un poco.

Casey provò un senso di irritazione di fronte al sorriso un poco ironico di Leta e sentì un certo sollievo quando lei riportò la conversazione su Lance.

— Anzi, il signor Gorden e il signor Brunner dovevano far colazione insieme proprio il giorno…

Seccato dell’interruzione improvvisa, Casey incalzò: — Vi è venuto in mente qualcosa?

— Si, ma non è importante. Avevano appuntamento lunedì, ma la colazione andò a monte.

— Gorden non si fece vivo?

— Oh, sì, lui è sempre puntualissimo, ma non c’era il signor Brunner. Era uscito dieci minuti prima, dimenticandosi completamente di avvertirlo. La prese molte bene, s’intende.

— Brunner?

— No, il signor Gorden. Decidemmo entrambi che la dimenticanza era dovuta alla visita di Phyllis in ufficio poco prima. A volte faceva innervosire il padre.

— Chiariamo un po’ meglio. Lunedì la signorina andò in ufficio dal padre, lui usci dopo che se n’era andata?

— Per circa due ore. Al suo ritorno pareva un poco nervoso ma, come dico, Phyllis gli aveva spillato altri quattrini a forza di moine.

— Ve lo disse lui?

— Non proprio — ammise Leta, arrossendo — ma in generale era quello lo scopo delle sue visite, e ricordo di averla vista mettere un foglietto nella borsa mentre usciva. Sembrava un assegno.

— Che cosa fece Gorden quando Brunner non andò all’appuntamento?

— Attese in ufficio qualche minuto e poi uscì da solo. Però la prese molto bene.

Casey cominciava a essere stufo di sentirsi fare gli elogi di Lance, ma quel poco tatto di cui era dotato gli suggerì di non dirlo. Un’altra sensazione vaga, forse il presentimento di un pericolo, lo ammoniva al tempo stesso di non fidarsi troppo della sua buona stella. Fra poco Leta si sarebbe stancata di rispondere alle sue domande e avrebbe cominciato a rivolgergliene alcune molto imbarazzanti. Eppure un’altra occorreva rischiarla.

— Se non sbaglio — disse, tastando il terreno — voi diceste alla polizia di aver lavorato fino a tardi la sera in cui morì Brunner. Che genere di lavoro stavate svolgendo?

I nodi venivano ormai al pettine.

— Non riesco a capire… — tergiversò Leta.

— Io sto solamente cercando un movente, signorina Huntly.

Casey cominciava a pentirsi di avere abbandonato la veste del reporter. Forse si sarebbe lasciata abbindolare nella speranza che le sue parole apparissero sui giornali. A volte le donne ci tengono a particolari di questo genere, ma ormai era tardi per cambiare professione.

— Be’ — fini per dire Leta — non so esattamente che cosa stesse facendo il signor Brunner. Rimase solo nel suo ufficio fin verso le otto, e io lo attesi nel mio, scrivendo a macchina, finché non ebbe finito. Mi aveva detto di andare a casa, ma non me la sentivo di lasciarlo solo.

— Avevate qualche particolare ragione? — L’interesse di Casey si era risvegliato.

— Si. Negli ultimi tempi era stato oberato di lavoro, e ritenevo che fosse meglio non lasciarlo solo dopo quanto era accaduto l’estate scorsa. Ebbe un attacco, forse lo avete saputo.

— No, non lo sapevo.

— Cuore. Accadde durante una fine settimana, mentre si trovava nella sua villa di campagna. In seguito prese in affitto l’appartamento in città, e questo lo facilitò molto.

Il racconto aveva un suono familiare. Lance Gorden aveva detto circa la stessa cosa, e le prove riguardo al pettegolezzo della segretaria si facevano sempre più deboli. Casey, scrutò per un momento il volto di Leta. Mica male. Naso un po’ troppo grande, labbra un po’ troppo sottili, ma, nell’insieme, formava un quadro abbastanza piacevole. Certo non aveva la classe di Alicia Brunner. Quanto a Darius, a giudicare dalle fotografie pubblicate sui giornali, Darius era stato un uomo di aspetto insignificante.

Si alzò e prese il cappello dal tavolo, dicendo: — Mi pare che possa bastare. Non vi disturberò oltre, signorina Huntly, e apprezzo il vostro aiuto. Suppongo che voi non abbiate idee personali sulla vicenda.

Leta doveva aver deciso di agire con discrezione, sebbene Casey avesse notato una improvvisa vivacità nel suo sguardo. Non era cieca e aveva quindi letto dell’uomo in grigio sui giornali.

— Una cosa ancora — aggiunse, ormai vicino alla porta. — Potreste dirmi come posso mettermi in contatto con Carter Groot?

— Come?

— Groot, Carter Groot. Credo che fosse un amico di Brunner, e quindi potevate averlo visto in ufficio.

Il punteggio questa volta marcò zero. Leta ripeté lentamente: — Groot… mi rincresce ma il nome non mi dice nulla. No, sono sicura di non averlo mai udito prima d’ora.

Era pomeriggio avanzato quando Casey fece ritorno all’appartamento. Aveva camminato non poco dal mattino, e i suoi piedi ne risentivano. Un giornale piegato sotto il braccio, lo sguardo stanco e abbattuto, chiunque l’avrebbe scambiato per uno dei soliti mariti succubi, che rincasano dopo un’altra faticosa giornata di ufficio. Già dal corridoio avvertì l’odore delle cipolle che friggevano.

— Spero che ti piacciano gli spaghetti — gli disse Phyllis appena fu entrato in cucina. — È praticamente l’unico piatto che so cucinare.

— Mi piacciono — fu la laconica risposta.

Phyllis si volse a guardarlo. Indossava sottana e camicetta a buon mercato, i capelli radunati in cima alla testa, eppure anche così era bellissima. — Che cosa hai scoperto? — chiese.

— Non lo so. Nulla, credo. Sono stanco.

Casey tornò nel salotto e si lasciò cadere sul divano, addormentandosi quasi subito. Quando si svegliò aveva la cravatta allentata, era scalzo, e Phyllis curva su di lui masticava un grissino. — Gli spaghetti sono pronti — disse. — Vieni a mangiare.

Sedettero in cucina e mangiarono in silenzio. Nessuno dei due osava parlare. Il giornale posato su un angolo del tavolo era aperto alla pagina che dava il resoconto del funerale, completo di fotografie, ma sul viso di Phyllis non si scorgeva nessuna traccia di emozione. Casey ricordò d’un tratto il profilo della signora Brunner stagliato sulla soglia dello studio, e niente sembrava avere più un senso comune. Qualcuno avrebbe dovuto piangere, qualcuno avrebbe dovuto cedere in qualche modo. Quanto a Phyllis, qualunque cosa sperasse di scoprire stando nascosta, non si riusciva a capire perché lo facesse senza avvertire la madre. Era strano, quasi impressionante, vederla seduta li tanto calma.

— Che c’è? — gli chiese, accorgendosi che la fissava. — Perché non mangi? Li faccio bene, gli spaghetti.

— Non ho fame.

— Ma devi mangiare.

Devi mangiare. Proprio quello che aveva detto Petersen, il domestico, alla signora Brunner. A quel ricordo Casey capì d’un tratto che cosa, senza rendersene conto, sentiva il bisogno di fare. Voleva scendere al bar dell’angolo e chiamare un numero che aveva visto sulla scrivania di Brunner. Servendosi di una cabina pubblica, i rischi sarebbero stati pochi: voleva dire alla signora Brunner che la figlia era sana e salva. Forse quel gesto lo avrebbe tenuto su finché non avesse deciso sulle ulteriori mosse.

— Vado a fare due passi — disse ad un tratto, respingendo la sedia.

— Vai da Maggie?

Il tono di Phyllis rivelava la stessa lieve preoccupazione che si leggeva nei suoi occhi, e Casey esitò prima di chiedere: — Perché dovrei andare da Maggie?

— Perché hai scoperto qualcosa e non vuoi dirlo a me.

— Siocchezze.

— Credi?

Prese cappello e cappotto dal piccolo armadio nell’ingresso e scese pesantemente le scale, continuando a cercare una risposta. Fuori faceva più freddo di quanto non ricordasse e anche molto buio, ma verso l’angolo della via una macchia di luce gialla indicava le finestre del bar. Mentre camminava si frugava già in tasca per tirar fuori una moneta.

La suoneria del telefono di Brunner squillò a lungo prima che una voce dicesse: — Pronto.

Era Petersen, e Casey lo riconobbe subito. Disse: — Vorrei parlare con la signora Brunner.

— Non c’è, è tornata in campagna. Posso farle un’ambasciata?… Pronto!

Casey riagganciò. Fallimento di una buona azione. Provò a pensare alla proprietà di campagna e al fatto che se lui vi fosse apparso all’improvviso, per la signora Brunner sarebbe stato uno sconosciuto qualunque, com’era successo con Leta e con tutti gli altri. Occorreva però un’automobile. Maggie? No, non la possedeva. Però avrebbe potuto procurargliene una, le avrebbe dato il denaro necessario per noleggiarla. Apri la porta della cabina e cercò sull’elenco telefonico il nome di un’autorimessa. Mentre sfogliava il libro aperto a casaccio, il suo pollice parve incollarsi alla carta sotto una riga in neretto. “Groot, Carter B.” lesse, “Commerciale e Penalista”.

Un’agenzia investigativa.

10

Era troppo tardi per cercare di rintracciare Carter Groot, ma Casey annotò l’indirizzo su un biglietto di visita e tornò a casa. Phyllis si era già coricata e la porta della camera da letto era chiusa. Cuscino e coperta erano già preparati sul divano, e qualcosa in tutto l’insieme gli dava un senso di solitudine e di abbandono. Spense la luce, ma non riusciva a prender sonno. Fumò un paio di sigarette, accendendo la seconda col mozzicone della prima, e intanto si rivolgeva infinite domande senza risposta. Tra l’altro si chiedeva perché mai Brunner avesse assunto un investigatore privato. Fissava senza sosta la striscia oblunga di luce che, proveniente dalla strada, batteva sul soffitto, perché non voleva guardare la porta della camera.

— Ancora voi! — esclamò Maggie l’indomani mattina di buon’ora. — Sono arrivata al punto che non oso neanche aprire la porta per prendere la bottiglia del latte.

— Devo parlarvi, Maggie, ma sarò breve.

Casey raccattò la bottiglia prima di entrare. Come sempre nello studio si avvertiva l’aroma del caffè, e Maggie portava il camice imbrattato di colori sul pigiama e le pantofole felpate ai piedi.

— E va bene, che succede ora? Quale losco compito avete ideato per me oggi? — Gli occhi di lei smentivano il suo tono asciutto.

Casey osservò: — Cominciate a diventare sospettosa. Lei tentennò il capo e lo corresse: — Sto diventando nervosa… Ogni volta che sento bussare alla porta, mi aspetto che irrompano quei tipi vestiti di blu per trascinarmi alla Bastiglia. Siate indulgente, non mi ero mai trovata coinvolta in un omicidio.

Già, parlava in quel modo, lo guardava col capo ripiegato sulla spalla, inarcando un sopracciglio, ma alla fine, dopo avere ascoltato le sue proposte, finì per dire: — Va bene, noleggerò la macchina, se è necessario, ma è l’ultima volta…

— Siete un angelo.

— Non occorre che mi diciate quello che sono. Una demente e lo so. E il denaro?

Dopo avere sfilato dal portafogli alcune banconote per il deposito, Casey si avviò verso la porta, dicendo: — Devo vedere un tale e tornerò più tardi a prendere l’automobile. Scegliete una macchina poco appariscente, di serie.

— Accidenti — brontolò Maggie. — Stavo già pensando a una decappottabile gialla con “Oggi Sposi” scritto sul portabagagli e un paio di vecchie pantofole attaccate al paraurti.

In attesa di possedere l’automobile, Casey dovette per forza servirsi dei mezzi di trasporto pubblici per dirigersi a un piccolo ufficio al secondo piano di un edificio in mattoni ricoperto di una patina permanente di fuliggine. Dalla strada si vedeva una finestra con la scritta in lettere dorate: “Carter B. Groot Agenzia Investigativa”, ma all’interno Casey si trovò di fronte a una porta di vetro smerigliato che non si apriva. Qualche passo più oltre, nel tetro corridoio, un custode in abito da fatica stava sistemando una scala a pioli sotto un lume a cui era saltata la lampadina, e si fermò a osservare con aria scettica le sue vane manovre con la maniglia.

— Non serve — disse alla fine. — Groot non c’è.

— Cominciavo a sospettarlo. Quando torna?

— Non saprei.

— Quando è uscito?

Il custode trasse di tasca una lampadina e, dopo averla esaminata con cura, rispose: — Lunedì, forse martedì. Non saprei.

— Volete dire che è assente da tre o quattro giorni?

— Appunto.

— Dov’è andato?

— Non lo so. Va e viene come gli pare. Non dice mai la sua destinazione.

Casey fissò l’uscio chiuso come se volesse biasimarlo per non essersi aperto. Osservò quindi il custode arrampicarsi su per la scala e notò soprattutto il pesante mazzo di chiavi che gli ciondolava fuori da una tasca. Esistevano ottime probabilità che una delle chiavi si adattasse alla serratura di Groot, ma il custode non pareva un tipo disposto a cooperare. Per il momento stava avvitando la lampadina nuova e, quando non si accese, pronunciò alcuni adeguati commenti.

— Qui non funziona mai niente — bofonchio. — Non vi pare che si dovrebbe avere il buon senso di non rimettere nel cassetto una lampadina fulminata?

— Quando se ne va chiude sempre l’ufficio? — insistette Casey.

— Chi?

— Groot.

Svitata di nuovo la lampadina, il custode scese dalla scala. — Eh già — disse. — Perché no?

— Pensavo che potesse avere una segretaria o almeno qualcuno per rispondere al telefono in sua assenza.

— Prima l’aveva, ma si è licenziata. Diceva che il lavoro le andava, ma che doveva anche mangiare. Che idea, rimettere nel cassetto una lampadina fulminata.

Casey sapeva che il suo interrogatorio non poteva competere con il rammarico del custode e infatti ben presto si ritrovò solo nel corridoio, mentre dalla tromba della scala riecheggiava un rumore strascicato di piedi stanchi. Groot era dunque assente da tre o quattro giorni… Un ricordo gli balenò alla memoria. Quattro giorni prima Brunner aveva consegnato all’investigatore un assegno di oltre milleduecento dollari e poche ore dopo era morto. Non era possibile concentrare ogni pensiero su un omicidio, come aveva fatto lui negli ultimi giorni, senza finire per avere una fantasia morbosa, e i pensieri che ora gli si affollavano alla mente lo spingevano sempre più a entrare nell’ufficio.

Dopo avere tratto di tasca un accendisigari placcato argento, dono di una bella rossa prima che si fosse resa conto di quanta poca garanzia lui dava, si trovò a meditare sul problema, fumando una sigaretta, quando gli venne una idea migliore. Aveva in tasca un piccolo temperino che, se non poteva servire a forzare una serratura, avrebbe però potuto tagliare via una striscia di gomma dal tacco di una scarpa da inserire sotto la porta di Groot. Così fece lasciando sporgere un lembo di gomma sufficiente a prendere fuoco alla fiammella dell’accendisigari. Occorse qualche minuto per quell’operazione, ma il tempo non mancava. Quando riapparve il custode con una lampadina nuova, Casey si trovava sotto una delle luci ancora in efficienza e pareva assorto a studiare il proprio orologio da polso.

Salito sulla scala il custode avvitò la lampadina, tentennò il capo soddisfatto quando la luce inondò il corridoio, quindi annusò l’aria.

— Brucia qualcosa — disse.

— Come? — fece Casey.

— C’è odore di gomma bruciata.

— Forse è un corto circuito.

— Si direbbe… — L’uomo scese dalla scala e si accostò alla porta di Groot. — Viene da qui — disse.

Casey non si era sbagliato circa le chiavi. Una corrispondeva alla porta, e lui era alle spalle del custode quando questi l’infilò nella serratura. Mentre l’ometto entrava nell’ufficio diritto filato, Casey diede una pedata al lembo di gomma fumante per farlo sparire, poi fece scattare la serratura in modo che la porta non potesse più venire chiusa a chiave. Il resto fu un gioco da bambini. Si avviò giù per il corridoio e attese finché il custode, dopo avere ripiegato la scala, non si allontanò brontolando. Quando anche la eco dei suoi passi si fu spenta per le scale, Casey entrò nell’ufficio.

L’aspetto non faceva pensare ad affari prosperosi. Oltre il piccolo ingresso dal mobilio scarso e di vecchia data, trovò una scrivania tutt’altro che decorativa, una poltroncina girevole sgangherata e un paio di archivi di metallo. Un pallido sole autunnale, che filtrava attraverso i vetri rigati dalla pioggia, accentuava la polvere accumulatasi da quattro giorni e le condizioni piuttosto inconsuete di uno degli archivi. Casey guardò con più attenzione e finì per capire come mai uno dei cassetti era semiaperto. Non sarebbe anzi mai più tornato allo stato primitivo dopo il trattamento subito dalla serratura. Per un attimo provò la sgradevole sensazione che un paio d’occhi gli fissasse la nuca, ma chiunque avesse ricordato che Groot avrebbe indubbiamente avuto una velina di ogni suo rapporto era già arrivato e ripartito da tempo. Apri il cassetto e frugò tra le pratiche riposte con ordine, ben sapendo che non avrebbe trovato quanto cercava. Brown, Bymer, niente Brunner. Nessuna prova che indicasse il soggetto, lo scopo o le conclusioni di un’indagine richiesta dal morto. Nessuna prova, e neanche l’ombra di Carter Groot. Concluse che si trattava di un complesso di fatti degni d’interesse.

Ora aveva per lo meno una base su cui agire, assai più convincente delle accuse di una bambina fantasiosa. Oppure no? Era davvero convincente, o così pensava Casey Morrow, il quale in fondo non chiedeva che di essere convinto? Dopo tutto, aveva soltanto trovato un archivio scassinato. Tra i punti negativi c’era anche lo sgradevole sospetto che non sarebbe stato facile rintracciare Groot. Fece un tentativo con la scrivania, ma i cassetti non presentavano interesse particolare. Per lo più vuoti, in mezzo a buste e orari di autobus trovò una piccola agenda contenente annotazioni a matita, che gli parvero in codice finché non le ebbe esaminate più attentamente, e allora si tramutarono in colonne di spese particolareggiate. Verso la fine dell’agenda trovò ciò che cercava: Brunner Darius: anticipo 250 dollari, seguito da una serie di cifre che ammontavano in totale a milleduecentottantasette dollari e quaranta “cents”.

Pur non dicendogli nulla di nuovo, l’agenda confermava nero su bianco. S’infilò in tasca gli appunti e diede un’occhiata all’orario degli autobus, nell’eventualità che l’inafferrabile Groot fosse semplicemente andato a sbrigare un altro incarico, come pareva pensare il custode. L’orario non fu di alcun aiuto: nessun segno, nessun nome sottolineato. Dovette a malincuore convincersi che non avrebbe scoperto altro in quello studio, e che doveva darsi ancora parecchio da fare se intendeva trovare Carter B. Groot.

Alla fine riuscì ad estorcere al custode un indirizzo. Quando vi giunse, si trovò in uno stabile in mattoni gialli, dal porticato di cemento e la porta di pannelli di vetro, gestito da una malinconica padrona. Come previsto, Groot non c’era. Non si vedeva dal lunedì. Lunedì sera? Forse sì, forse no. La donna aveva già il suo bel da fare, senza controllare le andate e venute dei suoi inquilini. Comunque, non appena fosse tornato lo avrebbe certamente visto.

— Non ha ancora pagato l’affitto di novembre — si lamentò — e ormai siamo quasi in dicembre.

Casey era sempre pronto ad afferrare le occasioni al volo. Disse subito, con tono comprensivo: — Mi dispiace proprio, e spero che il mio vecchio amico non si trovi in difficoltà finanziarie. Se lo fosse, sarei felicissimo di aiutarlo. Forse tornerà presto, e mi converrebbe aspettarlo.

Due occhi scaltri e calcolatori lo scrutarono. Gli abiti di Casey erano di buon taglio, le scarpe di lusso, e l’orologio che esaminava con ostentazione era costato un sacco di quattrini.

— Non dovrei… — esitò la donna.

— Oh, a Carter non importerebbe. Siamo vecchi amici.

— Non vorrei che perdesse l’occasione di vedere un amico. Non c’è niente di male se vi faccio aspettare da lui, suppongo.

Lo fece entrare, e l’interno rispondeva esattamente all’idea che si era fatta Casey; arredato con lusso nel 1929 e mai più rimodernato. Comunque non era venuto per ammirare le tende e infatti per prima cosa esaminò gli armadi. Il guardaroba di Groot non era eccezionale, ma la presenza di una valigia consunta su uno dei ripiani escludeva in modo abbastanza pieno l’idea che fosse partito per un viaggio di affari, a meno che non avesse avuto troppa fretta per preparare il bagaglio. Poi passò alla stanza da bagno, dove non mancavano né lo spazzolino da denti né il rasoio.

Casey vagò per l’appartamento, senza sapere cosa stava cercando di preciso. Il letto era fatto, ma il suo sguardo fu attirato da un giornale gettato con noncuranza sul bracciolo di una vecchia poltrona a dondolo. Sul tavolino a fianco della poltrona c’erano una radio, un portacenere colmo di mozziconi e un bicchiere di whisky mezzo vuoto. Fu appunto il whisky a lasciare perplesso Casey, a cui non andava di vedere una buona bibita abbandonata in quel modo. Prese posto sulla poltrona e cercò di ricostruire mentalmente la scena. Groot doveva essersi seduto a fare una bevutina prima di coricarsi (il giornale era l’edizione della sera), fumando una sigaretta e fors’anche con la radio accesa. Quando Casey allungò la mano e girò il bottone, l’Iniziale ronzio fu seguito da una voce asciutta che dava numeri in codice alle macchine di ronda della polizia. Bicchierino, sigaretta, chiamate della polizia. Tutto fu chiaro: un quadro dipinto a olio non avrebbe potuto esserlo di più.

Controllò la data sul giornale, ma sapeva già che doveva essere di lunedì. Doveva essere di lunedi sera, perché appunto lunedì sera Brunner era stato assassinato. Quel lunedì sera, Carter Groot, che si era appena intascato un bell’onorario per scoprire i loschi retroscena di un nemico a cui Brunner l’aveva giurata, stava seduto in poltrona, quando aveva udito la chiamata che significava un omicidio in casa di Brunner.

Casey poteva soltanto immaginare che cosa contenesse il rapporto scomparso dell’investigatore, ma Groot, che conosceva l’identità della persona che aveva buone ragioni per volere la morte di Brunner, doveva avere subito una scossa a quella chiamata.

A questo punto il quadro diventava confuso. Che cosa aveva fatto Groot? Sarebbe potuto andare alla polizia, ma era ovvio che non aveva agito così. Avrebbe potuto nascondersi, reazione improbabile per un uomo della sua professione. Conscio di stare misurando Groot sul proprio metro, Casey pensò all’eventualità che Groot avesse barattato il proprio silènzio, a peso d’oro. Un simile piano poteva essere pericoloso, ma non conoscendo Groot e non sapendo quali fossero i suoi princìpi, si trattava d’indovinare.

Ancora intento a fare ipotesi, quasi senza accorgersene apri il cassettino del tavolo e, in mezzo a vecchi programmi ippici, trovò una manciata di fotografie e un cartoncino di un locale notturno. In ogni fotografia, tutte simili e monotone, era ritratto un uomo elegante, sorridente, sui trentacinque anni, che stringeva a sé una ragazza. In alcune i due erano su una spiaggia e, l’uomo faceva bella mostra del suo torace, in altre lo sfondo era la neve o una panchina di giardino pubblico. In ognuna però la ragazza era diversa, e l’uomo sempre lo stesso. Casey concluse che Groot aveva una vita galante molto piena.

Il punto tuttavia di vero interesse era la fotografia incollata sul cartoncino. Lo stesso individuo sorridente ora stringeva in mano un bicchiere di whisky e con un braccio cingeva le spalle voluttuose di una bellissima bionda dall’abito profondamente scollato. Non appena riuscì a strappare gli occhi dalla scollatura, Casey riconobbe la bionda: proprio la segretaria di Lance Gorden, la signorina Nardis dai grandi occhi castani.

11

Era esattamente mezzogiorno e due minuti quando Audrey Nardis usci dall’ascensore per entrare nell’atrio degli uffici Brunner. Su un vestito verde indossava una pelliccia marrone, troppo lussuosa se l’avesse pagata lei, e troppo modesta in caso contrario; sul suo viso era dipinta un’espressione ansiosa e guardinga. Casey attese che fosse arrivata all’arco della porta che dava sulla strada, prima di uscire da dietro una vicina colonna e afferrarla per un braccio.

— Cercate qualcuno? — le chiese.

Si volse di scatto e sbarrò gli occhioni castani. — Ah, siete voi!

— Allora vi ricordate di me?

— Se ricordo… A proposito, il signor Gorden vorrebbe vedervi.

Casey riuscì a spingerla in strada. Fuori c’era già la ressa del mezzogiorno, e, date le circostanze, gli garbava l’idea di essere in compagnia numerosa.

— Buffo — mormorò, mentre si avviavano senza una mèta particolare. — Non credevo proprio che gliene importasse.

— Altro che! Mi ha detto di chiamare subito la polizia, se avessi mai rivisto quel finto reporter.

— Non ve lo consiglio.

— Che cosa volete, in fin dei conti?

Dopo essersi fermato a scrutare la strada, Casey disse: — Far colazione. Dove si può andare? Sono affamato.

— Poche storie. O parlate o strillo.

Era un rischio che doveva per forza correre, e in quel momento la signorina Nardis pareva decisissima a mettere in atto la minaccia. Però era curiosa, qualità su cui Casey aveva contato molto. Strinse con maggior forza il braccio di lei e riprese a camminare, avviandosi verso un bar che aveva avvistato poco oltre. — Sono disposto a parlare appena ne avremo la possibilità — spiegò.

— Ecco perché vi ho telefonato, stamattina, per poter fare due chiacchiere in pace.

Quando vi entrarono, il bar era quasi pieno, ma Casey ebbe la meglio su un avventore irascibile e riuscì a occupare l’ultima nicchia in angolo, appartata e accogliente se pure circondata da un frastuono sufficiente a soffocare qualsiasi conversazione. La ragazza era in collera, questo era indubbio, ma anche perplessa, perché lui al telefono era stato molto misterioso.

“La mia identità non ha importanza” aveva detto. “Vi aspetterò al pianterreno quando uscirete per la colazione. Farete bene ad esserci, nel vostro interesse.”

La signorina Nardis stava tamburellando con le dita sul ripiano del tavolo e lo guardava di traverso, in modo tutt’altro che lusinghiero. — Sono pronta ad ascoltare — annunciò — ma per ora non ho sentito nulla.

— Dunque, Gorden vuole vedermi — fece Casey. — Non vi ha detto il perché?

— Ha detto che non siete un reporter, non so altro.

— A dire la verità, non lo sono — ammise Casey, tirando fuori di tasca il cartoncino su cui era incollata la fotografia.

— Che cos’è tutta questa storia? Perché mi avete trascinata qui?

— Per il vostro bene, credetemi.

Aveva posto sul tavolo il cartoncino e la signorina Nardis smise di lanciargli occhiatacce per guardare la fotografia. Parve un poco interdetta, ma non intimorita, e chiese: — Che vuol dire?

— Conoscete quest’uomo?

— Si direbbe, non vi sembra? È Barney.

— Barney?

— Barney Carter. E con questo? È un tizio.

— Sapete dov’è adesso?

Audrey pareva avere una difesa interna automatica, che entrava in azione al momento opportuno. Casey non poteva sapere quanto Gorden le avesse riferito sul loro breve ma cruento incontro, forse non più dello stretto necessario, comunque pareva che lei si rendesse conto di avere di fronte un avversario.

— Perché dovrei sapere dov’è? — tergiversò. — Non lo sto cercando.

— Sua moglie invece lo cerca.

— Sua moglie! — Casey l’aveva imbroccata giusta. — Non mi ha mai detto di essere sposato.

— Male — fece Casey — perché ora che ha visto la fotografia sta cercando anche voi.

— È assurdo! — Gli occhioni castani si sgranavano sempre più. — Quella fotografia non significa nulla.

Casey tacque per un momento, lasciando che il rancore penetrasse fino in fondo, per evitare che ammutolisse di punto in bianco. Se ne stava lì tranquillo, sorridendo del suo disagio, grato per una volta tanto che il servizio nel locale fosse lento. Quando la vide riprendere a tamburellare, chiese: — Dov’è Barney?

— Sentite un po’ — scattò Audrey — vi ho già detto che non è niente per me. Come posso sapere dove s’è cacciato? L’ho visto un paio di volte in tutta la mia vita.

— Un paio?

— Be’, tre o quattro. Non ricordo. Venne in ufficio un giorno a chiedere del principale, ma il signor Gorden era fuori, e allora provò a fissarmi un appuntamento. Quando tornò per la terza volta, accettai, ma soltanto per farla finita. Soddisfatto?

— Lui fu soddisfatto? — ribatté Casey, con un sorrisetto ironico.

— Non vi capisco.

— Lo rivedeste in seguito?

Dal suo volto Casey capì d’aver sfiorato il punto debole.

— Mi sembra che non vi riguardi — gli rispose.

— Perché non sapete quale sia il mio compito. A proposito, riuscì mai a vedere Gorden?

Ora lei taceva, ma Casey aveva ottenuto ciò che voleva. Non poteva ancora provare nulla, ma era sicuro in cuor suo dell’identità della persona sulla quale Groot aveva indagato e sul sistema usato da lui per penetrare nell’ufficio di Gorden.

Corteggiare la signorina Nardis era un’ottima scusa per ciondolare nelle vicinanze. Restava un mistero che cosa aveva visto o forse udito, ammesso che si fosse valso di un microfono, e Casey si rammaricava della sua colluttazione con Gorden. Se non fosse avvenuta, avrebbe potuto usare lo stesso sistema. Mentre rifletteva in cerca di un’altra mossa, arrivò una cameriera a prendere le ordinazioni, e l’interruzione fu utile per abbassare la pressione di Audrey.

Appena furono di nuovo soli, Casey rifletté ad alta voce: — Suppongo che vi capiti spesso d’imbattervi in tipi come Barney. Da quel poco che ho potuto vedere nel vostro ufficio, deve esserci un gran via vai di persone. Non manca certo il lavoro, a Gorden.

— Ma voi chi siete, si può sapere?

— Immagino che le sole attività della signora Brunner lo tengano in ballo continuamente. Ho sentito dire che lei non muove un dito senza chiedere il suo parete. Deve saperci proprio fare, Gorden. — Vedendo che la ragazza si raddolciva un poco, aggiunse: — Si occupa anche delle sue opere di beneficenza, vero? In capo a un anno chissà quanto denaro distribuisce quella donna.

— E perché non dovrebbe farlo? — esclamò la ragazza. — Non se li cava di tasca sua. Anche a me piacerebbe distribuire quattrini, se avessi per marito Darius Brunner.

C’era qualche nota falsa nelle sue parole. Casey riandò col pensiero allo sguardo di sfuggita che aveva dato alla signora Brunner, dal quale aveva riportato l’impressione di una donna abituata da generazioni alla ricchezza.

— Credevo che avesse un patrimonio personale — osservò.

— La signora? — Audrey cominciava a divertirsi tanto, che dimenticò perfino di essere in collera. — Non aveva il becco di un quattrino prima di sposare Brunner. Apparteneva a un’antica famiglia di Boston, o qualcosa di simile, ricca di tradizioni e d’ipoteche, e quanto le restò del patrimonio familiare fu inghiottito dalla crisi. — Si fece pensierosa, atteggiamento a lei insolito, e concluse: — Ero troppo piccola per potermene ricordare, ma la crisi dev’essere stata terribile. Perfino il signor Brunner perse quasi un milione di dollari.

— Brutto guaio — borbottò Casey. — La maggior parte se la cavò con perdite minori; mio padre, per esempio, ci rimise soltanto un impiego da trenta dollari la settimana, e la vita. Forse la generosità della signora dipende proprio dal fatto che anche lei ha avuto giorni duri.

Non c’era verso di accontentare Audrey, e Casey concluse che doveva avere un forte spirito di contraddizione. Infatti, non appena manifestò opinioni concordi a quelle di lei sulla signora Brunner, la ragazza cambiò tono.

— E perché noi — disse. — Del resto l’ha sopportato per vent’anni, mi sembra.

— Era proprio tanto difficile?

— Era un uomo!

A poco a poco i singoli pezzi cominciavano a incastrarsi l’uno nell’altro, Casey ne era convinto. A un certo momento, Darius Brunner s’insospettì di quell’avvocato troppo di fiducia, confidente e protetto di sua moglie, e assunse un investigatore di dubbia fama per raccogliere informazioni e tenere il becco chiuso. In seguito, con mezzi che per il momento restavano misteriosi, Gorden se n’era accorto. Casey doveva quindi trovare le prove scovate da Groot, ma le uniche basi su cui poteva agire erano alcune piste vaghe e una ragazza, in cui stava rapidamente riaffiorando una forte antipatia per lui.

— Non mi avete ancora detto chi siete o che cosa volete. — Audrey sferrò l’attacco. — Prima vi mettete a parlare di Barney, poi dei Brunner e del signor Gorden. Quando comincerete a parlare un po’ di voi?

— Vi ho detto fin dal principio ciò che voglio. Cerco Carter B. Groot.

Non fu un “lapsus linguae”. Groot era un investigatore e quindi pratico d’indagini, mentre Casey sapeva soltanto giocare a poker.

— Carter B. Grott — ripeté noto anche come Barney Carter. Non so che professione vi abbia detto di avere, ma è un investigatore privato, e Darius Brunner lo aveva assunto perché indagasse sulle attività del vostro principale, soprattutto riguardo alla sua maniera di amministrare gli affari della signora Brunner.

Quando ebbe ripreso fiato, Audrey ansimò: — Mentite!

— Chiedetelo a Gorden e, già che ci siete, chiedetegli anche che cosa ne è della copia del rapporto di Groot, rubata nel suo ufficio. Chiedetegli anche dov’è finito lo stesso Groot.

Pur non essendo dotato del fiuto professionale di Groot, Casey capì che era giunta l’ora di squagliarsi. Entro un minuto alla bionda sarebbe tornato in mente il poliziotto che avrebbe dovuto chiamare non appena si fosse imbattuta in Casey, e questi non era ancora pronto per uno sviluppo del genere. Si alzò in piedi e prima di allontanarsi lanciò il suo terzo dardo.

— Tra parentesi — disse — potreste informare il vostro bel principale che Groot non era il solo a occuparsi di questa faccenda. Non è l’unico a conoscere il contenuto del rapporto.

Uscì alla chetichella dal bar e si mescolò alla calca frettolosa del mezzogiorno. Voleva soprattutto allontanarsi il più possibile dalla signorina Nardis, la sbigottita, perplessa e furibonda signorina Nardis, che probabilmente stava già chiamando per telefono l’ufficio di Gorden. Ogni parola della conversazione intercorsa sarebbe giunta alle orecchie del suo principale, su questo Casey non nutriva dubbi. Già lo vedeva sudare, assillato dai dubbi. Poteva anche tradirsi, se si lasciava prendere dal nervosismo. Nel frattempo, quell’ultima geniale trovata avrebbe potuto agevolare la situazione di Carter Groot, a meno che l’investigatore non fosse ormai oltre qualsiaàl possibilità di venire agevolato. Giunto nella State Street, Morrow si sentì più al sicuro in mezzo alla folla resa più densa dalla gente previdente che anticipava le compere natalizie, e pensò che l’espressione ansiosa sul suo viso avrebbe potuto essere interpretata come il dubbio sull’oggetto da regalare a una vecchia zia. Il suo pensiero tornava senza sosta a Groot e, benché si trattasse forse soltanto del desiderio che così fosse, gli sembrava che la scomparsa di lui, se collegata all’assassinio di Brunner, potesse indurre le autorità a formulare interessanti congetture, più adatte a incriminare Lance Gorden che non gli sforzi di un segugio dilettante piuttosto allergico alla polizia. Di tanto in tanto si trastullava con l’idea di comunicare ai tutori dell’ordine le sue informazioni. Quel pensiero si era affacciato spesso alla sua mente, da quando Phyllis era apparsa in mezzo a una nebbia creata dal whisky, capovolgendo tutto il suo mondo, ma lo aveva sempre scartato. In fondo al suo animo si annidava un timore della polizia che non riusciva a soffocare né con la logica, né con la speranza, né con la disperazione. No, non poteva andare al commissariato, ma c’era un’altra strada.

Si recò al più vicino ufficio postale e comprò busta e francobollo. Il tenente Johnson della Squadra Omicidi non avrebbe prestato attenzione a una lettera anonima, avendone ricevute chissà quante in vita sua, ma poteva darsi che una certa pagina dell’agenda di Carter Groot risvegliasse il suo interesse.

12

Casey cominciava a sentirsi meglio quando si avviò per tornare da Maggie. Gli pareva che qualcosa stesse prendendo forma, anche se non sapeva chiaramente di che cosa si trattasse. L’euforia gli permise perfino di fermarsi a mangiare un boccone, e intanto si chiedeva come l’avesse presa la signorina Nardis, piantata in asso con il conto della colazione che lui non aveva mangiato. Si chiedeva al tempo stesso in che stato d’animo fosse Lance Gorden in quel tardo pomeriggio, grigio e umido.

Dando esca alla propria fantasia, gli sembrava quasi di vedere l’epilogo della fantastica vicenda. Sentiva la tensione allentarsi e già leggeva i titoli dei giornali: “Gorden confessa di avere ucciso Brunner”. Bei sogni dorati che però si dileguavano brutalmente giunti a questo punto. E poi? Il seguito doveva essere prestabilito: un tranquillo annullamento consensuale in cambio di un pingue assegno. Oppure non tanto tranquillo, nel caso che fosse sorta una discussione sul piano finanziario. Casey Morrow desiderava solo farla finita, ma mentre lo ripeteva a se stesso era conscio che si trattava di un’illusione.

L’isolato di vecchi edifici in cattivo stato pareva deserto, eccettuato per una solitaria guida interna parcheggiata sull’altro lato della via. Casey si era aspettato di vedere accostata al marciapiede la macchina noleggiata da Maggie, ma poi, pensando che l’avesse lasciata sul retro, non si diede là pena d’indagare.

In cima alle scale Maggie lo attendeva, il volto atteggiato a una impazienza esagerata.

— Finalmente! — esclamò, facendolo entrare. — Dove siete stato tutto il giorno?

— In tanti posti. Avete trovato l’automobile?

— È giù nel vicolo. Il serbatoio è pieno, e il noleggio pagato per una settimana. Da ora in poi, giovanotto, lavorate in proprio.

Le numerose domande che le si leggevano negli occhi smentivano le sue parole. Era curiosa come tutto il suo sesso anche se cercava di nasconderlo, e Casey riteneva giusto informarla degli sviluppi. Inoltre i piedi gli dolevano, per cui si lasciò cadere su una sedia e, mentre traeva di tasca un pacchetto di sigarette, borbottò: — S’invecchia a fare questo mestiere.

— L’avete visto?

— Chi?

— Quel tale che dovevate vedere.

— No, è una lunga storia. — Le raccontò di Carter Groot e delle sue ultime mosse. Mentre la metteva anche al corrente di alcune sue ipotesi, Maggie ascoltava col capo ripiegato da un lato e l’aria assorta.

— Non mi va — disse, alla fine.

— Non ne sono entusiasta neppure io — ammise Casey — ma faccio del mio meglio.

— Intendo la faccenda di Groot. Dove credete che sia?

— Se lo sapessi, forse potrei chiarire il mistero… Avete mai sentito nominare l’opera benefica “Verdi Pascoli”?

— “Verdi Pascoli”? — fece eco Maggie. — Che cos’è? Un ricovero per cantanti?

— A quanto dice la segretaria di Brunner, è l’opera pia prediletta dalla signora, in questo momento. Dovrebbe essere un istituto per la delinquenza minorile.

— Dovrebbe essere?

— Sto diventando un tipo sospettoso — fece Casey, sorridendo. — In questo momento stento a credere che esista davvero un luogo simile.

Il lato simpatico di Maggie era che non le occorrevano ampie spiegazioni per afferrare un concetto. Anzi, Casey sospettava che fosse più furba di lui, soprattutto quando gli chiese con tono innocente: — Non vorrete per caso insinuare che il vostro amico Gorden si sia intascato sommette che non gli appartengono?

— Se ho visto giusto, ne ha le tasche piene.

— E la signora Brunner?

— Secondo me non ne sa nulla. A quanto dice Phyllis, lei si limitava a firmare gli assegni che le dava il marito e a posare per le fotografie dei giornali attorniata da sporchi mocciosi. Si occupa di tutto Gorden.

Maggie aveva afferrato tanto bene la situazione che il suo viso assunse, d’un tratto, un’espressione grave.

— Vi è capitato di pensare che potrebbe essere pericoloso scherzare con Gorden? — chiese. — Se siete sulla buona pista, s’intende.

— Infatti — ammise Casey. — Ma è troppo tardi per fare marcia indietro: ogni mia mossa rappresenterà un pericolo per me finché l’assassino di Brunner non detterà le sue memorie al Procuratore Distrettuale. — Dopo avere fissato Maggie con un lieve sorriso aggiunge: — Non vorrete preoccuparvi per un tipo come me.

— Sto pensando soltanto all’automobile — fece lei, con tono secco. — Dopo tutto, l’ho noleggiata a mio nome.

Allungò una mano per accendere la luce, e quasi contemporaneamente i nuvoloni che si erano andati addensando durante tutta la giornata lasciarono irrompere uno scroscio di pioggia, che tamburellò sul lucernario. Il tempo ideale per stare tappati in casa a chiacchierare, ma Casey era irrequieto. La pioggia gli dava sempre un senso di solitudine, e quasi suo malgrado si chiese quale effetto avesse su Phyllis.

Avviandosi verso la porta, disse: — Vi terrò informata.

— Casey!

Stava già aprendo l’uscio quando la voce di Maggie lo fece sostare e volgere il capo.

— Abbiate cura… dell’automobile.

Fuori la pioggia formava una solida cortina argentea calata sull’imbrunire. Casey esitò un istante sui gradini di pietra, tirandosi su il bavero mentre si orientava. Maggie aveva detto che la macchina era nel vicolo, per cui guardò prima da un lato poi dall’altro e, dopo aver scorto il cofano di una guida interna grigia spuntare a fianco dell’edificio, scese e attraversò la piccola distesa di prato umido dall’erba ormai ingiallita. Camminava rapido, la testa china per difendersi dalla pioggia, e fu proprio per questo che non notò l’accendersi improvviso dei fari della guida interna parcheggiata sull’altro lato della via. La macchina si mise in marcia e svoltò velocemente portando il lungo cofano entro il vicolo, un passo oltre dove si trovava già Casey. Mentre balzava indietro con un’istintiva imprecazione, Morrow vide spalancarsi lo sportello posteriore e un uomo di statura fuori del comune avventarsi su di lui con un braccio alzato.

Fece un tentativo per schivare il colpo e ciò valse ad attutirne la forza, evitandogli di perdere i sensi. Ciononostante stramazzò a terra, un po’ a causa dello sfollagente e un po’ dell’erba umida e scivolosa. Mentre cadeva, cercò di afferrare l’uomo per le gambe, ma non essendoci riuscito rimase accovacciato in attesa del colpo successivo.

— Casey, avete dimenticato le chiavi!

La voce di Maggie chiamava da una distanza che a lui pareva immensa, e i passi che risuonavano affrettati sui gradini erano quelli di lei.

— Casey!

Ecco perché non vi fu un colpo successivo. Si rizzò in piedi a fatica, in tempo per vedere un’ombra risalire rapidamente sul sedile posteriore della guida interna, e mentre la macchina faceva marcia indietro scorse di sfuggita il viso del guidatore stagliato nella luce che proveniva dal cruscotto.

— Tutto bene? — stava gridando Maggie. — Casey, che cosa è successo?

— Sto benissimo. Datemi le chiavi. Sto benissimo.

Maggie cercava di essere servizievole, ma Casey non voleva aiuto o almeno non più. Ritta davanti a lui, io teneva stretto per i risvolti della giacca e non indossava neppure un cappotto per ripararsi dalla pioggia.

— Siete ferito! — insistette. — Avete la testa insanguinata…

— Me la laverò. Datemi le chiavi.

— Chi era?

— Gorden.

— Ne siete certo?

Casey esitò. Il gigante dallo sfollagente era davvero Lance Gorden? A meno che non fosse stato proprio con le spalle al muro, non era tipo da correre quel rischio personalmente. Eppure le sue erano idee sciocche, a pensarci bene. In fondo che rischio correva a spaccare la testa a un ficcanaso, ammesso che fosse stato lui a eliminare Darius Brunner? Certo però di una cosa, Casey disse: — Ho scorto l’uomo al volante. Un tale che ho già visto a casa di Gorden, il domestico credo. Ora, per l’amor del cielo, lasciatemi andare via. Potrebbero tornare.

Non era questa l’unica ragione, ma non voleva perdere tempo dando lunghe spiegazioni. Dopo il primo spavento, causato dall’apparizione di Maggie che aveva sciupato tutto, Gorden, o chiunque agisse per suo conto, avrebbe potuto decidere di restare a tiro per pedinarlo. Avevano indubbiamente notato la guida interna nel vicolo e dovevano quindi sapere che lui era diretto da qualche parte. Quando Maggie allentò la stretta, Casey si divincolò con uno strattone e, dopo averle strappato le chiavi di mano, indugiò soltanto il tempo necessario per raccattare il cappello dall’erba inzuppata. Il colpo ricevuto non gli dava malessere, a parte la sensazione che da un momento all’altro la calotta cranica dovesse volargli via.

— Tornate in casa — urlò mentre si precipitava verso l’automobile, ma quando si allontanò, Maggie era ancora immobile sotto la pioggia scrosciante. Era l’ora in cui nulla ha una forma definita. I toni grigi del crepuscolo piovoso ammantavano la città di monotone ombre gocciolanti, ma Casey osò accendere i fari soltanto al primo incrocio, quando svoltò verso nord. Poco dopo s’inoltrava in un viale animato e poteva mescolarsi alla fiumana del traffico. Se qualcuno lo stava seguendo avrebbe avuto il suo bel da fare, ora.

Ma forse non avevano bisogno di seguirlo, forse lo avevano sempre fatto e sapevano esattamente dove andare per trovare un tipo tanto ingenuo, da vantarsi di sapere che cosa contenesse il rapporto scomparso di Groot. Con quella notizia falsa aveva sperato di aizzare Gorden, non contando però su una reazione tanto drastica. E come aveva fatto Gorden a sapere dove trovarlo? Forse era appunto questa la domanda che Maggie stava cercando di rivolgergli, quando lui l’aveva lasciata sotto la pioggia. Una domanda a cui non gli garbava troppo rispondere. Infatti, aveva commesso un errore madornale quando aveva rivelato di conoscere il nascondiglio di Phyllis, nell’ufficio dell’avvocato. Siccome Gorden l’aveva trovata, l’altra volta, nella casa della Erie Street, logicamente aveva dedotto che Casey abitasse nei pressi.

Guidando con grande prudenza, svoltò alcune volte a vuoto finché non ebbe la certezza di non essere seguito. Non voleva correre rischi, benché ormai avesse capito che Gorden non si sarebbe dato la pena di fare la posta davanti all’abitazione di Maggie, se avesse conosciuta l’esistenza dell’appartamentino, e che non avrebbe atteso tanto per fargli visita. Andò a fermarsi oltre l’edificio e, non appena ebbe parcheggiato, corse al riparo sotto il telone del bar più vicino, da dove tenne d’occhio il traffico finché non fu sicuro che nessun’altra macchina si era fermata nelle vicinanze.

Mentre saliva le scale avvertì per prima cosa la musica; si sarebbe detto che Phyllis avesse riunito la banda del quartiere. Appena entrato vide che per fortuna era sola, ma si era in qualche modo procurata una radio, ora posata sul tavolo di cucina, e ballava al suono di una danza che a Casey parve ungherese. Ballava scalza; i capelli sciolti sulle spalle, e per un po’ non si accorse neppure della presenza di lui. Poi i suoi movimenti cominciarono a rallentare piano piano… come accade alle bambole meccaniche scariche.

— Mi sentivo sola — balbettò, scorgendo l’espressione severa negli occhi di lui. — Non l’ho pagata molto.

Pareva una bambina che si prepari a ricevere una ramanzina.

— Il pranzo è nel forno. Il droghiere mi ha dato una ricetta.

Casey andò in cucina con passo rapido e spense la radio, dicendo: — Ma brava! Ormai sarai intima con tutto il vicinato. Macellaio, fornaio…

— Il macellaio no — lo corresse lei. — È venerdì, e siccome mi ero dimenticata di chiederti se fai magro, nel dubbio, mi sono fatta fare una ricetta adatta al venerdì Casey!

Appena si era tolto il cappello, Phyllis aveva scorto il sangue e lo fissava, pallida. Poi lo trascinò nella stanza da bagno, dove gli lavò la ferita con premura. — Non abbiamo niente. Né cerotto, né garze, niente!

— Non ne ho bisogno. — Il tono di Casey era irritato. — Non sono ferito.

Fece cadere una ciocca di capelli sulla piccola scalfittura e le riferì i fatti nel modo più conciso possibile. Phyllis ascoltava ritta davanti a lui, a piedi scalzi, stringendo fra i denti il labbro inferiore, e il suo viso palesava il timore, che anche Casey provava in cuor suo.

— È stato qui nessuno, oggi? — le chiese. — Qualcuno è venuto a far domande?

— No… che io sappia.

— Quando sei uscita, ti hanno pedinata?

— Non lo so. Ma dove vuoi arrivare? Nessuno sa che siamo qui.

Casey si alzò dal bordo della vasca e andò nel salotto, dove accese le luci e si accostò alla finestra per guardare fuori. Il lampione rifletteva un confuso cerchio giallastro sul marciapiede bagnato, ma vide soltanto una ragazza col capo riparato da un giornale e un tipo con un cestino, troppo stanco per preoccuparsi della pioggia. Chiuse le imposte e si allontanò, dicendo: — L’idea di rimanere qui, non mi garba, è troppo rischioso. Maggie è stata vista e potrebbero tornare allo studio per estorcerle il nostro indirizzo.

— Non lo direbbe mai.

— Potrebbero costringerla. Comunque noi filiamo.

— Ma dove possiamo andare?

Già, dove? Non gli restava che un luogo, per quanto l’idea gli ripugnasse. Ritto nella semioscurità, fissava Phyllis sulla soglia illuminata e notò che non assomigliava più al sogno del bar Nuvola. A volte gli pareva impossibile che si trattasse della stessa persona. Questa era una bambina, una bambina incosciente che non capiva di dover stare appartata il più possibile e di non dover rivolgere la parola a chicchessia. Una bambina in cosciente che riusciva a ballare, mentre la morte la sovrastava come una spada di Damocle, e le prime piogge cadevano sulla tomba di suo padre. Doveva condurla al sicuro, in un luogo dove potesse sperdersi in mezzo a migliaia di altre persone insignificanti, in una città troppo grande per occuparsi dei fatti degli altri.

13

Da molti anni ormai la via si chiamava Pulaski Road, ma per Casey e per molti altri sarebbe sempre rimasta la Crawford Avenue. Non si trattava precisamente del genere di strada di cui la gente manda la fotografia a colori ai parenti lontani, ma una delle tante vie commerciali, con le rotaie del tram e i semafori. In fondo, precedendo verso nord, si dipartivano vie secondarie fiancheggiate da file di casette in mattoni rossi, con i loggiati di cemento armato e i vasi di terracotta per le petunie che in genere non fiorivano. Tutte le strade avevano nomi remoti che portavano alla mente parchi e foreste, finché non si fossero guardate con attenzione, oppure commemoravano uomini ormai dimenticati da tutti. Era un quadro ben noto a Casey che procedeva verso nord sotto la pioggia. Non si trattava di un quartiere miserabile, ma di una zona dove la gente avrebbe potuto essere più povera e lo sarebbe probabilmente diventata di quel passo.

In una di quelle vie, sull’angolo della fermata del filobus, si ergeva un brutto edificio in mattoni gialli, e al pianterreno si trovava la taverna di Big John Posda, la cui abitazione era un appartamento di cinque camere al piano superiore. Casey oltrepassò il locale, girò attorno all’isolato e andò a parcheggiare in una viuzza laterale. Ormai aveva già raccontato a Phyllis quanto c’era da sapere su Casimir Morokowski che aveva perso il padre a nove anni e la madre aveva avuto le mansioni di fantesca nel locale di Big John, a undici dollari la settimana, fino al giorno in cui aveva sposato il padrone, scomparendo così dalla lista paga.

Phyllis non aveva fatto commenti. Gli stava seduta a fianco, pallida, lo sguardo solenne, i capelli stretti da una fascia verde e il bavero del cappotto rialzato. Ai suoi piedi era posata una valigetta che conteneva tutti i loro beni, eccettuata la radio, che teneva sulle ginocchia.

— Di quella non ne avremo bisogno — le disse Casey mentre scendevano. — Ci sarà fracasso abbastanza, là dentro.

Non era cambiato nulla. Le finestre della taverna verniciate di verde quasi fino in cima, una nuova insegna al neon sulla porta, ma il resto era come sempre. Pannelli di legno scuro, bancone del bar liscio per l’usura e, di fronte, una fila di nicchie che arrivava fino alla doppia porta della cucina. La maggior parte delle nicchie era vuota, ma una o due donne dai capelli grigi infilavano monetine nel grammofono automatico che suonava una polka, e attorno al banco era riunito un certo numero di persone. Dopo aver sistemato Phyllis in una delle nicchie, Casey si avvicinò al bancone e, prima ancora di scorgerlo, udiva già Big John.

— Le cifre non vogliono dir nulla! — stava gridando con voce stentorea.

Dall’altro lato del bancone un avventore protestò: — Non sono mie le cifre! Ti sto dando le statistiche, le statistiche del governo.

— Le statistiche! — Big John abbatté una grossa mano sul banco facendo tintinnare i bicchieri. — E chi vuole le statistiche? — tuonò. — I miei affari vanno male, e io lo so. Si perde l’impiego e si sa, perdio! La gente non può mangiare quelle maledette statistiche.

Big John era fatto così. Mentre discuteva continuava a mescere birra, ad asciugare il bancone, oppure agitava il panno umido in cenno di saluto verso qualche vecchio amico che entrava. Non stava mai in ozio, e la sua voce tonante riecheggiava senza sosta. Casey si issò su uno degli sgabelli più vicini all’uscita e attese. Prima o poi avrebbe smesso di discutere, si sarebbe udita la sua fragorosa risata per qualche spiritosaggine detta in polacco, e poi sarebbe avanzato lungo il banco per chiedere l’ordinazione al nuovo avventore.

Infatti il panno strofinò una piccola macchia davanti a Casey, e poco dopo Big John alzò lo sguardo. Non era molto cambiato a parte che i capelli brizzolati lasciavano più scoperta la fronte, e qualche chilo si era aggiunto alla sua pesante sagoma. Portava come sempre una camicia a righe azzurre senza colletto; le capsule d’oro gli luccicavano in bocca, e i suoi piccoli occhi simili a due chicchi d’uva, inespressivi e fissi, suscitavano ancora in Casey la sensazione di essere un bambino sparuto e intimorito, in calzoni troppo stretti e blusotto.

— Ah, sei tornato! — fece John.

Era fatto così. Sempre pronto ad accogliere con calore il figliuol prodigo.

— Come sta la mamma? — chiese Casey.

— Come sta? — Le capsule d’oro brillarono per un attimo. — “Come credi che stia? Manchi da nove o dieci anni… mai una lettera, mai una cartolina…

— Otto anni — corresse Casey.

— E va bene, otto. Un bel po’ di tempo.

Casey sentiva su di sé lo sguardo di quegli occhietti penetranti e si sforzava di ripetersi che ormai era un uomo fatto, libero di andare e venire senza rendere conto a nessuno.

Non aveva mai avuto simpatia per John Posda, non lo aveva mai considerato un padre, giudicandolo semplicemente un grassone che sua madre aveva sposato perché la vita era dura. Tuttavia Big John non gli aveva mai fatto del male, non lo aveva mai percosso e neppure ripreso con troppa durezza. Quando si era sposato per la seconda volta aveva già figli grandi e sistemati, e l’idea di allevarne altri, certo non lo allettava.

Riprese a lucidare il bancone scrollando le robuste spalle e disse: — La mamma è disopra. È invecchiata come tutti, ma è ancora disopra. Val su da lei, sei suo figlio.

Dal tono pareva quasi che se ne vantasse, ma Casey non rimase ad ascoltare altro. Per arrivare alle scale gli toccò uscire dalla doppia porta e voltare poi a sinistra. Come in passato, un’unica lampadina illuminava le scale, e lui ricordava ancora la suonata che aveva preso il giorno in cui per disgrazia aveva rotto il paralume di vetro smerigliato con la mazza da baseball.

In fondo al corridoio al piano superiore, una porta immetteva nella cucina che era tuttora verniciata di verde, col pavimento ricoperto da un linoleum nocciola. La madre era seduta davanti al tavolo verniciato a smalto, su cui era steso un giornale aperto; Casey notò per prima cosa che aveva tutti i capelli grigi. Non ricordava bene di che colore fossero stati in passato, ma adesso erano grigi. Le mani posate sul giornale erano screpolate, ruvide per il troppo lavoro, e il viso che volse verso di lui nell’udire la porta che si apriva era troppo stanco per trovare riposo su questa terra. Ammiccò leggermente — non si era mai arresa alla necessità di usare gli occhiali — quindi fece un rapido segno della croce.

— Ciao, mamma — disse Casey. — John mi ha detto che eri qui e sono salito.

— Mio Dio — mormorò lei, con le labbra tremanti. — Credevo che fossi un fantasma.

— Sono io in carne e ossa.

Il silenzio di anni che si frapponeva tra loro era tragico: quante cose non avrebbero mai potuto essere dette né raccontate. “È mia madre” diceva Casey a se stesso “ma per me è un’estranea… oppure sono io un estraneo per lei. Non siamo più neppure capaci di parlarci.”

Alla fine lei disse: — Non mi hai mai scritto; ti credevo morto. Ho acceso tante candele in chiesa.

— In effetti, un paio di volte ho sfiorato la morte, in guerra.

— John me lo aveva detto. Quando te ne andasti senza fiatare con nessuno, mi disse: “Non aspettarti di rivedere Casey. È andato in guerra”. Invece io ti aspettavo sempre, ma tu non tornavi.

Si era alzata in piedi, ma il figlio non aveva fatto neppure un passo verso di lei, e allora restò accanto al tavolo, forse perché aveva bisogno di un sostegno. Casey era addolorato della propria freddezza, ma che cosa si può dire quando si è stati lontani tanto tempo? Strinse i pugni, dicendosi che non sarebbe dovuto tornare. Avrebbe dovuto rimanere lontano e lasciare che sua madre accendesse le candele; questo forse le avrebbe dato maggior conforto. Ma poi, d’un tratto, lei girò attorno al tavolo e si accostò, scrutandolo, divorandolo con lo sguardo, e solo quando gli fu molto vicina Casey vide che i suoi occhi erano umidi di lacrime.

Gli disse: — Sei più robusto.

— Infatti, devo aver preso qualche chilo.

— Hai un buon aspetto. Stai bene?

— Benone, mamma.

— Non sei stato ferito in guerra?

— Qualche graffio. Ho avuto fortuna.

— Io accendevo le candele — gli ricordò.

Lo scrutava ancora, ma poi il suo sguardo si fece più attento e, prima ancora che avesse aperto bocca, Casey intuì le domande che si stavano formando nella mente di lei.

— Sei nei guai?

— Niente guai, mamma.

— Ti ho visto nei guai altre volte. Ti si legge in faccia.

— Ti dico che non sono nei guai. Passavo di qui…

Non lo ascoltava più e fissava qualcosa alle spalle di lui. Casey si voltò. Per qualche minuto aveva addirittura dimenticato Phyllis, ma ora eccola ritta sulla soglia con uno sguardo sperduto negli occhi. Cercò di sorridere, quindi venne a infilare un braccio sotto quello di lui.

Schiarendosi la gola, Casey disse: — Mamma, questa è Paula. — Avevano deciso di adottare quel nome. — Mia moglie.

Era la prima volta che pronunciava quella parola e ne ebbe una strana sensazione. Si aspettava che rispondesse qualcosa, ma vedendo che sua madre fissava immobile Phyllis, fu preso dal terrore che l’avesse riconosciuta dalle fotografie sui giornali. Poi si ricordò che era miope e leggeva soltanto le notizie sulla colonia polacca.

— Come state, signora Morokowski? — riuscì a dire Phyllis. — Sono molto felice di fare finalmente la vostra conoscenza.

— Sono la signora Posda — fu l’asciutta risposta, mentre sfiorava appena la mano tesa verso di lei. — Casimir avrebbe dovuto dirvelo.

Questi intervenne rapidamente: — Siamo sposati da pochi giorni.

— Davvero?

Stavano tutti in piedi, illuminati dalla forte luce proveniente dal soffitto, ed era inutile nascondersi che mamma fissava l’anulare della mano sinistra di Phyllis, appoggiata tanto visibilmente sul braccio di Casey, quella mano che pareva nuda senza la vera matrimoniale. Una svista a cui nessuno dei due aveva badato fino a quel momento. Phyllis aveva già fatto miracoli, procurandosi uno sposo così sui due piedi, ma l’anello era proprio un particolare che mamma avrebbe serbato da conto insieme agli altri suoi sospetti.

Cercando di sviarla, Casey disse: — Stai proprio bene e anche John è in forma… Avrà molto da fare, suppongo.

— Ti occorre denaro?

Non esisteva ragione perché la domanda fosse imbarazzante. Era una vecchia abitudine di mamma di dire senza perifrasi tutto ciò che pensava; che cosa importava se Phyllis udiva e sorrideva tra sé? A Casey Morrow, in effetti, non fece né caldo né freddo. — Non ho bisogno di un bel niente — ribatté con tono secco. — Ti ho già detto che passavamo di qui, e se vuoi possiamo anche andarcene.

Era fatta. Nello sguardo di mamma il sospetto non si sarebbe più dileguato neppure per far posto al dispiacere. La sua dura risposta l’aveva tradito, perché Casimir lottava soltanto quando si trovava con le spalle al muro, e la mamma lo sapeva meglio di chiunque altro al mondo. Fu allora che Phyllis, calma e attenta osservatrice di tutta la scena, fece un passo avanti e passò un braccio attorno alla magra vita della vecchia, dicendo: — Non fategli caso. Abbiamo viaggiato tutto il giorno, è stanco, e quando è stanco diventa irascibile come una scimmia. Se la nostra presenza deve essere un disturbo per voi, ce ne andremo senz’altro.

La lezione era servita per far capire a Casey di tenere il becco chiuso, e mamma si raddolcì improvvisamente, gli occhi soffusi da un velo di pianto. Fissava il pavimento, torcendo tra le dita un lembo del grembiule, ma ogni sfumatura di acredine era scomparsa dalla sua voce quando rispose: — Non abbiamo lussi, ma la camera di Casimir è come la lasciò. Potete sistemarvi lì.

14

Il sabato era un gran giorno. Un gran giorno per John, che si preparava per la clientela del sabato sera, un gran giorno per mamma, che andava al mercato e preparava i pasti per la fine settimana, e risultò essere un gran giorno anche per Casey. Innanzi tutto, dormì fino a tardi, vinto dalla stanchezza dopo una notte passata a lottare contro il disagio della vecchia poltrona a dondolo presa dal porticato sul retro (senza fornire spiegazioni). Phyllis invece, avendo goduto di un relativo lusso nel letto di ottone, era allegra e di buon umore, quando lui entrò in cucina ancora assonnato, e indossava di nuovo sottana e camicetta, i capelli tenuti stretti da un nastro di colore vivace.

Curva su un secchio, le braccia immerse nella schiuma, non appena posò gli occhi su di lui esclamò: — Casimir Morokowski, torna immediatamente in camera e cambiati quella camicia sporca. Sto lavando alcune cose e tanto vale che ci aggiunga quella.

Casey sorrise divertito. Se avesse continuato a trattarlo su quel tono, mamma avrebbe dimenticato l’assenza dell’anello matrimoniale. In quell’attimo gli balenò la grande idea, e dovette sforzarsi per far colazione tanto aveva fretta di uscire.

La sua mèta distava circa cinque isolati dal locale di Big John, oltre il mercato generale, il negozio di oggetti usati, il mercato del pesce, e due porte oltre il negozio di barbiere di Nick. Una piccola gioielleria che era sempre esistita ed esisteva tuttora. Si fermò davanti alla vetrina, fissando un vassoio colmo di anelli d’oro e d’argento, e finì per entrare, confuso come uno sposo novellino. Quando uscì con la scatoletta in tasca si sentiva decisamente meglio.

— Casey! Casey Morokowski! Vecchio mascalzone…

Si fermò irrigidito. Era stato un duro colpo sentirsi apostrofare con il nome che usava da alcuni anni, ma poi ricordò che i compagni di scuola lo avevano sempre chiamato così. Appunto per quello aveva adottato il nome.

— Non è possibile! Credevo che fossi morto e seppellito.

Il volto era familiare, e Casey si trovò a fissare un uomo circa della sua età, alto più o meno un metro e ottanta che pareva scoppiare dentro il suo cappotto portato e riportato. Reggeva su un braccio un bimbetto dal viso sporco di dolciumi, mentre stendeva l’altro in gesto di saluto.

— Dove diavolo sei stato? — tuonò.

Casey finalmente lo riconobbe. — Ciao, Stan — disse. — Come va la vita?

— Benone, ma tu che cosa diavolo hai fatto tutto questo tempo?

Stan, di cui non ricordava assolutamente il cognome, un tempo abitava sull’altro lato del vicolo. Avevano frequentato la scuola insieme, giocato a baseball e si erano visti spesso anche a scuola finita. Ed ora eccolo con qualche ruga e un’ombra di doppio mento e gli stringeva la mano, accogliendolo come un fratello ritrovato dopo anni di separazione.

— Sono arrivato ieri sera dalla California — spiegò.

Avrebbe voluto andarsene, ma non c’era nulla da fare. Gli toccò rispondere alle domande, ascoltare notizie su gente pressoché dimenticata e di cui non gli importava nulla, dovette pronunciare alcune frasi lusinghiere sul bambino dal viso impiastricciato e permettergli di stringergli la mano con i suoi ditini appiccicosi.

— Ti ricorderai di Wanda — fece Stan, quando apparve una giovane grassoccia che spingeva un carrettino ricolmo di compere. Se ricordava Wanda? Eccome se la ricordava. A scuola era stata un tipino grazioso, ma non aveva mantenuto le promesse di bellezza, e ora non pareva più una tragedia non essere mai riuscito a trovare il coraggio di chiederle un appuntamento. Se ne infischiava che Stan lo avesse battuto.

— E tu? — stava dicendo questi. — Non vorrai dirmi che sei ancora libero come un fringuello?

— Io? — Casey sorrideva, pregustando già il divertimento. Il piccolo Casey Morokowski incapace di acchiappare il pallone al volo, incapace di farsi dare un appuntamento da una ragazza. — Anzi, sono proprio in viaggio di nozze.

Era stato uno sbaglio e se ne rese conto troppo tardi. La notizia, per tipi come Stan e Wanda, significava conoscere la sposa con i dovuti festeggiamenti, e nulla sarebbe valso a distoglierli dal proposito. Quando riuscì a liberarsi malediceva il sabato sera, malediceva la gente fisionomista e incapace di badare ai fatti propri.

Se qualcuno avesse riconosciuto Phyllis… Ricordò d’un tratto l’aspetto di lei con i capelli legati dal nastro di colore vivace e le braccia immerse nella schiuma, e si chiedeva se qualcuno, lui compreso, sarebbe stato capace di riconoscere in lei Phyllis Brunner, la ragazza scomparsa. Era diversa, e non si trattava soltanto di una pettinatura differente e di una camicetta a buon mercato. Era diversa nell’animo.

Quando fu riuscito a spiegarsi tutto ciò, stava ormai salendo le scale per recarsi nell’appartamento sovrastante la taverna; dal corridoio udiva Phyllis chiacchierare con sua madre come se la conoscesse da sempre. Non si sarebbe meravigliato più di nulla, neppure di udire un fiotto di parole polacche uscire dalla sua bocca.

Appena lo vide esclamò:

— Pensa! Sto imparando certe ricette di tua madre.

— Dovevi dirmelo! Mi sarei fermato dal droghiere per comperare del bicarbonato.

La risata di lei era contagiosa, e perfino mamma sorrideva. Ora, decise Casey, ora che mamma sta guardando. Trasse di tasca il piccolo astuccio e tese a Phyllis l’anello, improvvisando: — Ti avevo detto che lo avrei fatto stringere la prima volta che ci fossimo fermati abbastanza a lungo da qualche parte. — Aveva avuto ragione, e mamma sorrideva. Soggiunse, ridendo: — Pensa, ci siamo sposati tanto in fretta che ho comprato un anello così largo che Paula non riusciva a tenerlo al dito.

Purché fosse di misura giusta! Phyllis lo guardava in modo strano, ma poi sorrise e stese la mano dicendo: — Mettimelo tu.

Era di una misura perfetta, aveva indovinato giusto: una manina piccola, infantile. Vi dichiaro marito e moglie… Non pronunciò le parole, ma si sentiva tintinnare come dei campanellini nel cervello, e fu sul punto di lasciar cadere la mano di lei. Era pazzesca l’idea che gli veniva affiorando alla mente.

Nulla tuttavia era pazzesco quanto la festicciola che si svolse quella sera nella taverna. A dare il via furono Stan e Wanda, apparsi verso le otto con alcuni altri vecchi amici, e Big John, che non scoraggiava mai i festeggiamenti perché facevano scampanellare il registratore di cassa, offrì in dono la prima botticella di birra. Oltre la birra c’era vino rosso in quantità e altre bibite rinfrescanti. In aggiunta al grammofono automatico, un certo Joe, dal viso vagamente familiare, si dedicava a una fisarmonica, traendone note allegre.

— Un valzer prima di tutto — ordinò Stan — e i novelli sposi faranno un a solo.

Casey era terrorizzato. Terrorizzato dalla festa, dagli occhi curiosi fissi sulla ragazza che aveva sposato Casimir Morokowski. Per Phyllis tutto era fonte di divertimento; una festa per lei che amava tanto le feste. I capelli adorni di fiori bianchi, di prammatica per una sposa, le avevano detto, indossava un abito semplice dall’ampia sottana e rideva mentre i loro bicchieri si urtavano nel primo brindisi.

Alle prime note, vedendo che gli tendeva le braccia, Casey mormorò: — Sono un pessimo ballerino.

— Forse non hai mai ballato con la ragazza fatta per te — fu la risposta, accompagnata da uno sguardo ironico.

Non era possibile restare lì impacciati, mentre tutti li fissavano in attesa che cominciassero. Sulle prime si muovevano rigidi, ma poi i loro movimenti si fecero sempre più elastici, tanto che Casey finì per chiedersi, stupito, come mai il ballo fosse tanto diverso dal solito. Dopo il valzer una polka, dopo la polka un altro valzer, e Phyllis cominciò a improvvisare figure di danza che Casey seguiva senza fatica di sorta. Era facile dimenticare con l’aiuto della musica e del vino che la città era popolata di poliziotti in caccia di due presunti omicidi. Troppo facile.

Joe, abbandonata per un momento la fisarmonica, sfidò Phyllis a ballare l’unica rumba che offrisse il grammofono automatico, e fu allora che Casey cominciò a provare uno strano formicolìo alla nuca. Si volse a guardare verso il bar e, grazie all’antipatia di Big John per le luci soffuse, non gli fu difficile trovare la fonte del suo disagio. Un paio di scaltri occhi azzurri lo fissavano e parevano trafiggerlo, gli occhi di un uomo che indossava un impermeabile grigio sgualcito e un cappello di feltro azzurro.

Si senti gelare il sangue nelle vene. Non era facile dimenticare il tenente Johnson, anche avendolo visto una sola volta nell’atrio di un albergo, e non occorreva spremersi le meningi per capire che cosa stesse facendo al bar di Big John, tanto lontano dal quartiere dei Brunner. Casey provò l’impulso di fuggire, di abbandonare ogni prudenza e scappare come un bambino che abbia spaccato un vetro col pallone. Ma ormai la rumba aveva elettrizzato gli astanti, e gli riuscì soltanto di farsi faticosamente strada fra la calca di ballerini.

Vide mamma uscire dalla cucina reggendo una tazza di caffè fumante e avviarsi verso il bancone su cui depose la tazza proprio davanti all’agente, mentre il fragoroso benvenuto di Big John scioglieva un poco il ghiaccio che gelava le vene di Casey. Forse non era sulle sue piste, dopotutto; forse era un cliente abituale, e comunque fuggire era fuori questione, a questo punto. Era invece indispensabile appurare la situazione.

— Caffè! — bofonchiava Big John. — Perché bere caffè una sera come questa? Via, ordina quello che vuoi. Offre la casa.

Il viso di Johnson, prima nascosto dalla tazza, riapparve rischiarato da un sorriso. — Si direbbe che si tratti di una festa speciale — disse. — Che succede, John? Un anniversario?

— Macché anniversario! Il figlio di mia moglie è tornato ieri sera con la sua sposa. Ehi, Casimir! Che c’è? Ti ha già piantato per uno di quei bei giovanotti?

Una festa è pur sempre una festa, e in tali circostanze John non era mai alieno dal gustare le proprie merci. Di conseguenza era in uno dei suoi rari stati d’animo paterni. Casey si senti trascinare verso il bancone da Big John, che gli aveva circondato le spalle con il suo braccio robusto e lo spingeva verso l’ultima persona al mondo ch’egli avrebbe desiderato avvicinare.

— Lo credevamo morto. Non si è fatto vivo per nove o dieci anni e poi, tutto d’un tratto, eccolo con la moglie. Straordinario, no?

— Per qualcuno il matrimonio equivale alla morte — osservò il tenente — ma io, essendo felicemente sposato… rallegramenti, Casimir.

Gli occhi azzurri non svelavano nulla, forse perché non avevano nulla da svelare. Del resto Casey non era neppure certo che il poliziotto lo avesse notato quella mattina nell’atrio dell’albergo. Si era semplicemente lasciato prendere dal panico, la peggior cosa che potesse fare. Cercò di tirar fuori qualche frase spiritosa per colmare lo spaventoso vuoto nella conversazione, ma Casimir Morokowski non aveva mai avuto la battuta pronta, e ora anche mamma lo stava fissando… o anche questo era frutto dei suoi nervi tesi?

— Butterei giù anch’io un sorso di caffè — borbottò. — Non sono abituato alle feste…

— Sei sbronzo! — tuonò John. — Così deve essere una festa di nozze… ci si deve ubriacare prima che la moglie cominci a rompere le uova nel paniere. Giusto?

Anche se Johnson prima non ricordava il suo viso ormai non lo avrebbe più dimenticato. — Siete dunque Casimir — disse. — Il figlio di cui la signora Posda parla sempre.

— Parla sempre di me? — fece Casey con voce strozzata.

— Quello che credeva morto in guerra.

Era stupito. Non aveva mai creduto che a mamma importasse gran che della sua sorte e tanto meno che parlasse di lui con estranei. — La guerra l’ho fatta — disse.

— Esercito di occupazione?

Per farsi coraggio, si diceva che Johnson faceva il suo mestiere, rivolgendo domande. Non significava nulla, stava cercando di riempire le lacune del passato. Non ebbe tuttavia tempo di rispondere, perché la rumba ebbe fine in mezzo ai frenetici applausi, e gli astanti chiedevano a gran voce un’altra polka. Guardandosi alle spalle vide Phyllis che lo cercava. Male. Anche con i capelli acconciati in quel modo, anche con la strana metamorfosi che aveva cancellato in lei il suo modo di fare superficiale, non gli garbava il rischio che si trovasse a faccia a faccia con una persona che indubbiamente aveva studiato abbastanza le sue fotografie per imprimersi nel cervello ogni suo lineamento.

Facendosi strada verso la calca, borbottò: — Se non torno là in mezzo, probabilmente dimenticheranno quale di noi è lo sposo.

Non era cortese voltare in quel momento le spalle al tenente, ma provò un gran sollievo quando si fu tuffato nella ressa e la musica ebbe riattaccato. Non seppe mai quando fu che Johnson se ne andò, ma la volta successiva in cui ebbe il coraggio di guardare verso il bar, lui era scomparso. Sparito silenziosamente come era arrivato. Ormai tra il vino, il grammofono e Phyllis tra le braccia, Casey se ne infischiava.

Quando i passi attutiti di Big John risuonarono ancora una volta diretti alla stanza da bagno, Casey smise i suoi tentativi di dormire. Non riusciva a togliersi di mente la festa, a eliminare il suono della musica e l’orgasmo della serata; d’altronde, la poltrona a dondolo gli indolenziva la schiena. Alzatosi in piedi, si stiracchiò e si accostò alla finestra. Era una notte limpida, e proprio di fronte a lui uno spolverìo di stelle illuminava un tratto di cielo. Doveva far freddo. Intorno alla finestra c’era uno stretto terrazzino a cui si arrivava per mezzo di una scala esterna. Sentendo il desiderio di fumare, apri silenziosamente le persiane e uscì.

Non aveva più sonno e dal terrazzino poteva contare le vetrine buie delle botteghe che fiancheggiavano la via principale. Più oltre, ricominciavano le casette a due piani, ma lui non vide altro, immerso com’era a rispolverare vecchi ricordi. Sull’altro lato della strada, la drogheria di Kovack, un seminterrato sovrastato da un grande edificio in mattoni gialli, costruito quando lui aveva circa dieci anni. Aveva anzi rischiato di farsi arrestare per aver asportato assi di legno dal cantiere edilizio. Tutto ciò era accaduto prima che mamma sposasse Big John, e allora valeva la pena correre qualche rischio per procurarsi un poco di combustibile. Là, due porte più oltre, la piccola impresa di pompe funebri, con le sue tende color mostarda…

Appoggiato alla ringhiera di legno del loggiato, lanciava boccate di fumo nell’oscurità, osservando i fantasmi di fronte all’impresa di pompe funebri. Li ricordava bene. Quel ragazzino dal volto smunto era lui, Casimir Morokowski, che cercava di capire che cosa significasse andare al funerale del proprio padre: un fantasma Piccolino, quello, e ce n’erano tanti altri. Li aveva seguiti tutti con gli occhi proprio da quello stesso loggiato, senza capire nulla, eccettuato che la morte era una cosa con cui non si poteva discutere, così come non si discuteva con la polizia, con le suore della scuola o con la frusta della mamma. Sotto certi aspetti, la morte era simile alla vita.

Un funerale con quattro bare, una grande e tre piccole. Poliziotti, folla, fotografi e il piccolo meccanico dell’ autorimessa di Sadow che piangeva come un bambino sperduto e sgomento. Perché aveva confessato di avere avvelenato moglie e figli, quando invece (era occórso un certo tempo per provarlo) era stata la ghiacciaia guasta nel loro modesto appartamento a inquinare il cibo? Perché? I fantasmi erano molto vecchi, ma Casey tremava. Poteva ripetersi che ormai le cose erano mutate, che nessuno sarebbe riuscito a strappare una parola a Casey Morrow con la forza, ma in cuor suo non credeva a se stesso più di quanto non pretendeva che credesse il mondo.

— Casey…

Si volse di scatto, ma era soltanto Phyllis che veniva verso di lui uscendo dalla porta-finestra. Non aveva nulla del fantasma, Phyllis, neppure al buio.

— Non riesco a dormire — disse. — Ho bisogno di una sigaretta.

Era già un progresso riuscire ad accenderle la sigaretta senza che la mano gli tremasse. — Prenderai freddo — osservò Morrow.

— Ho il cappotto.

— Prenderai freddo comunque, a uscire così dal letto caldo.

Del resto non aveva importanza. Capì d’un tratto che qualsiasi cosa avessero detto o fatto nei successivi momenti non avrebbe avuto la minima importanza, perché ormai tutto era deciso e sarebbe andata com’era stabilito che andasse. Una delle tante cose su cui non si poteva discutere.

Il lampione sull’angolo della strada fece emergere dall’ombra il viso di Phyllis. — Che cosa guardi? — gli chiese.

— Fantasmi.

— Molti?

Anche questo non aveva importanza. Soltanto parole che dovevano essere scambiate. Chissà perché. Il mondo è fatto così.

— Troppi — rispose. — Quando ero bambino venivo spesso qui fuori di notte, soprattutto in estate, quando in casa faceva troppo caldo per dormire. Non è un bel luogo, questo, per trascorrervi la fanciullezza.

“È il mio mondo” le stava dicendo. “Guardalo bene e stai attenta.” Ma ormai era già troppo tardi. Vino, grammofono e sogno pazzesco si erano fusi e ogni parola era stata pronunciata. La sigaretta di Phyllis le scivolò tra le dita e cadde a spirale nell’oscurità simile a una stella filante. Quella di Casey fece altrettanto, e i fantasmi, i miseri grigi fantasmi, impallidirono e poi scomparvero.

15

Venne il mattino, di un grigio invernale come tutti gli altri, ma ogni cosa era mutata. Occorreva uno sforzo non indifferente per capire quanto tutto fosse mutato. Casey distolse lo sguardo dal soffitto, su cui la luce proveniente dalla finestra faceva del suo meglio per condurre l’alba a rompere l’oscurità, e volse il capo. Phyllis dormiva come una bambina, i pugni affondati nel cuscino, e Casey capì d’un tratto di avere sempre saputo che sarebbe finita così. Fin dall’inizio del sogno, fin da quando lo aveva guardato per la prima volta con quegli occhi color fumo e gli aveva rivolto il primo sorriso sognante, Casey Morrow era stato una vittima predestinata. E Phyllis? Concluse che anche lei doveva esserne stata conscia. Ma allora cose simili erano davvero possibili? Accadevano veramente?

Si sentiva bene. Non si era anzi mai sentito così bene, e questo era tanto più sorprendente, ricordando la festicciola della sera prima. Avrebbe voluto cantare, ma per timore di svegliare Phyllis prese invece a fischiettare sommessamente mentre scendeva dal letto e, dopo avere radunato gli abiti, si avviò verso la stanza da bagno in punta di piedi. Era ancora presto, e il silenzio domenicale aleggiava nell’appartamento. Mamma era certamente a messa, noncurante dell’ora in cui si era coricata, e Big John (doveva essere alzato, perché non si udiva russare) doveva essere giù nel bar a leggere i giornali umoristici della domenica, innaffiandoli con qualche sorso per sistemare le troppe libagioni della sera precedente. Aveva quasi finito di radersi quando ricordò, e il suo fischiettare si spense.

Non tutto era mutato. Non poteva ancora entrare con passo noncurante nel commissariato più vicino, raccontare i fatti e aspettarsi che tutti gli stringessero la mano e facessero auguri di una vita felice a Casey Morrow e alla sua sposa. Non poteva ancora camminare per la strada senza avere sempre a fianco la paura: e che vita era questa? Qualcosa doveva succedere. Questo continuo nascondersi doveva cessare, le fughe e le menzogne dovevano cessare. Si sciacquò il sapone dal viso e stava terminando di vestirsi, con lentezza, pensieroso, quando rincantucciato in fondo alla mente ritrovò un compito non ancora portato a termine. Maggie gli aveva noleggiato una macchina, e il suo scopo era stato di andare a trovare la signora Brunner. Da un pezzo le doveva quella visita, a pensarci bene. La signora Brunner non era la polizia, non era una nemica. Doveva essere in preda all’ansia per la figlia, e poteva darsi che gli riuscisse di contrattare, con quell’arma in mano. Da solo stava concludendo ben poco.

Phyllis stava ancora dormendo quando tornò in camera da letto a prendere il cappotto. Bene. Gli pareva già di sentire la discussione che avrebbe intavolato se le avesse comunicato il suo piano, mentre a giudicare da come dormiva ce l’avrebbe fatta ad andare e tornare, senza che lei sapesse se aveva fatto un viaggio di cinquanta chilometri o se era soltanto andato al bar dell’angolo. Mentre scendeva le scale alla chetichella, sorrideva. Per essere uno sposo novello, stava imparando in fretta!

Non erano necessari né indirizzo né carta topografica per trovare la proprietà di campagna di Darius Brunner: occorreva comprare qualche litro di benzina a una stazione di rifornimento nei dintorni di Arlington e fare due normali chiacchiere. Col passare del tempo, il cielo coperto si era andato rischiarando e il sole cominciava a lanciare qualche timido raggio.

— Oggi, forse, ce la caviamo senza pioggia — osservò Casey.

L’uomo in calzoni da militare e giacca di cuoio, che stava strofinando il parabrezza, sorrise. — Pare di sì — annui.

— Sarà un sollievo, dopo la settimana scorsa.

— Già, ho sentito che in città ha diluviato. Qui non vediamo una goccia d’acqua da ottobre.

Mentre la pompa riversava la benzina nel serbatoio, Casey ebbe tempo da dedicarsi a un altro piccolo problema. Forse era stato il modo accurato con cui l’inserviente aveva pulito il parabrezza à fargli tornare in mente il negro dell’autorimessa di Gorden. Comunque, qualcosa non collimava. Il negro ricordava di avere lavato la macchina di Gorden, dopo quella notte piovosa, eppure questi risultava essere stato con la signora Brunner, e nella zona della signora Brunner non aveva piovuto. Un problema che faceva riflettere, e Casey era felicissimo del totale che saltava fuori.

— Era di queste parti, o sbaglio, quel milionario che è stato assassinato? — chiese, quando l’inserviente apparve di nuovo accanto al finestrino.

— Darius Brunner?

— Proprio lui. Ne hanno parlato tutti i giornali. Lo conoscevate?

L’uomo dalla giacca di cuoio sorrideva di nuovo. Quello non era certamente il primo curioso che gli fosse capitato fra i piedi, nella passata settimana. — L’avevo visto qualche volta — rispose — ma non veniva spesso. Alla moglie piace la campagna, e s’intende molto di cavalli da sella. A voi piacciono i cavalli? A Casey i cavalli non piacevano affatto, e questo suo sentimento era abbastanza giustificato, se si pensa alla batosta che si era buscato per colpa loro, all’ippodromo di Santa Anita; ma per ottenere informazioni era pronto a dichiarare che li adorava.

— Ogni tanto, circa un paio di volte l’anno, la signora permette che si faccia nel suo parco una mostra equina per beneficenza, e io ci vado sempre. Ha dei saltatori in gamba.

— Ci credo! Cercherò di venirci la prossima volta. È qui vicino?

— A ovest del paese. Se andate da quella parte tenete gli occhi aperti: è una casa grande con i granai intonacati di bianco, cintata tutt’attorno da una palizzata bianca.

Granai intonacati e palizzata bianca tutt’attorno… facilissimo. Il resto fu invece meno facile. Ora che si trovava proprio sul posto e stava infilando il cofano della guida interna nel lungo viale tortuoso, Casey aveva paura. Che cosa si dice a una donna il cui marito è stato assassinato e la cui figlia è scomparsa da una settimana? Che cosa si dice a una persona del gran mondo quando si è uno straccione che vive sopra la taverna di Big John e fra parentesi si è il genero di lei? Era questo il fatto che l’aveva trascinato lì e fu per questo che continuò per la sua strada, pur decidendo di non svelarle la verità.

Era ormai arrivato al punto dove il viale si allargava in un ampio parcheggio che si estendeva fino ai granai, ora adibiti probabilmente a scuderie, fiancheggiati da una casetta bianca che doveva essere l’abitazione del custode. Tutto ciò in aggiunta alla grande casa bianca, le cui finestre occhieggiavano tra gli aceri privi di foglie, dignitosa ed elegante quanto gli era parsa la signora Brunner quell’attimo in cui aveva potuto vederla nell’appartamento del marito. Più che spaventato Casey si sentiva intimidito, ma d’un tratto dal recinto apparve un uomo di mezza età in calzoni di cotone e camicia a scacchi rossi che lo mise subito a suo agio.

— Che cosa volete? — chiese il nuovo venuto, aggrottando le folte sopracciglia.

— È la villa Brunner, questa? — domandò Casey, spegnendo il motore.

— E se anche lo fosse?

— Voglio vedere la signora.

Un cane da guardia non avrebbe avuto l’aria più ostile dell’uomo in camicia a scacchi, ma a Casey, la cui paura stava svanendo, non garbava di essere guardato in cagnesco.

— Ah, volete vedere la signora? Tanti altri ficcanaso vorrebbero vederla. Filate e badate ai fatti vostri.

— È proprio quello che sto facendo.

— E cioè?

— È quanto intendo dire a lei.

La conversazione avrebbe potuto continuare all’infinito su quel tono, per cui Casey radunò quanto coraggio aveva e scese dall’automobile, sicuro di riuscire a sistemare quel tipo minaccioso ritto in mezzo al viale. — Non cerco ricordi e non voglio autografi — dichiarò. — Però intendo vedere la signora… a meno che non le interessi affatto avere notizie di sua figlia.

— Un momento!

Casey ristette. No, non era frutto della sua fantasia. L’uomo era impallidito.

— Aspettate, dirò alla signora che siete qui.

Casey accese una sigaretta preparandosi all’incontro. Il custode si allontanò con passo svelto e spari in uno dei granai. Casey fece in tempo a fumare mezza sigaretta, prima di doverla schiacciare col tacco per l’avvicinarsi frettoloso ma misurato della signora Brunner. Misurato, proprio la parola giusta. Non poteva fare a meno di provare ammirazione per quella donna. Anche Phyllis aveva le stesse qualità, ma in lei l’effetto era diverso, in quanto non si sapeva mai se capisse o meno la situazione, mentre la madre capiva, accettava e cercava di prendere le cose per il meglio senza batter ciglio. Stava uscendo dal recinto, figura piena di dignità anche in calzoni da cavallerizza e vecchia giacca di tweed. Camminando, si toglieva un paio di vecchi logori guanti, e i suoi occhi grigi e penetranti non si staccavano dal viso di Casey.

— Desiderate parlarmi? — domandò.

— Infatti.

— Non ho capito il vostro nome.

— Morrow. Casey Morrow.

— Dite di avere notizie di mia figlia?

Nella sua voce era palese un tremito, per quanto lieve. Si sarebbe detto che ritenesse indecoroso manifestare emozione di fronte agli estranei, se pure a volte non riusciva a celarla.

— Sta bene — spiegò Casey con prontezza. — Non le è successo nulla.

Era naturale che non gli gettasse le braccia attorno al collo e che non parlasse per qualche secondo. Guardava le lontane colline, limitandosi a mormorare: — Dio sia ringraziato. — In breve tuttavia si sarebbe ricordata della sua presenza, cominciando a far domande, per cui Casey decise che tanto valeva farla finita. Il custode era rimasto nel granaio e, nel caso che fosse stata necessaria una rapida ritirata, l’automobile era a portata di mano.

— So che cosa state pensando — le disse. — Vi chiedete chi sono e come mai so tante cose. Vi chiedete perché vostra figlia non è qui di persona, se sta bene.

— Forse lo so — rispose in tono calmo.

Parlando, si era voltata verso di lui, e Casey non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di lei. Dai suoi occhi trasparivano sentimenti troppo varii e troppo profondi per essere capiti, ma Casey ne afferrò in parte il significato, tanto chiaramente da provarne un senso di sgomento.

— Voi siete l’uomo che mia figlia incontrò in quel bar, immagino.

Così, senza preavviso, le parole fecero l’effetto di una martellata; tuttavia annui.

— Da allora siete sempre stato con lei?

— Sì.

— Allora ditemi… senza nascondermi nulla, per piacere. — La signora Brunner esitò, ma soltanto per un attimo; quindi riprese: — È stata lei a uccidere suo padre?

Che cosa si può dire a una donna il cui marito è stato assassinato e la cui figlia è scomparsa da una settimana? Che cosa si può dire, Casey Morrow? Cercò di riprendersi dallo spavento che gli avevano procurato le brusche parole e gli pareva di stare uscendo dall’effetto di un anestetico. Ecco dunque quanto la signora Brunner aveva sempre sospettato. Non lui, non il “misterioso uomo in grigio”, ma la propria figlia. Perché? Senza riflettere pronunciò la domanda ad alta voce, ma la risposta non venne. La donna pareva d’un tratto assente e pur senza muoversi si era allontanata.

— Chi siete, signor Morrow?

— Più o meno nessuno.

— Però conoscete l’indirizzo di mia figlia.

— Appunto.

— Capisco. — Il viso di lei era molto pallido, ma non rifletteva paura. — E quanto volete per darmi l’informazione?

Strano a dirsi, l’idea di una simile proposta non gli era mai balenata, eppure la supposizione della signora Brunner non era affatto priva di logica. Ad ogni modo, era senz’altro una domanda più facile di quella precedente, alla quale non voleva neanche pensare.

— Non tengo prigioniera vostra figlia per ottenere il riscatto, se è questo che pensate — disse. — La signorina è libera di tornare a casa quando vuole. È questo anzi il guaio: non vuole tornare. Non sa neppure che io sono qui. — Se le sue parole furono fonte di stupore, la signora Brunner non ne diede segno. — Non volevo che rimaneste in ansia — aggiunse.

— In ansia? — L’ombra di un sorriso increspò le labbra di lei.

Casey notò che la sua bocca era larga, dall’espressione volitiva, ma nel suo sorriso aleggiava qualcosa di tragico.

— Lo so — riprese in fretta — è passata quasi una settimana. Io volevo mettermi in contatto con voi anche prima, ma non mi è stato possibile. Phyllis…

Esitò. Non era necessario raccontare proprio tutto, sebbene la donna gli facesse compassione.

— Dite pure, signor Morrow.

— La signorina aveva paura.

— Della polizia?

Ecco di nuovo il poco larvato sospetto.

— No, non della polizia. Ha paura dell’assassino di suo padre.

Allora, accadde una cosa… una cosa che mise Casey in allarme. La signora Brunner non fiatò, ma il suo viso subì un mutamento, una luce interna parve illuminarlo, ma quella luce si spense subito.

— Si direbbe che sappiate ben altro che il recapito di mia figlia — disse alla fine. — Forse potremmo continuare la conversazione in casa.

“Cerca di guadagnare tempo” pensò Casey. “Cerca di farsi un giudizio su di me, come sto facendo io con lei. Non le sarà però possibile tendermi un tranello e andare al telefono.” Del resto, non pareva essere quella la sua intenzione. Lo guidò lungo il sentiero inghiaiato, fiancheggiato da arbusti e cespugli, fino a due porte-finestre, e lo fece entrare in una grande stanza accogliente dai pannelli in legno di pino, rallegrata da stoffe a fiorami e da un gaio fuoco che divampava nel camino. Casey concluse che dovesse essere la biblioteca o lo studio, e l’atmosfera era proprio indicata per togliersi le scarpe e mettersi a proprio agio su uno dei comodi divani, con un libro. Lui non era molto amante della lettura, ma era un tipo di stanza che infondeva quel desiderio, che disperdeva ogni spavento o nervosismo. Un luogo dove era difficile concentrare il proprio pensiero su un delitto.

— Un caffè? — chiese la signora Brunner calmissima, come se avesse avuto a che fare con un normale visitatore. — O forse non avete fatto colazione?

— Non faccio mai la prima colazione — disse Casey. — Però se voi prendete un caffè…

L’andamento della casa era quello. Poco dopo avere ordinato una cosa la si vedeva apparire su un vassoio d’argento, e Casey si chiedeva che effetto gli avrebbe fatto passare l’infanzia in un ambiente come quello. L’aroma del caffè superava perfino quello di mamma, forse perché non era accompagnato da un diffuso sentore di birra, e il sapore era degno del profumo. Mentre beveva, non lasciò riposare il proprio cervello, e soltanto quando la tazza fu pressoché vuota cominciò a sentir pesare su di sé lo sguardo della signora Brunner.

— Suppongo che siate ansiosa di avere notizie di Phyllis — disse. Non si accorse neppure della familiarità con cui pronunciava quel nome.

— Ho atteso una settimana, ma la vita tra le altre cose mi ha insegnato a essere paziente.

Casey depose la tazza sul tavolino dal ripiano di cuoio, che separava la sua poltrona da quella della sua interlocutrice, e si protese in avanti.

— Scusate se insisto — continuò Casey — ma non eravate ansiosa sul suo conto? — L’enfasi che aveva dato alle parole suonava un po’ severa, e allora fu pronto ad aggiungere: — Intendo su quanto poteva esserle capitato. La domanda che mi avete rivolto in giardino mi ha sconcertato.

— Le volete bene? — chiese lei, fissandolo attentamente.

— È una brava ragazza.

— Molto bella anche.

Casey non era tipo da arrossire facilmente, ma sentì una vampata di calore salirgli al viso.

Intanto la signora Brunner continuava: — Ero in ansia per lei, s’intende, ma suppongo che sia naturale sfogare per primo il timore più grave. Che cosa dovevo pensare quando mi avete detto che sta bene? Questo, se non erro, ci riporta a una vostra frase di poco fa.

— Infatti. Phyllis ha paura di tornare a casa. — Casey aspettò un momento, ma la signora Brunner continuava a tacere. Ormai toccava a lui raccontare, e le riferì i fatti fin dall’inizio, dall’incontro al bar Nuvola, a lei noto, fino all’arrivo alla taverna di Big John (omettendo i nomi). Tralasciò d’informarla del matrimonio, un argomento che era meglio rimandare a quando il pasticcio fosse stato chiarito.

— Dunque avete intrapreso una vostra indagine personale — fu il commento di lei.

— Per forza. Si tratta anche della mia pelle.

— Avete scoperto nulla?

— Alcune cose. Ditemi, udiste mai vostro marito parlare di un certo Groot, Carter Groot?

Phyllis e la madre avevano una cosa in comune: quel modo fisso, quasi sconcertante di guardarlo negli occhi mentre parlava. Ammesso che il nome, o l’avervi accennato, significasse qualcosa per lei, non lo diede a vedere e finì per rispondere: — No, sono sicura che non lo nominò mai in mia presenza. È un indizio?

Sorrise lievemente, nel pronunciare l’ultima frase, dimostrando di non prendere troppo sul serio quella sua attività.

— Senz’altro — ribatté Casey. — Carter Groot è un investigatore privato che lavorava per conto di vostro marito. Portò a termine il suo compito e venne liquidato il lunedì. La stessa sera vostro marito fu ucciso.

— Non capisco — fece la signora Brunner. — Un investigatore privato? E che cosa investigava?

Casey esitò. Avrebbe potuto svelarle i suoi sospetti su Gorden, facendoli passare per affermazioni basate su solide prove, ma non avrebbe guadagnato nulla. Essendo a caccia di ciò che Groot aveva scoperto, aveva bisogno di aiuto e doveva quindi chiederle di fidarsi della sua parola, di fidarsi di lui più di quanto lui stesso non avrebbe fatto con chicchessia. Concluse che l’unica strada consisteva nell’essere sincero da quel momento, e così disse: — Non so esattamente su che cosa stesse investigando, ma ho i miei sospetti. Sospetti piuttosto seri. Carter Groot è scomparso da lunedi sera.

Occorre un certo tempo per digerire una dichiarazione di quel genere, e infatti soltanto dopo qualche momento la signora Brunner disse, con voce un poco afona: — E quali sono i vostri sospetti?

— Da quanto tempo conoscete Lance Gorden?

Non era una questione da essere presa alla leggera, soprattutto per Casey che lottava per la propria felicità e fors’anche per la propria vita, ma la tensione, che era andata aumentando in silenzio, s’infranse al suono della risata di lei, suono che pareva quello di un fragile ramo che si spezzi per il troppo peso.

— Ancora Lance! — esclamò. — Vogliate scusarmi, signor Morrow, non volevo essere scortese…

— Ancora Lance? — fece eco Casey.

— È un’idea di Phyllis?

— All’inizio l’idea infatti fu sua.

— Lo sapevo. Tutte le volte che litigano, Lance per lei diventa un nemico mortale, che mira soltanto al suo patrimonio. Suppongo del resto che per le ragazze ricche sia un timore abbastanza naturale. Io non ebbi mai preoccupazioni di questo genere.

Casey non avrebbe saputo dire se l’ultima osservazione era stata pronunciata con una sfumatura di sollievo o di rimpianto.

In quel momento sapeva soltanto che non sarebbe riuscita a eliminare Lance Gorden quale sospetto omicida, con una semplice risata. No davvero, dopo lo scontro avvenuto sul marciapiede di fronte alla casa di Maggie. Era incerto se raccontarle l’accaduto, ma qualcosa lo ammoni che sarebbe riuscita a smantellare la sua versione con qualche alibi. E a proposito di alibi disse: — Ho letto sui giornali che Gorden dichiara di essere stato qua tutta la notte del lunedì. — Ora non rideva più. Il tono di Casey aveva avuto un’inflessione ammonitrice. — Non voglio insegnarvi nulla — proseguì — ma se fossi in voi non sarei tanto pronta a spalleggiare una menzogna come questa, neppure trattandosi di un eventuale futuro genero.

— Siete certo che fosse una menzogna?

— Sicurissimo. — Casey si sentiva meglio, come sempre quando prendeva l’offensiva. — Non voglio asserire con questo che Gorden sia o non sia un assassino. Però potrebbe esserlo, non vi pare?

Non si era reso conto che la donna stava seduta in posa tanto rigida finché non la vide rilassarsi un poco, e più che un vero rilassamento pareva una battuta in ritirata.

— Può darsi — ammise — ma è molto difficile crederlo…

— Deve anche essere stato difficile credere che avevano ucciso vostro marito — obiettò Casey. — Eppure era la verità.

Un orologio a pendolo ticchettava rumorosamente durante i loro silenzi.

— Signor Morrow.

— Dite pure.

— Che cosa volete da me?

— Tempo, tempo di portare a termine la mia indagine prima che avvertiate la polizia della mia visita. Ecco una delle cose che voglio.

— E poi?

Era un punto su cui Casey rimuginava da parecchi giorni: il movente. Dal suo modo di vedere tutto si basava sul fatto che Gorden amministrava i fondi per le attività della signora Brunner e l’attività del momento concerneva l’opera pia “Verdi Pascoli”. Glielo disse chiaro e tondo e ottenne una risposta altrettanto chiara e tonda, come aveva previsto. Si, Gorden amministrava i fondi, Gorden organizzava tutto, Gorden provvedeva agli acquisti.

— Che acquisti?

— I terreni, per esempio — spiegò la signora Brunner. — L’autunno scorso trovò un luogo ideale, e non appena me ne ebbe parlato, firmai un assegno.

— Voi o vostro marito?

— Avevamo un conto corrente in. comune — disse. — Potete rispondere alla vostra domanda come più vi aggrada.

Non era questo che Casey aveva inteso dire. Cercava solo di trovare il movente che aveva messo in moto i sospetti di Brunner circa Gorden. — Intestaste l’assegno a lui? — insistette.

— No, era intestato al venditore della proprietà. Centomila dollari, signor Morrow. Avevate intenzione di chiedermelo, immagino.

— Infatti.

— Vi sembra che ci sia sotto qualcosa di losco? — Casey si accorse che si stava burlando ancora di lui, se pure non apertamente.

— Non lo so — rispose. — Dipende da ciò che otteneste in cambio dei centomila dollari.

— Una vecchia proprietà: casa, magazzini, orto e un appezzamento di terreno. Proprio l’ideale per il nostro scopo, e Lance mi dice che c’è perfino un laghetto.

— Vi dice! — Casey la inchiodò su quella frase con un balenìo negli occhi. — Intendete dire che non avete mai visto la proprietà?

— Dista almeno cento chilometri…

— Vediamo un po’… viene dunque circa mille dollari per chilometro, non è vero?

La signora Brunner sedeva immobile nella poltrona, le mani giunte sul grembo, mentre i suoi occhi grigi scrutavano il volto di lui. Pareva riesaminare mentalmente le sue parole, ripetendole tra sé, ma poi fini per dire: — Siete venuto qui senza alcuna presentazione né raccomandazione. Mi raccontate un’inverosimile storia di avventure e di intrighi, e pretendete che io creda a ogni vostra parola. Al tempo stesso pretendete che abbandoni ogni fiducia in un uomo che conosco da due anni, un uomo su cui ho fatto affidamento al punto da accettarlo quale marito di mia figlia. — Esitò, le labbra serrate, e pareva quasi sul punto di perdere il controllo. — Sarei un essere spregevole — concluse con calma — se non respingessi le assurde accuse pronunciate da voi contro Lance.

— E un essere davvero superiore se vi rifiutaste di riflettere seriamente su quanto vi ho detto.

Non lo negò. Ormai da troppo tempo il dubbio affiorava nel suo sguardo, e neppure Alicia Brunner riusciva a nascondere certe cose.

— Non vi chiedo di denunciare Gorden sulla mia parola — proseguì Casey. — Anzi, vi chiedo di non fiatarne con iui… per ora. Voglio una possibilità di equa lotta.

— Mi pare di capire che la lotta aperta non è di vostro gusto.

— Quando divento un bersaglio vivente no — ribatté Casey, sorridendo. — Per venire al sodo, dov’è questa proprietà che avete comprato senza vederla?

Non rispose e apriva e chiudeva nervosamente le mani.

— Lo saprete, suppongo.

— Certamente, almeno in modo approssimativo. È a occidente, credo… oppure a nord? Potrei chiederlo a Lance…

S’interruppe. Era chiaro che non poteva chiederlo a Lance, l’unica cosa che proprio non poteva fare. Aggiunse debolmente: — Purtroppo non ho buona memoria, per i particolari.

Che cosa aveva detto Phyllis quella prima sera, da Maggie? Brunner le aveva lasciato tutto il suo denaro perché aveva poca fiducia nelle capacità amministrative della moglie. Casey cominciava a capire il suo punto di vista.

— Eppure, firmaste un assegno intestato all’ex proprietario del terreno — disse. — Chi era?

Il piccolo solco sulla fronte di lei si approfondì. — Aveva un nome strano. Straniero, direi.

— Suppongo che abbiate l’assegno annullato.

— Li teneva tutti mio marito, posso guardare in camera sua. — Fece per alzarsi, ma Casey era stato pronto a precederla. “Dove vai tu vado io” le diceva con lo sguardo. “A questo punto, non intendo correre rischi.”

— Forse, però, sarà tra le sue carte, in città — concluse.

— Vogliamo andare?

— Ora?

— Sono a vostra disposizione.

— Oggi non posso. — Scuoteva il capo. — Viene a pranzo Lance. Domani, forse.

— Domani va benissimo — ribatté Casey. — Potremmo trovarci… — Tacque, dicendo a se stesso: “piano, Casey”. — Vi telefonerò a casa in mattinata.

— Mi occorrerà un po’ di tempo per arrivare in città.

— Alle undici.

Casey si avviò verso la porta e, pur non avendo scoperto molto, gli sembrava di essere sulla pista buona. Sentiva nell’aria di essere sul punto di fare importanti scoperte. Aveva già afferrato la maniglia, quando disse: — Spero di chiarire tutto in breve, in un modo o nell’altro. Allora potrete rivedere vostra figlia: sono certo che ve ne ricorderete, se vi venisse la tentazione di piangere sulla spalla di Gorden.

Phyllis non gli rivolse domande o per lo meno non troppe. Casey non sapeva a che ora si fosse svegliata e accorta della sua assenza perché non glielo disse; anzi, per tutta la giornata quasi non apri bocca. La sera uscirono per andare a pranzo e poi al cinematografo e, mentre rincasavano, gli chiese dov’era stato.

— A zonzo — rispose. — Volevo riflettere.

— Anch’io ho riflettuto.

Il suo tono era grave e, approfittando di un semaforo rosso, Casey scrutò il suo viso, serio e pensieroso alla luce del lampione.

— Non torniamo a casa — lo supplicò.

— Che vuoi dire?

— Non torniamo da Big John, non torniamo in nessun posto. Continuiamo in macchina.

— E dove andiamo?

— In qualsiasi posto… mi è indifferente. Lasciamo la città e non pensiamo più a quanto è accaduto.

— Parli come una pazza — esclamò Casey. — Non possiamo andar via, lo sai benissimo. Devo occuparmi di questa faccenda fino in fondo, ormai ci sono dentro. Quando avrò trovato Carter Groot…

Non le aveva mai detto gran che di Groot, a parte un accenno quell’ultima sera nell’appartamentino.

— Quando l’avrai trovato!

Il semaforo dava via libera e gli automobilisti alle loro spalle premevano tutti sul clacson, ma Casey udì la sua frase, sebbene fosse stata pronunciata sottovoce.

— Non capisci! — proseguì Phyllis. — Carter Groot è morto, e quando sarai al corrente di ciò che sapeva…

Certe frasi non è necessario finirle.

16

Le undici. Casey chiamò dalla cabina telefonica del bar all’angolo, nel caso che Phyllis fosse curiosa, come palesemente era. La signora Brunner doveva essere seduta accanto al telefono perché rispose subito, e la sua voce all’altro capo del filo suonava un poco tesa e stanca.

— Ho riflettuto e vorrei parlarvi — disse.

— Noi due soli?

— Noi due soli.

Esistevano vari luoghi dove star soli, e date le circostanze Casey sapeva quale fosse il suo preferito: un piccolo ristorante, ritrovo di artisti, nella South Wabash Street. Da tempo non lo frequentava, ma non era cambiato nulla. Se ne stava seduto in una nicchia in fondo alla sala, quando la signora Brunner entrò, guardandosi attorno per andare a raggiungerlo non appena lo ebbe scorto. Era ormai mezzogiorno, e nel locale affollato, rumoroso e soffuso di deliziosi aromi, sedeva anche Maggie Doone a un tavolo in centro, da cui poteva osservare ciò che accadeva, gustando un piatto di “gulash”.

Era stata piena di comprensione, Maggie. — Sono davvero beata di non avere altro da fare che occuparmi di voi — aveva brontolato per telefono. — Suppongo che mi toccherà anche pagare la mia colazione. — Giustissimo, perché agli effetti della signora Brunner Casey non la conosceva affatto. Si sentiva tuttavia più a suo agio, sapendo che era a tiro una persona pronta a fargli cenno nel caso che il concetto di una solitudine a due implicasse per la signora Brunner la presenza di Lance o di un paio di uomini della Squadra Omicidi.

Era vestita di nero. Il tipo di donna a cui il nero si addice, che indossa qualsiasi cosa con eleganza e ne è conscia, pur mostrando di non dare troppa importanza alla cosa. Eppure non bastavano la dignità, l’educazione e la misura, frutto di sette generazioni aristocratiche, per celare la lotta che si svolgeva in fondo ai suoi occhi, quegli occhi profondamente cerchiati, che tradivano l’insonnia. Volle soltanto un caffè e poi disse: — Ho riflettuto su quanto mi avete raccontato e mi sembra che siate un giovanotto ostinato.

— E’ un complimento?

L’ombra di un sorriso allentò la tensione. — Non ha importanza — replicò. — Ciò che conta, invece, è che non ho intenzione di sottovalutarvi. Mi sembrate capace di scovare qualsiasi informazione, quindi tanto vale essere sinceri. Parlo di Lance, s’intende. Voi continuerete a stargli alle costole, immagino.

— Senz’altro. — Il tono di Casey non ammetteva replica.

— E allora cercherò di agevolarvi il compito. Avete ragione su un punto: centomila dollari erano troppi per quella proprietà. Ne bastavano trentacinquemila.

Non pareva affatto seccata, e si sarebbe detto che Gorden fosse colpevole semplicemente di avere trascurato un semaforo rosso o di avere infilato la macchina in una via a senso unico. Casey capi che per lei non era stata una sorpresa, che l’aveva sempre saputo.

— Ieri non sono stata del tutto sincera con voi — prosegui, — Andai a vedere la proprietà e, per quanto poco mi intenda di affari, ebbi dei sospetti. Assunsi qualche informazione e venni a sapere che era stata venduta per trentacinquemila dollari, sei mesi prima che Lance concludesse l’affare.

— Sicché, lo sapete da un pezzo!

— Da molti mesi.

— E continuate a ritenere che Gorden sarebbe un genero ideale?

Lo stupore di Casey era paragonabile alla serenità di lei. Il vago dolce sorriso che le increspava le labbra suscitava in lui il desiderio di picchiare il pugno sul tavolo. Quella donna era pronta a subire qualsiasi cosa: avrebbe sempre offerto l’altra guancia, si sarebbe sempre lasciata truffare da Gorden o da qualsiasi altro imbroglione.

Intanto stava dicendo con calma: — Suppongo che per voi sia difficile capire. A dire il vero, Lance e io discutemmo in proposito non appena ebbi scoperto la verità. È un uomo giovane, signor Morrow, molto innamorato di mia figlia. È una situazione difficile per un giovanotto orgoglioso e praticamente senza un soldo sposare una ragazza ricca. Non vi pare?

— Non ne so nulla — borbottò Casey imbarazzato. — Forse tutto si appiana, truffando la famiglia di lei per farsi un bel gruzzoletto.

— Col vostro modo di esprimervi, la cosa assume un sapore davvero antipatico.

— E col vostro?

— Tragico, più che altro. Sono sicura che Lance è onesto in fondo all’animo. Sono stata io imprudente a mettergli quella tentazione a portata di mano, quando era già stato turbato per via di Phyllis. È colpa mia quanto sua.

— La legge non sarebbe di questo parere.

— La legge non c’entra. Voleva restituire il denaro, ma gli dissi di tenerlo più o meno come prestito… e come lezione. Ecco perché non voglio divulgare il fatto.

— Mi pare di capire che il signor Brunner non ne fosse al corrente.

Non rispose. Il pensiero di Casey era abbastanza evidente, e chiunque nei suoi panni avrebbe formulato lo stesso giudizio. La signora Brunner si morse a sangue il labbro inferiore, rendendosi conto di avere detto troppo, ma ormai era tardi. Giocherellava con la cerniera della borsetta e fece l’atto di alzarsi, ma Casey tese una mano verso di lei.

— L’assegno annullato — disse. — Ricordate?

— Che cosa intendete fare?

— Dipende da ciò che farete voi. Non intendo chiamare a gran voce la polizia purché voi facciate altrettanto, se è questo a cui pensate. Voglio soltanto vedere un tale per parlargli di quei centomila dollari.

Pazzesco, addirittura folle. Un “bluff” su tutta la linea. Una parola pronunciata da lei, un gesto verso la cabina telefonica, e sarebbe fuggito precipitosamente attraverso la cucina fino al vicolo sul retro. Non era possibile che qualcosa del suo pensiero non trapelasse; lei esitò, scrutandolo di nuovo con i suoi occhi grigi.

— Che c’è? — le domandò.

— Voglio vedere mia figlia. Voglio che la conduciate a casa.

Ora toccava a lui riflettere, ma c’era poco tempo per uno che aveva tante cose di cui occuparsi, e per di più, da un momento all’altro, Phyllis avrebbe potuto fare una mossa sbagliata, forse essere riconosciuta per strada, attirandosi addosso la polizia. Pensando a lei aveva l’impulso di rifiutare, fissando il pensiero su quell’assegno aveva l’impulso di chiedere…

— Quando?

— Stasera. Se vi è più comodo resterò nell’appartamento di mio marito.

Casey invece pensava alla lunga e larga strada maestra che portava a occidente, dove non esistevano semafori, autobus o polizia a intralciarlo se avesse dovuto procedere in fretta. — Non mi garba l’idea del traffico — disse. — Forse non accetterà comunque, ma può darsi che riesca a convincerla a venire in campagna.

Mentre la signora Brunner gli tendeva l’assegno, il suo sguardo gli diceva chiaramente che gli sarebbe convenuto di mantenere l’impegno.

L’assegno era firmato da Victor Vanno. Il nome non significava nulla per lui, ma il timbro sul rovescio indicava che il denaro era stato incassato a una banca nella La Salle Street e questo era un aiuto. Vanno era dunque in città o per lo meno c’era stato al momento in cui l’assegno era stato riscosso. Se i suoi indizi non erano sballati, Victor Vanno doveva trovarsi ancora a tiro. Era logico che esistesse un secondo personaggio, Gorden non avrebbe potuto agire da solo, qualcuno doveva servire da complice nel giochetto che si svolgeva tra la signora Brunner e Vanno per finire a Gorden e qualcuno doveva sapere di Carter Groot. Vanno aveva forse incassato l’assegno uscendo poi dalla banca con il denaro in tasca? Troppo rischioso. Era più facile che fosse rimasto in mano sua soltanto il tempo sufficiente per firmarlo.

Uscito dal ristorante, Casey attese poco lontano finché non apparve Maggie. — Indovinate un po’ — le disse. — Ho un incarico per voi. Potete fingere di essere un severo direttore di banca? Provate a telefonare a questa banca per chiedere se Victor Vanno è un cliente abituale. Informatevi se ha un conto corrente, ma soprattutto cercate di ottenere il suo indirizzo. Fate voi, siete in gamba.

— Un dollaro e sessantacinque — fece Maggie con tono deciso.

— Come?

— … compresa la mancia. Sarei potuta restare a casa mia a mangiare minestra in scatola. Su, datemeli.

— Vada per un dollaro e sessantacinque.

Uno strano indirizzo, quello che Maggie riportò dal suo incarico pomeridiano; strano soprattutto per un uomo che faceva affari da centomila dollari. Casey sentiva l’orgasmo salire. Le cose cominciavano ad assumere forma, prendevano proprio la piega da lui auspicata. Lasciò libera Maggie, che brontolava come sempre, e si avviò a piedi lungo la Madison Street.

Circa due isolati oltre il fiume, si fermò. Collimava perfettamente. Il numero sbiadito sulla porta a vetri corrispondeva a quello scarabocchiato da Maggie sull’assegno, e non si trattava certamente di un albergo di lusso. Su un lato un bar-ristorante, sull’all’altro una sala da gioco, e in mezzo l’alberghetto modesto, con l’ingresso grande come una scatola di fiammiferi e le scale strette, che salivano in direzione di una luce giallastra. Casey andò dritto verso il piccolo banco del portiere, da cui un vecchio con una sporca maglia marrone lo stava fissando.

Alle sue domande questi non si fece più cordiale e ripeté: — Vanno?

— Victor Vanno — confermò Casey.

— Chi lo vuole?

— Io, ve l’ho già detto.

— Non c’è.

Dopo una rapida occhiata tutt’attorno, Casey intravide una porta aperta che conduceva al bar, e decise che quel tipo d’indagine dava davvero una bella sete.

— Aspetterò — disse.

— Non so quando tornerà.

— Aspetterò ugualmente.

Il whisky non era di buona qualità, ma se non altro dissetava. Dopo circa venti minuti di attesa a un capo del bancone, notò con stupore di avere le mani umide di sudore e concluse che fosse dovuto all’orgasmo, in previsione non sapeva neppure lui di che cosa. Ordinò un altro whisky e lo sorseggiò lentamente, ansioso che le cose cominciassero a mettersi in moto. Chi era questo Victor Vanno? Che aspetto avrebbe avuto? Che cosa avrebbe detto? Il barista pareva poco loquace, ma Casey aveva deciso che valeva comunque la pena di tentare, quando la porta che dava sulla strada si aprì, e una donna grassoccia dagli arruffati capelli rossi si accostò al bancone. Non era sbronza, ma neanche del tutto lucida, se parlava tra sé.

— Fuori dai piedi, mi ha detto, non mi seccare. Vi pare il modo di parlare, dico io?

Non ottenne risposta, ma era previsto, in quanto non si rivolgeva a nessuno in particolare, e il barista si limitò a riempire un bicchiere di birra facendolo poi scivolare verso di lei con un gesto che denotava l’abitudine.

— Arie da granduca! Vi dico io… — Tacque il tempo sufficiente per ingollare la birra con un’unica sorsata, che lasciò Casey stupefatto, quindi si asciugò la bocca con il dorso della mano. — Non permetto a nessuno di maltrattarmi — riprese. — No davvero. Adesso vado a dire a quel figlio di…

Il barista fece: — Ehi!

Stava già avviandosi verso l’ingresso dell’albergo e ristette per volgere il capo, urlando: — Pagherà Vanno. Pagherà ben altro, prima che io abbia finito con lui. Non permetto a nessuno di maltrattarmi.

Vanno. A Casey non occorreva altro. Si lasciò scivolare giù dallo sgabello e seguì la donna nell’ingresso, ma lei non si diede la pena di accostarsi al banco del portiere. Sapeva dove andare, e Casey le stava alle calcagna. Le scale conducevano a un corridoio stretto e buio, e la donna, dopo aver sorpassato tre porte, si fermò e prese a girare violentemente la maniglia della quarta. L’uscio non si apri.

— Vanno! — chiamò allora.

Quindi, con voce fattasi improvvisamente melata: — Vanno, tesoro, aprimi.

Casey le diede trenta secondi prima di accostarsi a sua volta per dire: — Andiamo Vanno, aprite.

Dall’altro lato dell’uscio si udirono dei passi avvicinarsi alla porta e soffermarsi indecisi. Quando l’uscio si socchiuse, Casey ebbe l’impulso di farsi da parte, perché contro la luce si stagliava un uomo gigantesco. Vedendo le sue spalle, provò un formicolio alla nuca. Il volto gonfio per il sonno e per le troppe libagioni gli era ignoto, ma avrebbe riconosciuto quelle spalle ovunque. Casey Morrow non era tipo da dimenticare un aggressore, che lo aveva accarezzato con uno sfollagente.

— Ti ho già detto di levarti dai piedi — brontolò Vanno, lanciando un’occhiataccia oltre Casey e cioè in direzione della donna, che adesso esitava in un angolo a bocca aperta. — Chi ti sei tirato dietro? Che trucchi stai tentando? — Non fece neppure caso al bofonchiare di lei e indietreggiò di qualche passo, in modo che la luce proveniente dalla stanza illuminasse in parte il corridoio. Casey sentì di essere stato riconosciuto e intanto cercava di ricostruire come erano andate le cose. Gorden e il suo domestico si erano riferiti a vicenda una chiara descrizione dei loro misteriosi visitatori, e l’amico Vanno aveva avuto l’incarico di fare la spedizione alla Erie Street. Ora Vanno stava ricordando e la faccenda potevano complicarsi.

— Salve — fece, entrando nella stanza. — Vi secca se entro?

Non è che si sentisse molto coraggioso, anzi, cominciava ad apprezzare la bibita rincorante bevuta al bar. La donna entrò alle sue calcagna, e non appena Vanno ebbe richiuso la porta, la stanza apparve di colpo molto affollata.

— Il vostro alloggio mi delude — osservò Casey. — Ma forse al giorno d’oggi anche centomila dollari fanno poca strada.

— Che cosa volete? — chiese l’altro. — Chi vi manda?

— Nessuno, è stata un’idea mia.

— Dovreste stare più attento alle idee che vi vengono.

Vanno non doveva possedere un’intelligenza spiccata, ma gli avevano detto che l’uomo dall’impermeabile e dal cappello marrone significava guai, e tanto gli bastava. Attraverso la giacca sbottonata, Casey intravedeva la fondina sotto l’ascella.

“Con tutti quei muscoli che bisogno ha di essere armato?” disse tra sé. “Sta’ a vedere che non sono io l’uomo più spaventato del mondo.”

— Non so come mai voi laviate i panni sporchi di Gorden — osservò — ma si direbbe che non vi paghi poi tanto.

— Chi sarebbe Gorden?

— Un tizio un po’ nervoso, anzi nervosissimo. Personalmente non mi garberebbe di trattare affari con uno dai nervi tanto poco solidi. Secondo me ha un complesso di colpa, e non mi stupirebbe se parlasse nel sonno, soprattutto quando la temperatura scotta. La donna dai capelli rossi chiese: — Caro, chi è questo tipo?

— Sono la Fortuna — spiegò Casey. — Ho trovato il nome di Vanno in un concorso d’indovinelli. Se risponderà bene a tutte le domande vincerà il premio.

— Che risposte volete? — brontolò Vanno.

— La più difficile: che cosa è successo a Carter Groot?

Era davvero la più difficile. Fino a quel momento, l’altro era stato incerto, ma ora aveva capito, e portò la mano alla fondina. Non ebbe il tempo. Nel Pacifico, s’impara a stare con gli occhi aperti, s’impara subito, o mai più. Aveva appena abbozzato il gesto, quando si trovò steso a terra, un’espressione sciocca sul volto rubizzo. La mano con cui aveva tentato di sfilare l’arma era vuota.

— Così va bene — approvò Casey. — Mi piace la gente che sa prendersela con serenità.

— Ti sei fatto male, tesoro? — chiese la donna.

— Zitta, tu — ringhiò Vanno.

— È un poliziotto, te lo dico io. È un poliziotto, per forza!

— Ti ho detto di chiudere il becco.

— Sei in trappola un’altra volta!

Ecco, dunque. Gorden conosceva i suoi polli, essendo un avvocato, sapeva tutti i precedenti di Vanno.

— Inflazione — ribatté Casey ad alta voce. — Un giorno ottenete un’opzione su una proprietà in cattivo stato, in procinto di essere venduta per pagare le tasse, e, sei mesi più tardi, la signora Brunner l’acquista per centomila dollari. Un affare davvero eccellente. Quando lo scoprì il vecchio Brunner?

Vanno urlò: — Non potete provare nulla contro di me.

— Sagge parole.

Vanno, adesso, si era rialzato, ma la situazione aveva subìto un capovolgimento, ed era Casey a impugnare la rivoltella. — Dov’è Groot? — domandò.

— Andate all’inferno.

— Credete che lo troverò là?

— Può darsi.

— Voi dovreste saperlo.

Un campanello stava tintinnando nella testa di Casey, un campanello che diceva: “fila, fila a gambe. Phyllis aveva ragione. Groot è morto, e quello è uno stato che può diventare contagioso”. Comunque, Vanno non gli occorreva più, e qualunque cosa avesse sperato di appurare era diventata fin troppo chiara, non appena aveva riconosciuto quelle spalle. I vari pezzi s’incastravano l’uno nell’altro. Anche la signora Brunner ormai doveva lasciarsi convincere, e lei era l’unica persona che potesse mandare a carte quarantotto l’alibi di Gorden.

Per quanto grande fosse il suo desiderio di scappare, lui non era tipo da voltare le spalle a chicchessia. Sull’altro lato della stanza c’era un armadio-ripostiglio, con la chiave nella serratura, e, quando aveva una rivoltella in pugno, Casey si sentiva sempre in forma.

— Mi addolorerebbe che voi due vi lasciaste — disse, indicando lo sportello dello sgabuzzino con l’arma — e, a volte, questi piccoli litigi si risolvono restando a tu per tu.

Quando girò la chiave con un sospiro di sollievo i due, chiusi nell’armadio-ripostiglio, protestavano con grande energia di linguaggio, ma Casey trovava per la prima volta la stanza abbastanza grande per respirarci agevolmente.

Fuori, per fortuna, regnava una quasi totale oscurità, e, dopo essersi ripreso l’auto al parcheggio, si avviò in direzione nord-ovest alla massima velocità concessa dal traffico, perché voleva a tutti i costi mantenere l’impegno preso con la signora Brunner. Ora voleva mantenerlo a tutti i costi. Mentre procedeva verso la taverna di Big John fu preso dal panico. E se Vanno fosse riuscito a liberarsi? E se Gorden, avendo sentore di quanto stava accadendo, lo avesse allontanato dalla città? Via, era proprio sciocco: i fatti erano fatti, e, anche ammesso che ne avesse avuto il tempo, Gorden non avrebbe potuto cancellare ogni pista. Del resto, se la signora Brunner aveva taciuto, il tempo gli sarebbe mancato in modo assoluto.

Quando arrivò a destinazione, la taverna era illuminata a giorno, e proprio davanti all’ingresso, sotto il lampione, era parcheggiata una lucente macchina nera della polizia. Casey aveva già rallentato e procedeva a passo d’uomo quando l’avvistò. Fu pronto a innestare la seconda per fare il giro dell’isolato, ma quando ripassò, la macchina c’era ancora. Non gli garbava. La taverna non era uno di quei locali tenuti d’occhio dalla polizia. S’infilò nel vicolo e andò a fermarsi accanto all’autorimessa in mattoni gialli, pensando che se gli fosse riuscito di entrare alla chetichella dal retro e salire da Phyllis… Prima doveva però liberarsi di una cosa. Trasse di tasca la rivoltella di Vanno e dopo essersi guardato attorno la lanciò sul tetto piatto della rimessa. Un giorno o l’altro era possibile che un proiettile di quell’arma venisse rinvenuto in un cadavere ripescato dal fiume o dal lago, e lui non voleva correre rischi di essere coinvolto.

Attese finché il suo respiro divenne più regolare, poi aprì la porta sul retro e attraversò senza far rumore la cucina, avviandosi verso le scale.

Un uomo dall’impermeabile grigio sgualcito uscì da dietro il tavolo. — Salve — esclamò il tenente Johnson. — Avevo il presentimento che sareste capitato da queste parti.

17

Pareva tanto innocuo, con la fetta di prosciutto affumicato in una mano e un panino nell’altra, che Casey capì subito come i nodi stessero venendo al pettine. Non era forse un poliziotto? C’era da stare in guardia, trovandosi un poliziotto in cucina, tanto più se ci si chiamava Casimir Morokowski.

Unendo pane e prosciutto, Johnson osservò: — Comincia il freddo e dà appetito. Del resto, non ho ancora pranzato.

— State facendo gli straordinari? — domandò Casey.

Domanda sciocca. Johnson si limitò a guardarlo, e fu sufficiente.

— John mi dice che siete tornato dalla California venerdì.

— Venerdì? Non ricordo.

— Strano. — Il tenente s’interruppe per mordere il panino. — Avete una guida interna grigia, se non sbaglio? — aggiunse.

— Esistono anche in California.

— Però non hanno la targa dell’Illinois.

Adesso Casey capiva. Sabato sera Johnson non era venuto per caso in visita. Si era ricordato, eccome, dell’individuo scorto all’albergo prospiciente il lago. Come avesse trovato le sue piste era un mistero, ma non dubitava che gli sarebbe presto stato chiarito. Alla polizia, probabilmente, poiché la mossa successiva sarebbe stata quella. Attese, mentre Johnson andava a prendere la tazza di caffè lasciata sul tavolo, ma poi qualcosa nello sguardo di lui lo indusse a voltarsi. Mamma era ritta sulla soglia, con il vecchio scialle azzurro sulle spalle e le consunte pantofole di feltro ai piedi.

Disse: — Casimir…

Una sola parola che ne racchiudeva tante. “Sei tornato, sei qui, e un poliziotto ti aspetta, come avevo temuto. Sapevo che c’era qualche guaio.”

— Ciao, mamma — le rispose cercando di assumere un tono noncurante. — Che succede? La madre si mordicchiava il labbro inferiore, tenendo d’occhio il tenente, ma questo aveva il viso nascosto dalla tazza.

— Tua moglie…

Phyllis! Mio Dio! Per un pelo non esclamò ad alta voce quel nome. Attese che mamma finisse, non osando aprire bocca.

— … vuole vederti disopra.

Ormai toccava a Johnson dare ordini, e Casey esitò dopo avere mosso un passo verso le scale. — Andate pure — concesse il tenente — e ditele di scendere con voi. Vorrei conoscerla.

“Non ne dubito” pensava Casey, salendo le scale con quanta rapidità gli era permessa da mamma che lo precedeva con il suo passo strascicato. Se non fosse scesa, mettendosi a parlare di Phyllis, chissà, forse ce l’avrebbe fatta a recarsi alla polizia da solo. Adesso era troppo tardi, proprio mentre si delineava la soluzione.

Dopo aver aperto la porta della camera, mamma lo fece entrare e la richiuse, appoggiandovisi contro. Poi disse, con voce afona: — Mi avevi mentito. Avevi detto di non essere nei guai. Mentivi.

— Lascia perdere il predicozzo — sbottò Casey. — Dov’è mia moglie?

— È andata via.

La fissò per un attimo a bocca aperta, stentando a crederle. — Andata via? Dove? Quando?

Di fronte a quel fiotto di domande, mamma scrollò la testa. — Come posso saperlo? A me nessuno dice mai niente. Sono dovuta uscire, e al mio ritorno non c’era più. Se n’è andata nel primo pomeriggio, e ormai è quasi buio.

— Non ha detto niente?

— No.

— Non ha lasciato un biglietto?

Nessun biglietto. Nulla, come aveva detto mamma. Casey dimenticò l’uomo che aspettava in cucina, per un lungo momento dimenticò tutto: Gorden, Vanno, tutto quanto. La scomparsa di Phyllis era l’unica cosa importante al mondo. Non aveva detto nulla, era semplicemente andata via.

— Che cosa vuole quel poliziotto?

Mamma era sempre stata brava a tornare sul piano della realtà. — È qua da mezz’ora a chiedere di te. Sapevo che c’era qualche guaio; mio figlio se non è nei guai non torna a casa.

Il suo sguardo però non corrispondeva alle parole, e lei lo fissava in modo strano, imbarazzante. I suoi occhi non accusavano, come la sua voce, non erano proprio ironici, parevano quasi tradire la paura. A questo pensiero Casey si sentì serrare la gola.

Disse con voce strozzata: — Eppure hai detto che mia moglie voleva vedermi.

— Io volevo vederti, senza la presenza di quel poliziotto.

La udì chiudere a chiave la porta e restare in ascolto. Se Johnson avesse udito avrebbe fatto le scale a quattro gradini per volta, ma tutto taceva, quindi non aveva sentito.

— Sono guai grossi, Casimir?

— La polizia crede che io abbia ucciso un uomo.

— È vero?

— No.

Se non avesse urlato, forse gli avrebbe creduto. Del resto, dato come stavano le cose, stentava a credere a se stesso e per un attimo rimpianse di avere detto la verità. Sciocchezze, non occorreva dire certe cose a mamma, le sapeva già. Lo fissò a lungo, quindi riapri la porta senza voltarsi.

— Mamma! — Vedendo che esitava, Casey insistette: — Non l’ho ucciso, te lo giuro su Dio. Se avessi tempo potrei provarlo, soltanto un po’ di tempo…

Mamma non mutò espressione e, continuando a stringere la maniglia, si voltò verso la porta. — Vado a vedere se il tenente vuole dell’altro caffè. Il tempo non gli manca, perché a una ragazza come Paula occorre un bel po’ per prepararsi, prima di scendere… vero, Casimir?

Casey non riusciva a parlare. D’un tratto provava il desiderio di piangere, di posare il capo sulla spalla di mamma e piangere come un bambino, ma non c’era tempo. Le parole di lei significavano che doveva affrettarsi, scendere le scale esterne senza fare rumore, chinare la testa passando davanti alla finestra della cucina e soprattutto filare a grande velocità.

— Ti occorre denaro? — gli chiese.

— No, non mi occorre niente. Se Paula torna…

Parlava al muro, perché mamma si era già richiusa l’uscio alle spalle e scendeva le scale col suo passo strascicato.

Casey sapeva che era necessario andare via subito, ma prima doveva accertarsi. Tornò in camera da letto, ma di Phyllis erano rimasti soltanto gli abiti. Nessun biglietto. Se n’era andata, ma dove? La sera prima lo aveva supplicato di portarla via e adesso era scomparsa come se fosse stata spinta da un grande terrore. Casey fissava il vuoto e cercava di trovare una risposta, ma era necessario rimandare il problema a un altro momento. Ora si trattava di affrontare nel miglior modo quella scala sul retro.

Per andare dalla taverna di Big John, alla fattoria nei dintorni di Arlington Heights, il percorso era lungo, specie in una rigida notte di novembre, ma Casey non lo trovava affatto lungo, visto che arrivava a mani vuote. Nei pressi della Milwaukee Avenue si fermò per telefonare a Maggie, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla. No, non aveva visto Phyllis e, per di più, non ci teneva affatto a vedere né lei né Casey Morrow, grazie! Eppure, mentre parlava una vaga inflessione della sua voce lasciava intendere che condivideva le sue ansie, e per Casey era già un conforto. Si sentiva meno solo.

Per il resto del viaggio poté riflettere e gli pareva di avere ormai un quadro chiaro della situazione. Doveva per forza essere stato Gorden — oppure Vanno, ma in fondo era lo stesso — a uccidere Brunner. Questi doveva in qualche modo avere scoperto che tipo fosse Gorden, mettendogli poi alle costole Groot per ottenere le prove. Casey lo trovava un modo di agire logico, perché sarebbero occorse prove di ferro per convincere la signora Brunner che Gorden non era una perla d’uomo. Appena questi si era accorto di quanto stava accadendo, doveva avere capito che occorreva ricorrere all’omicidio per salvare la possibilità di sposare il patrimonio Brunner.

Tutto collimava. Occorreva soltanto la dichiarazione della signora che Gorden non era stato con lei la notte del delitto. Questa affermazione, abbinata a quanto gli aveva raccontato sull’acquisto del terreno, avrebbe convinto anche un tipo ostinato come il tenente Johnson; però c’era un incaglio. La signora Brunner probabilmente non sarebbe stata d’umore adatto ad agevolarlo, vedendolo comparire senza Phyllis.

In questo turbinìo di pensieri aveva svoltato nel viale della villa cintata dalla palizzata bianca e si stava inoltrando nel sentiero inghiaiato per andare a suonare il campanello.

L’uomo che la volta precedente indossava calzoni di cotone e camicia a scacchi, ora vestiva di nero, ma a parte quello non era mutato. Aprì la porta, accigliato come sempre, e lo fece entrare. Evidentemente Casey era atteso, ma l’atmosfera non pareva troppo cordiale, e prima di entrare in biblioteca intuì che qualcosa non andava. Il suo presentimento non valse tuttavia a preparargli l’animo allo choc che l’attendeva oltre la soglia.

La stessa stanza chiara a lui già nota, un fuoco che crepitava allegramente nel camino, luci artisticamente diffuse, ambiente caldo e accogliente. Molto accogliente. La signora Brunner che si alzava dalla poltrona a fiorami per riceverlo. Lance Gorden sdraiato comodamente su uno dei larghi divani, e Phyllis, proprio Phyllis, rannicchiata in posa affettuosa contro il braccio di lui.

Accogliente e piacevole come un pugno nello stomaco.

Sarebbe stato difficile stabilire quanto durò il silenzio, e fu la signora Brunner che si decise a romperlo. (Casey aveva quasi dimenticato la sua presenza. Vedeva soltanto la posa da gatta di Phyllis contro il braccio di Gorden. Gli pareva quasi di sentirla fare le fusa.)

— Entrate, signor Morrow — disse. — Vi aspettavamo. Non credo che conosciate il fidanzato di mia figlia, il signor Gorden.

Mentre questi balzava in piedi, dal suo viso si capì che aveva riconosciuto l’uomo che gli stava di fronte. — Ah, siete voi! — esclamò. — Mi pareva…

Casey non si era ripreso a sufficienza per difendersi dall’attacco improvviso, ma l’ordine perentorio della signora Brunner fece il suo effetto. Ma forse non era stata soltanto la voce di lei a frenare Gorden, perché d’un tratto Casey vedeva chiaro, come se si fosse squarciato un velo. Dai suoi occhi traspariva tutto ciò che sapeva sul conto dell’altro, che per un attimo parve perfino essersi rimpicciolito.

— Scusa — disse — non è questo il luogo, capisco… ma dopo quello che ha fatto…

— A suo tempo il signor Morrow risponderà di quanto ha fatto. Credo anzi che dovrà rispondere di molte cose.

Stupito di possedere ancora una voce, Casey intervenne. — Non facciamo i ritrosi. Di che cosa dovrei essere incolpato?

La domanda non era rivolta a nessuno in particolare, ma i suoi occhi si erano posati su Phyllis. Per un attimo lo sguardo di lei si fece incerto, e Casey capì che non poteva sperare molto di più da lei. Era di nuovo Phyllis Brunner, la ragazza del bar Nuvola, dalla pelliccia di visone, dal profumo conturbante. Sì, anche il profumo non mancava, oltre il vestito parigino e la pettinatura complicata, e la stanzetta in casa di Big John apparteneva a un altro mondo.

Quando Gorden fece per avviarsi verso la porta, la signora Brunner tirò di nuovo il guinzaglio. — Dove vai? — chiese.

— Al telefono. È una questione che riguarda la polizia.

— Aspetta. Sentiamo il signor Morrow, prima.

Furbo, quel Gorden. Sapeva benissimo che lei l’avrebbe fermato. È sempre il gesto che conta.

— L’avete già sentito il signor Morrow — fece Casey. — Domenica mattina vi ho detto tutta la verità.

(“Sì, ero proprio qui domenica mattina. Lo sapevi, Phyllis, non è vero? È per questo che volevi scappare ieri sera. Invece non siamo scappati. Sei scappata soltanto tu, tra le braccia di Gorden. Perché?” La domanda non ottenne risposta. Neppure un cenno.)

Con tono calmo, la signora Brunner obiettò: — La versione di mia figlia è diversa. Dice che la tenete prigioniera fin dalla notte in cui mori mio marito.

Un sorriso grottesco torse le labbra di Casey. Ormai nulla lo coglieva più di sorpresa, si aspettava qualunque cosa. — C’è altro? — chiese.

— Non vi pare che basti? — Una vampata di rossore era salita al viso di Gorden. — Ad ogni modo, Phyllis può anche dare qualche informazione sul delitto.

— Non mi stupisce — osservò Casey, in tono asciutto. — Ma come mai avete bisogno d’informazioni? Soffrite di amnesie?

La stanza non era più tanto accogliente, e persino il fuoco sembrava freddo. “Parla, Casey Morrow, fai lo spiritoso, non aver l’aria di un uomo che si lascia prendere dal panico, perché è prossimo lo schianto.” Ma ormai sapeva già come sarebbero andate le cose, lo sapeva, adesso che era troppo tardi. Un bellissimo tranello, proprio bellissimo. Oppure no? Qui sorgevano i dubbi assillanti: d’accordo, Phyìlis mentiva, ma chi gli garantiva che non attribuissero a lui l’uccisione di Brunner? Da tempo non si era più abbandonato a tali pensieri, ma ora tutti i vecchi dubbi riaffioravano, e aveva paura. Quando si lasciava prendere dal panico, era soltanto capace di diventare aggressivo, quindi esclamò: — Non occorre che mi diate particolari, so bene che genere di favole vi ha raccontato. Le stesse che le servirono per minacciarmi, se non mi fossi schierato al suo fianco, aiutandola a coinvolgere voi nel delitto, Gorden.

— Mentite!

— Ma certo, mento. Tutti mentono. Forse non è mai esistito un omicidio, forse anche quello è una menzogna. Forse si tratta di una di quelle ingegnose fandonie che Phyllis ama raccontare al prossimo. Dimmi, tesoro, hai svelato la grande notizia a tua madre?

Priva dell’appoggio della spalla di Gorden, Phyllis pareva ancor più piccina. Rannicchiò le gambe sotto l’ampia sottana e lo fissava, cercando di lanciargli un incomprensibile messaggio, ma era tardi per lanciare messaggi.

— Notizia? — ripeté la signora Brunner. — Che notizia?

— Allora non le hai detto nulla? Via, amore, mi pare che mammina dovrebbe saperlo. Forse non approverà nozze tanto affrettate, forse non le garberà neanche quella dote di cinquemila dollari, ma comunque ha il diritto di saperlo.

Le parole gli uscirono dalle labbra proprio come aveva voluto, e tanto per cambiare restasse pure a bocca aperta qualcun altro. Il viso terreo di Phyllis, però, gli ripeteva che era una mossa sbagliata. La situazione sarebbe peggiorata, chiarito il punto.

Capì di avere visto giusto quando lei esclamò: — Nozze! Non capisco di che cosa stiate parlando, signor Morrow, ma comincio a sospettare che siate malato di mente.

18

Tutti lo fissavano. Sentiva i loro sguardi severi e interrogativi, ma vedeva soltanto che con ogni sillaba di quell’incredibile asserzione gli occhi di Phyllis si erano sbarrati sempre più. Anche mentre cercava di parlare, di protestare in qualche modo, capiva che in fondo non ne valeva la pena. Phyllis sapeva quel che faceva, lo aveva sempre saputo, e se lui non capiva, pazienza. Il quadro cominciava a essergli chiaro, il magnifico quadro nella magnifica cornice.

Intanto Gorden ricominciava a far flettere i muscoli e gridava: — Che cosa state cercando di dire? Che cos’è questa storia di un matrimonio?

— Non lo so — fece Casey. — Credevo di saperlo, ma adesso non ne sono più sicuro.

Phyllis osservò: — Non esiste una clausola legale secondo cui la moglie non può testimoniare contro il marito? Può darsi che stia pensando a quello.

— Esiste anche una legge sui rapimenti. — Casey sorrideva ironico. — Chissà come funzionerebbe applicata al rovescio?

Non era possibile mentire a quel modo, volutamente, senza il minimo cenno d’incertezza. Teneva gli occhi fissi su Phyllis in attesa che si tradisse, ma la signora Brunner si alzò dalla poltrona accanto al camino e s’interpose fra loro dicendo con calma: — Abbiate la cortesia di finire il vostro discorso, signor Morrow.

— Ho già finito.

— Avete insinuato di aver sposato mia figlia.

— No… l’ha insinuato lei. So soltanto quello che mi ha raccontato visto che al momento ero leggermente sbronzo.

— Quale momento? — volle sapere Gorden. — Dove e quando sarebbe stato celebrato questo supposto matrimonio? Dovrebbe essere abbastanza facile controllare.

Già, doveva essere facile. Strano che non gli fosse mai venuto in mente da quel pomeriggio piovoso in casa di Maggie, quando Phyllis gliene aveva dato l’annuncio. Il racconto di lei era pieno di falle chilometriche. Aveva detto che si erano sposati nell’Indiana, chissà in che punto, e non aveva neppure mostrato la licenza; non aveva mai posseduto l’anello matrimoniale. Casey non le aveva tuttavia rivolto alcuna domanda, troppo indaffarato a seguire le piste dell’uccisore di Brunner: altra idea di Phyllis, anche quella. Lo aveva minacciato in presenza di Maggie e ora stava mettendo in atto la minaccia. Infatti si ostinava a dire: — È falso, non so niente di un matrimonio, non so di che cosa stia parlando.

— Secondo me, è una questione che riguarda la polizia — insistette Gorden.

— Per una volta vi do ragione — approvò Casey.

Nessuno se l’aspettava, lo tradì lo stupore sul viso di Lance. Vedendo che si era fatto esitante, Casey reagì come se si fosse trovato davanti a un semaforo che dava via libera e fu pronto ad aggiungere: — Perché non invitiamo qualcun altro a questa festicciola? Per esempio il vostro amico Vanno, che non stava troppo bene quando l’ho lasciato un paio d’ore fa. Vi ricordate di lui, non è vero? Quel socio che mi avete messo alle calcagna armato di sfollagente.

Una vampata di rossore affluì al viso di Gorden fino alla radice dei suoi capelli biondi, mentre lanciava un’occhiata ansiosa alla signora Brunner, ma lei non aprì bocca. Pareva aspettare.

Tanto per sottolineare, Casey riprese: — Vanno e anche Carter Groot, se riuscissimo a trovarlo.

— Tu gli hai già parlato! — urlò Gorden rivolto alla signora Brunner. — Che cosa gli hai detto?

— Non parlarmi su questo tono — fu la gelida risposta.

— Mente. Phyllis dice che mente. È un volgare rapitore…

— A proposito — intervenne Casey — mi sono venuti in mente altri possibili invitati. Non sono pochi e per lo più erano tutti presenti a un’altra festicciola, offerta da Phyllis e da me sabato sera. Dubito molto che riuscirete a convincerli che la tenevo prigioniera. Sai, Phyllis, uno degli ospiti non invitati era un tenente della polizia che ha fama di essere piuttosto scettico. Peccato che non abbia avuto il tempo di presentartelo.

Ora si cominciava a vedere. Aveva paura, e Casey ne provò un gran piacere. Impaurita e silenziosa, le labbra leggermente socchiuse, gli occhi sbarrati. Valeva la pena aver fatto tutto quel viaggio per godersi un momento simile.

Concluse: — Non credo che siate ancora dell’idea di chiamare la polizia, ma se insistete, io ci sto.

Buffo come si possa fuggire da una cosa per tanto tempo, creandone una montagna nella mente, montagna che al momento della resa dei conti assume proporzioni del tutto normali. Eccoli qua, finalmente riuniti: Phyllis in preda al terrore, Lance pallido per la paura e Casey Morrow tranquillo e serafico. No, non proprio serafico; non ingannava se stesso su questo punto. Ogniqualvolta guardava Phyllis provava ancora un senso di vuoto allo stomaco, eppure non gli riusciva di distogliere gli occhi da lei. Ma se non altro aveva per alleata la collera e un discreto numero di informazioni qua e là, per apparire minaccioso. Così almeno sembrava pensare Gorden.

— Che cosa volete, in fin dei conti? — gridò infatti l’avvocato.

Casey lo capì proprio allora. — Esattamente quello che volete voi — rispose. — Tutto ciò su cui potrò mettere le mani.

— Signor Morrow… — Si era quasi dimenticato la signora Brunner, che aveva invece seguito attentamente la scena. — Ho cercato di capire le vostre strane dichiarazioni di stasera e mi sembra che si tratti di un ricatto.

— Chiamatelo come vi pare. Si potrebbe spiegare in tanti modi… spese, danni o — il sorriso amaro era diretto a Phyllis — compenso per mancata promessa di matrimonio. Io so appena che vi siete divertiti abbastanza alle mie spalle, e ora qualcuno dovrà pagare.

— E se rifiutassimo?

— Farò il finimondo. So quale via d’uscita tenterete, sono già stato minacciato. Nel frattempo, però, ho fatto qualche sommetta e mi pare che Gorden abbia più cose da nascondere di me. Inoltre, se mi occorresse denaro potrei sempre scrivere un articolo per i giornali sulla mia luna di miele con l’ereditiera scomparsa. Non preoccupatevi, signora Brunner, renderei pubblici soltanto i momenti più felici…

— Quanto volete?

La domanda gli era stata gettata in viso da Phyllis, pallida per l’ira. Non pareva più una gattina che facesse le fusa contro la spalla di Gorden, non aveva più paura, sebbene fosse conscia che si stava impantanando nelle proprie menzogne. Era una femmina travolta da una collera cieca.

— Fammi un’offerta — propose Casey.

— Cinquemila?

— Bastavano la settimana scorsa, bellezza, quando ero giovane e inesperto. Ritengo che valga per lo meno il doppio dimenticare quanto so sul tuo conto, a prescindere da quello che so sul tuo caro amico qui presente.

— Affare fatto.

— È ridicolo! — sbottò Gorden. — Quest’uomo non ha alcuna prova e non oserebbe andare alla polizia.

— Ho detto che accetto. Pagalo.

— Ma Phyllis…

— Sei il mio legale sì o no? Pagalo. Serviti del mio capitale, trova il denaro dove vuoi, ma per amor del cielo pagalo e mandalo via. Non voglio mai più vederlo né sentirlo nominare.

Seguì un silenzio gelido, poi Phyllis uscì di corsa dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Spinto da un impulso pazzesco Casey avrebbe voluto seguirla. Troppo comodo: si prende ciò che si vuole e quando se ne è stanchi si firma un assegno… troppo comodo. D’altra parte non si può lottare contro i mulini a vento e a lui non restava altro da fare.

— È ridicolo — ripeté Gorden, senza rendersi conto che nulla poteva essere più ridicolo di lui.

— Avete sentito che cosa ha detto? — gli ricordò Casey.

— Credete che io possa trovare diecimila dollari così sui due piedi, come un prestigiatore?

— Riguarda voi.

Con voce che suonava stranamente calma, in quell’atmosfera quasi di follia, la signora Brunner propose: — Forse il signor Morrow sarebbe disposto ad accettare un assegno.

— Hai veramente intenzione di pagarlo? — domandò Gorden.

— Date le circostanze, mi pare inevitabile.

— Meno male che qualcuno ci vede chiaro — disse Casey. — Dolente, però, ma il signor Morrow non accetta assegni. Solo contanti, e appena li avrà in tasca, filerà per lidi ignoti. Sono certo che questa notizia vi fa piacere, Gorden.

Avvicinatosi ad una piccola scrivania accanto alla finestra, Casey scrisse un indirizzo su un foglietto di carta. Si era quasi dimenticato l’appartamentino, ma l’affitto era pagato per un mese, aveva la chiave in tasca e, poiché era necessario stabilire un luogo d’incontro, preferiva sceglierne uno che gli fosse noto e di cui conoscesse a fondo le entrate e le uscite. Pur non prevedendo guai da parte di Gorden, visto che la frusta l’aveva per il manico la signora Brunner che pareva impressionata dalla minaccia di pubblicità, trovava che non si può mai essere troppo prudenti nel prendere accordi con un assassino. Strano come pareva ormai trascurabile l’uccisione di Brunner. Se ne infischiavano tutti.

Porgendo l’indirizzo a Gorden, gli spiegò: — Domani sera verso le cinque e mezzo c’è un treno, e io riuscirò a prenderlo o no secondo la rapidità con cui mi consegnerete il regalo d’addio. Me lo porterete voi in persona, perché ho conosciuto i vostri amici e ci siamo reciprocamente antipatici.

— C’è altro? — Il tono di Gorden era aggressivo.

— Non credo. Ai giornali per il viaggio provvederò io personalmente.

— Allora posso andare dalla mia fidanzata, che mi è parsa piuttosto sconvolta.

— Peggio per voi — ribatté Casey.

Nella stanza erano rimasti in due, e si sentiva meno sicuro di sé. Moriva dalla voglia che qualcuno gli offrisse una bibita, ma sapeva che al caso sarebbe stata condita con l’arsenico.

Era necessario filare al più presto, il senso di vuoto che regnava nella camera lo opprimeva.

— Signor Morrow… un momento.

Già avviato verso la porta Casey ristette e si voltò. Il fuoco era semispento, ma gli occhi della signora Brunner erano tutt’altro che spenti. A guardarla bene, pareva essere invecchiata in quei pochi minuti, e gli faceva un effetto strano e penoso il constatarlo, perché fino ad allora gli era parsa una donna senza età.

— Vorrei parlarvi… da solo.

— Semplicissimo… sono sempre solo.

Fissandolo con i suoi occhi grigi, ombreggiati da scuri aloni creati dall’ansia, gli disse con semplicità: — Voi siete innamorato di Phyllis e il matrimonio c’è stato veramente.

Non erano domande, le sue, ma asserzioni.

— Se ne siete tanto sicura, significa che ne sapete più di me — obiettò Casey.

— Sono pronta ad ammetterlo — disse lei, guardandolo in faccia.

— Vi ho soltanto riferito quanto lei ha raccontato a me. Non ho avuto tempo di procedere a controlli.

— Sarebbe proprio tipico di Phyllis. È sempre stata una bambina impulsiva.

Quella frase aveva un suono sciocco e anche lei doveva essersene accorta. Phyllis non era più una bambina, e, quanto all’impulsività, era meglio non parlarne. Casey serrava già la mascella per andare all’attacco, ma la signora Brunner lo prevenne, dicendo: — Rimane comunque il fatto che voi ne siete innamorato. Lo so da quando siete venuto qui ieri.

— Non ha importanza. — La voce di lui sonava amara.

— Ne ha, invece. L’uomo accecato dall’emozione agisce raramente con saggezza.

— Non ho mai agito con saggezza in vita mia — protestò Casey — innamorato o no, spinto dall’emozione o no. Ito però fatto un patto con Gorden e se lui non manterrà l’impegno scatenerò il finimondo. Sono stufo di essere braccato, stufo di braccare. Urlerò i fatti ai quattro venti e starò a vedere il risultato.

Era facile parlare su quel tono, sapendo che nella cucina di mamma aspettava un certo Johnson e che Phyllis gli aveva lasciato il vuoto attorno.

La signora Brunner, però, che non si lasciava sviare tanto facilmente, disse con calma: — Capisco ciò che provate. A volte sono stata ingannata anch’io.

— Alludete a Lance Gorden? — domandò Casey stupito.

— In fondo si.

Non era però questo che aveva inteso dire. Pur non essendo il tipo di donna a cui è difficile esprimersi, pareva incapace di tradurre in parole il suo pensiero. Volse il capo verso le poche braci che ardevano nel camino, e Casey fu di nuovo colpito dal suo profilo fiero e deciso. D’un tratto gli tornarono alla mente le pazzesche fandonie di Phyllis sulla prima donna e sul nobile innamorato e, pur non avendo mai conosciuto Brunner, si rendeva conto che un volto come quello di lei avrebbe potuto incitare la fantasia fino a commettere qualsiasi gesto.

D’un tratto un fiotto di parole scaturì dalle labbra della signora Brunner. — Non capite neppure adesso, non è vero? — chiese. — Vi sentite umiliato perché una bella ragazza si è servita di voi per i suoi scopi, e non ne capite la ragione. Sembrate dimenticare che mio marito è stato assassinato.

— Non ho dimenticato, anzi, non ho avuto la possibilità di dimenticare — protestò Casey.

— Io non ho dimenticato e non dimenticherò mai! — Tacque bruscamente, e seguì un momento imbarazzante, perché nel mondo dei Brunner non è permesso manifestare emozioni, ira, odio, amore o dolore. Per un attimo Casey temette che gli chiedesse scusa, ma non lo fece, benché fosse chiara la lotta che si svolgeva in lei.

Ripreso il dominio di sé, aggiunse: — Non vorrei dire altro, ma ritengo che vi si debba qualcosa, una cosa più importante del denaro. Quando avete formulato le vostre richieste, il mio primo impulso è stato simile a quello di Gorden: chiamare la polizia. Invece avete ragione voi, esistono cose per il cui silenzio la gente è disposta a pagare, soprattutto trattandosi di persone care.

“Siete perplesso, non è vero? Eppure avrete notato quanto Phyllis sia in balia della sua emotività. Me ne preoccupo da anni, e anche suo padre se ne angosciava. Forse avrete indovinato che non fu un attacco di cuore a indurlo a trasferirsi in città.”

L’attenzione di Casey si era risvegliata. A dire il vero, non si era interessato molto alla salute di Brunner, ma ora ascoltava con interesse, ricordando come non avessero collimato i discorsi della Nardis e di Leta Huntly.

— Era stato fatto un attentato alla vita di mio marito, un attentato goffo, quasi infantile, ma egli ritenne più prudente allontanarsi, finché Phyllis non gli fosse sembrata più calma…

— Phyllis! — fece Casey con voce strozzata.

— Purtroppo non si poté giungere ad altra conclusione… allora.

Come se stesse frugando nei propri ricordi, la signora Brunner si era fatta pensierosa quando riprese: — Naturalmente allora non ebbi alcun sospetto su Lance, ma adesso mi chiedo se non si valse di lui.

— Eppure Phyllis amava suo padre!

— Certamente, e ritengo possibile che abbia amato anche voi. È appunto quanto sto cercando di dirvi, signor Morrow. Non siatene addolorato, non odiatela. Siete troppo giovane per permettere che la vostra vita sia rovinata.

In generale, nessuno si preoccupava molto della vita di Casey Morrow, e, quando capitava, lui non riusciva a frenare un moto di sospetto. Avrebbe voluto esprimere il proprio pensiero, ma lo sguardo angosciato della signora Brunner pareva impedirglielo, per cui borbottò soltanto: — Non sono più tanto ingenuo.

— Forse no, forse nessuno è ingenuo a questo punto. Man mano che s’invecchia si ama supporre che un tempo il mondo fosse innocente e bello, che la gente fosse più buona, più riconoscente; ma non basta a renderlo vero. Del resto, nessuno di noi è molto diverso dal suo prossimo. Certuni sono semplicemente più fortunati.

— E più furbi — aggiunse Casey.

— Già, più furbi. A questo proposito, avete una rivoltella?

Tutta la conversazione era stata fonte di stupore per Casey, ma il suo sbigottimento di fronte a questa domanda era visibile.

— Immaginavo che non l’aveste — aggiunse la signora Brunner.

Si allontanò dal camino per accostarsi alla scrivania e, dopo avere aperto uno dei cassetti, ne estrasse una Luger dall’aspetto micidiale. — Apparteneva a mio marito — spiegò — e la teneva sempre carica, in caso di furto. Sapete servirvene?

— Sì — ammise Casey — ma portare addosso uno di quegli aggeggi può essere causa di grosse seccature.

— È vero, d’altra parte non posso fare a meno di chiedermi se mio marito non sarebbe ancora qui con me se avesse tenuto quest’arma nel suo studio anziché nel mio.

Il viso di lei era atteggiato a gravità, e Casey capì d’un tratto di averla sottovalutata, il che è sempre una grossa imprudenza quando si ha a che fare con le donne.

— Vedete — continuò lei, sempre calma — stasera in questa stanza ho imparato molte cose. Tenevo d’occhio Lance. Voi eravate troppo occupato a fissare mia figlia, ma avreste dovuto guardare lui. È un uomo in preda allo spavento, e gli uomini impauriti possono diventare pericolosi se si trovano con le spalle al muro. Se dovesse sospettare, come me, che il matrimonio è davvero stato celebrato, non vi trovereste in una situazione molto invidiabile, nonostante i vostri accurati piani.

Gli tese la rivoltella, e dal suo viso non trapelava nulla, perché il necessario era già stato detto con parole chiare e semplici. E tuttavia Casey esitava.

— Non ci tengo che la prendiate — aggiunse la signora Brunner. — Vorrei consigliarvi di dimenticare il guadagno e di salire sul primo aereo che lascia la città, ma sono ormai abituata a vedere trascurare i miei consigli.

Senza più esitare, Casey disse: — Grazie per la rivoltella.

19

Stava per nevicare. Lo si capiva dall’aria, dall’ululare del vento agli angoli delle case e da quel cielo plumbeo che pareva una coperta pronta a calare.

Prima sarebbe caduta la pioggia, e già si avvertiva qualche goccia che poi sarebbe diventata nevischio, formando così un bello strato di ghiaccio sotto la neve e il fango. L’ideale per ammaccare i paraurti e per gettare a terra le vecchie con le braccia cariche di pacchetti. Ben presto sarebbe anche calata l’oscurità, e Casey aspettava ancora che Lance Gorden si facesse vivo.

Era tanto che aspettava… uno spazio di tempo che equivaleva a trent’anni di vita. Era stato sdraiato sul divano, gli occhi fissi al soffitto, tornando col pensiero al passato e soprattutto al passato più recente, durante il quale Phyllis aveva cucinato spaghetti in cucina e dormito nella camera dietro la porta chiusa. Il passato nella taverna di Big John, quel passato che non amava ricordare, e la vigilia nella biblioteca della signora Brunner.

Ora sapeva che cosa aveva cercato di dirgli, ma non ne traeva conforto. Forse il comportamento di Phyllis nei suoi confronti aveva una ragione di essere, una seria ragione scientifica, ma Casey non era tipo da ragionare scientificamente. I suoi sentimenti erano dettati da amore, odio e fame. Per di più aveva il vizio di pensare troppo.

Questa tana, pensava. Questa miserabile schifosa tana. Ecco come vive Casey Morrow, a parte quella stupenda parentesi sulla costa. Ora però le cose cambieranno, diecimila dollari porteranno notevoli mutamenti. Con diecimila dollari si ricomincia da capo, e se non bastano, Casey Morrow sa dove trovarne ancora. Pensieri pericolosi. Non perché Gorden avrebbe potuto tirargli una revolverata nel caso che fosse tornato, non perché il tenente Johnson avrebbe potuto interessarsi ancora all’identità dell’assassino di Brunner, ma perché un ritorno poteva significare rivedere Phyllis e rivedere Phyllis era proprio la cosa al mondo che non avrebbe mai più dovuto fare.

Anche pensare a lei, altra cosa da non fare mai più.

Si alzò dal divano e diede una pedata a una lattina di birra vuota, facendola volare all’altro capo della stanza. Una schifosa lattina di birra. Tutta la sua vita doveva proprio essere sempre impregnata dall’odore di birra? Purtroppo, però, era l’ultima, e quando le aveva comprate alla drogheria d’angolo era consapevole che sei lattine non gli sarebbero bastate. D’altra parte, per un’attesa come la sua non sarebbe stata sufficiente tutta la birra della città, e inoltre gli conveniva essere cauto e avere le idee lucide. Andò in cucina e diede un’occhiata al pane e salame che aveva lasciati sul tavolo, rientrando dalla drogheria; ma non aveva fame. Guardò quindi la Luger posata accanto al pane e intanto si chiedeva che cosa diavolo stesse combinando Gorden. Le banche erano chiuse da ormai due ore.

Un uomo impaurito può essere pericoloso, gli aveva detto la signora Brunner. Raccattò l’arma, sorridendo. “Siamo in due, allora” pensava.

Tanto valeva controllare di nuovo la porta sul retro, ma naturalmente era ancora chiusa. Attraverso il vetro sporco della finestra scorgeva un piccolo tratto del vicolo sottostante, cosparso d’immondizie, ma a quanto pareva deserto. Comunque Gorden non sarebbe passato dal vicolo, anche per compiere un omicidio si sarebbe servito della porta principale, pulendosi i piedi sullo zerbino prima di entrare. Sarebbe stato anche capace di scrollare la pioggia dall’ombrello.

In fin dei conti, chi diavolo era Phyllis Brunner? Una donna come tutte le altre. Niente di speciale. Tornò nel salotto e si lasciò di nuovo cadere sul divano. Non c’è mai niente di speciale nelle donne, a eccezione forse di Maggie. Buona idea. C’era qualcosa in lei, anche se non si trattava del suo fisico, che avrebbe potuto rendere piacevole la convivenza o per lo meno creare una parentesi divertente. Forse le sarebbe piaciuto dipingere i suoi quadri sulla costa, tanto per cambiare.

Si rizzò a sedere di scatto e tese l’orecchio, ascoltando il rumore che faceva la chiave nella serratura.

La porta però non si apri. Attese invano. Aveva spento tutte le luci, per ogni evenienza, e se l’uscio si fosse aperto la persona sulla soglia sarebbe stata visibile chiaramente, perché nell’ingresso era sempre accesa una lampadina. L’oscurità rimase impenetrabile. Si accostò alla porta per ascoltare, ma udì soltanto il proprio respiro affannoso e i battiti del suo cuore.

Con gesto brusco spalancò quindi la porta e si fece da parte per non essere investito dalla luce proveniente dall’ingresso. Nessuno. Stranissimo, non c’era nessuno. Eppure chi aveva girato la chiave nella serratura non poteva essere molto lontano. D’un tratto notò una cosa che fece dileguare in lui ogni prudenza.

Gridò: — Phyllis, Phyllis, dove sei?

Ovunque aleggiava la fragranza di lei, la fragranza quasi ironica del suo profumo pungente. Casey era già nell’ingresso intento a scrutare ogni ombra e stava per avviarsi verso le scale quando… in cima ai gradini apparve Lance Gorden che puntava una rivoltella su di lui.

Senza esitare, Lance, non appena ebbe riconosciuto Casey, premette il grilletto una, due, tre volte, ma intanto il suo viso si sbiancava. Non era successo nulla. Indietreggiò, aggrappandosi alla ringhiera con una mano, e l’espressione sul suo volto tradiva che la verità gli era apparsa, ma troppo tardi. Ormai Casey poteva passare al contrattacco.

A dire il vero aveva dimenticato di aver stretta in pugno una pistola, e all’improvvisa aggressione aveva soltanto pensato che si trovava solo con un uomo che voleva ucciderlo e che quindi occorreva correre ai ripari. L’oggetto che stringeva in pugno non aveva forma, per lui, e lo lanciò contro la testa dell’altro senza pensare alle possibili conseguenze. Gorden stramazzò a terra, ma Casey non si fermò a guardare e attraversava già di corsa l’appartamento per girare freneticamente la chiave della porta in cucina. Era occupato in quella manovra, quando nell’ingresso rintronò un colpo di rivoltella.

A ripensarci bene, in quel lungo momento intercorso fra lo sparo e il silenzio, capiva la strana espressione di Gorden. A ripensarci bene tutto era chiaro. Attese, sempre in ascolto, e udì un rumore di passi giù per le scale o forse intuì che il rumore avrebbe dovuto esserci. La porta della cucina si era finalmente aperta, ma prima doveva accertarsi che l’ingresso rigurgitasse di gente. Tornò sui suoi passi, sapendo esattamente che cosa avrebbe trovato. Nessuno aspettava più con una rivoltella in pugno e anche l’arma era scomparsa. Il corpo di Gorden giaceva in posa scomposta ai piedi delle scale, e tutt’attorno aleggiava il profumo di Phyllis.

— Sedetevi, per l’amor di Dio — disse Maggie.

Casey si voltò a fissarla. Che cosa faceva li? Ricordò poi che la sua presenza era normale, poiché si trovava a casa sua. Camminava avanti e indietro, quindi non era un sogno. Era davvero fuggito attraverso i vicoli bui, bagnati di pioggia, nascondendosi negli androni, udendo l’ululato delle sirene, conscio che urlavano per lui. Lance Gorden era davvero morto e giaceva ai piedi delle scale ripide e strette.

— Ci sono le mie impronte — disse. — La rivoltella è scomparsa e sopra ci sono le mie impronte.

— Forse Gorden è stato ucciso da un’altra arma.

Casey sorrise. Maggie proprio non capiva. Gorden era stato ucciso dalla Luger perché fin dall’inizio era stabilito che andasse così.

— Ora vi do qualcosa da bere.

Brava Maggie, ne aveva proprio bisogno.

Si era imbattuto in lei per caso, come faceva sempre. Gli era mancato il tempo di prendere cappello e impermeabile perché le porte del corridoio già si socchiudevano, e la gente additava il suo appartamento. Del resto che importavano pioggia, nevischio e neve in questo gelido mondo?

— Su, bevete — ammonì Maggie, tendendogli un mezzo bicchiere di whisky. — E toglietevi quella giacca bagnata. State battendo i denti.

Non si tolse la giacca, ma ingollò il whisky in un sorso, traendone conforto. Maggie non capiva che non era la temperatura a farlo tremare in quel modo. — Avreste dovuto vedere la faccia di Gorden quando la rivoltella ha fatto cilecca — disse.

— Forse si era inceppata.

— Può darsi anche che fosse stata scaricata a sua insaputa. Non capite? Lei non aveva più bisogno di Gorden. Aveva finito il suo sporco compito e a lei non occorreva più, come non le occorrevo più io. Adesso tutto è a posto: il vecchio è morto, Phyllis eredita, Gorden è liquidato e io ho un biglietto di sola andata per la sedia elettrica. Magnifico! Quanto sono valutati sul mercato i creduloni?

— Sedete!

— Sarete molto vecchia prima di trovarne uno che mi valga. Come me non ne troverete altri, Maggie.

Aveva voglia di piangere. Avrebbe voluto chinare la testa come un bambino e sfogare tutto il suo dolore, ma non c’era tempo. La polizia pullulava già nel suo appartamento in cerca di piste, e quindi restava poco tempo per provvedere al necessario. Dopo, nulla avrebbe più avuto importanza.

— Casey!

Maggie sapeva che cosa bisognava fare. Era evidente dal modo con cui gli stringeva il braccio. — Non tornate da lei! Non fate lo sciocco.

— Sono sciocco, invece — ribatté Casey con un sorriso, sollevandole il mento con due dita. — È proprio quanto vi stavo dicendo.

— Ma non potete essere sicuro che sia stata Phyllis. Non l’avete vista.

— Per questo vado ad accertarmene.

— E poi?

Certe domande erano troppo stupide e non valeva la pena di rispondere. Che importava? Era solo questione di tempo, prima che il tenente Johnson dagli occhi azzurri rintracciasse Casey Morrow; nessuno al mondo avrebbe prestato fede al suo racconto. Prima o poi la morte lo attendeva. Capita a tutti. Strinse ancora un momento fra le dita il mento di Maggie, poi le accarezzò lievemente il buffo viso tondo. — Non capisco una cosa — mormorò. — Non capisco voi, Maggie. Come mai vi trovate invischiata in questa storia? Perché non siete andata per i fatti vostri?

Maggie riuscì a tirar fuori un sorriso un poco ironico. Era abbastanza saggia per capire quando non è più il caso di discutere.

— Ho una vita molto monotona — disse. — Volevo scrivere qualcosa di eccitante nel mio diario.

Ora che tutto era finito, o quasi, Casey non ricordava che sensazione gli avesse dato la paura. Tornò nel punto dove aveva parcheggiato la guida interna e ripassò davanti allo sporco stabile in mattoni, senza provare l’ombra di apprensione. Anche per strada regnava l’indifferenza. I capannelli di curiosi si erano dispersi e la gente aveva fatto ritorno alle case calde, mentre già da tempo l’eco dell’ultima sirena si era andata spegnendo nell’oscurità. Addio Lance Gorden, bel ragazzo dal cervello troppo fertile.

Il resto fu normale procedura. Filava a buon passo, inconscio della velocità, e ormai il nevischio si stava tramutando in neve, una neve turbinante che si scioglieva nelle strade ma che avrebbe coperto di un sottile velo i campi oltre la Harlem Avenue. Prim’ancora che la guida interna grigia fosse arrivata alla villa cintata dalla palizzata bianca, il pensiero di Casey era tornato a Phyllis.

Nessuno lo fermò, nessuno gli intralciò il cammino. Così doveva essere: tutto era stato prestabilito e ogni suo gesto faceva parte del destino.

L’oscurità era rotta soltanto da alcune finestre illuminate al piano superiore, indubbiamente quelle dell’appartamento di Phyllis.

Come gli riusciva di essere silenzioso quando voleva! In fondo, se avesse potuto avere una seconda vita, la carriera del ladro avrebbe potuto essergli redditizia. Facilissimo. Qualcuno dimentica sempre una finestra o una porta aperta, tutti sbagliano, anche Phyllis Brunner. S’inoltrò cautamente nel buio e quando ebbe trovato le scale si fermò, tendendo l’orecchio. Silenzio di tomba.

Nelle case dei ricchi, per fortuna, le scale non scricchiolavano mai. Ogni asse al suo posto, tappeti sparsi ovunque, cardini ben oliati che non cigolano quando una porta viene aperta di soppiatto. Nella sua camera Phyllis sedeva davanti allo specchio e si spazzolava con cura i capelli color miele. Indossava una vaporosa vestaglia lilla e i suoi movimenti erano calmi e regolari finché, di colpo, la spazzola d’argento s’immobilizzò a mezz’aria.

Casey gliela tolse di mano: pareva essere uscito dallo specchio.

— Casey!

Non fu un grido, ma un sussurro.

La guardava e pensava che mai demonio era stato così bello. — Che profumo adoperi? — le chiese. — Deve chiamarsi “Bacio della morte”.

Forse l’immagine riflessa nello specchio era irreale. Phyllis sentiva che occorreva voltarsi, ma aveva paura e non mascherava più il suo terrore.

— Che cosa fai qui? — riuscì a dire finalmente. — Che cosa è successo? Dov’è Lance?

— Per quel che ne so io è ancora dove l’hai lasciato tu, con una pallottola in testa.

— No!

— Non preoccuparti. Nessuno saprà mai che sei stata tu. Sulla rivoltella ci sono le mie impronte, lo sai bene. Non ho premuto il grilletto com’era stato deciso, ma ho tenuto in mano l’arma. Sono stato più fortunato di Gorden: la mia era carica.

Casey depose sul tavolo la spazzola e prese il lungo tappo appuntito di una delle bottiglie di cristallo, annusando poi il profumo pungente con un sorriso ironico. — Dovrei forse essere lusingato — aggiunse. — Mi hai per lo meno concesso di vivere per un po’.

— Non capisco di che cosa parli — protestò Phyllis. — Non mi sono mai mossa di qui.

— Di’ pure. Mi hai convinto a fare tante cose, perché smettere?

— Ti sto dicendo la verità!

— La verità? Che cosa ne sai tu della verità?

Chi sapeva la verità, in effetti? Casey aspettava, sperando che gli potesse rispondere. Perché? Per denaro? Casey Morrow era dunque sceso tanto in basso per qualche miserabile migliaio di dollari? Non poteva essere questa la verità. La verità era lì davanti a lui, con le labbra socchiuse e gli occhi sbarrati per lo spavento.

— So che cosa stai pensando! — gridò Phyllis. — Per via di ieri sera pensi che io ti abbia sempre mentito. Ma non capisci? Non capisci? Ieri sera ho dovuto mentire perché tu hai parlato del matrimonio e la tua vita non valeva un soldo se avesse saputo che eri mio marito. Saresti diventato un altro ostacolo che Lance doveva rimuovere.

— Sarà per questo che mi hai piantato, suppongo. Per questo che ti sei precipitata da lui.

— Dovevo arrivare prima!

— Ma certo! Dovevi raggiungerlo e fargli coraggio, in modo che non crollasse quando la polizia avesse stretto la rete. In modo che non svelasse chi era stato a convincerlo a uccidere Brunner. Che cosa gli avevi promesso, bellezza? Oppure basta che dia freno alla mia fantasia?

— Non è vero…

— Basta con le menzogne! — Casey ne aveva abbastanza. — Smetti di mentire, voglio sapere che cosa ne hai fatto della rivoltella. Voglio sapere dove l’hai messa e se menti di nuovo, ti ammazzo, perdio!

La luce dardeggiava sul tappo appuntito di cristallo ch’egli stringeva in pugno, traendone bagliori sinistri. L’avrebbe uccisa. Perché altro era venuto? Una bugiarda, una serpe infida che uccideva per procura e faceva in modo che i suoi mandatari si ammazzassero l’un l’altro. Meritava di morire. Ma ora l’inerzia si stava impossessando di Casey. La fissava e attendeva senza saperne il perché, visto che non potevano esistere dubbi che Phyllis Brunner meritasse la morte.

— Rivoltella? — ripeté. — Che rivoltella? Non sapevo che ne avessi una.

20

Dopo l’urlo di Phyllis, il silenzio si abbatté sulla casa. Casey fissava quel corpo steso a terra, avvolto nella vaporosa vestaglia lilla, e attendeva che il silenzio cessasse. Parve essere passato un secolo quando risuonarono passi cauti nel corridoio e la porta si socchiuse lentamente.

Apparve la signora Brunner. Vide Casey che stringeva ancora il tappo di cristallo insanguinato, poi vide Phyllis sul pavimento. Casey invece vide soltanto la Luger puntata in direzione del suo petto. Ebbe l’impulso di ridere. Non aveva nulla di comico quella rivoltella, significava la morte per lui, ma tuttavia ebbe l’impulso di ridere. Era dunque sempre stato tutto così semplice. Le sue ipotesi erano state esatte, eccettuato su un punto: la signora Brunner e non Phyllis si era valsa di Lance Gorden per eliminare il marito, la signora Brunner e non Phyllis aveva chiuso Casey Morrow in una bella trappola senza via d’uscita.

La piccola mano inguantata di lei stringeva l’arma con fermezza. — Non muovetevi, signor Morrow.

Casey non si mosse. Si limitò a lasciar cadere il tappo di cristallo dalla punta insanguinata.

— È morta?

Nessuna emozione nella voce della donna. Nulla, come se lei stessa fosse morta da tempo.

— Non lo so.

— Accertatevene.

— Mio Dio — mormorò Casey.

— Siete scandalizzato?

— Non mi stupisce che avesse paura di tornare a casa.

— Non dovreste essere scandalizzato. Dopo tutto siete innamorato di lei e l’avete uccisa.

Casey cominciava a ricordare tante cose, cominciava a ricordare la reazione di lei alle prime notizie che le aveva portato di Phyllis e in che modo avesse difeso Gorden finché non era fallita l’aggressione, procedendo quindi a svelare i loschi retroscena di lui per salvare se stessa. Soprattutto ricordava come in ogni sua parola fossero trapelati i suoi sospetti nei riguardi di Phyllis. Lo ricordava ora, mentre una rivoltella era puntata contro di lui.

— Suppongo che tocchi a me adesso — disse.

— A suo tempo e dopo un regolare processo. Nel frattempo aspetteremo lo sceriffo che mi sono permessa di avvertire telefonicamente prima di salire qui.

— Eravate molto sicura del fatto vostro.

Un sorriso vago le increspò le labbra. Fece un passo avanti e il profumo traditore di Phyllis la seguiva come una scia. — Non siate stupido, signor Morrow — disse. — Vi sto aspettando fin da quando ho lasciato quel misero appartamento. Assomigliate molto a Lance: emotivo, pronto al panico. Sapevo benissimo come avrebbe reagito vedendo il rapporto dell’investigatore privato sulla scrivania di mio marito e sapevo anche come avrebbe agito oggi.

— Con qualche incoraggiamento — borbottò Casey. — E io che cosa dovrei fare… confessarmi colpevole di tre omicidi?

— Basterà uno.

— E quello commesso da voi, con la rivoltella che avete in mano? Controllano quel genere di cose, sapete?

Doveva tenere d’occhio la sua calma micidiale. Se si fosse incrinata, anche leggermente, sarebbe stato necessario agire in fretta. Era riuscito a spostarsi davanti al corpo di Phyllis ed era già un vantaggio, ma si sarebbe sentito più al sicuro dopo l’arrivo dello sceriffo.

— Peccato che siate tanto emotivo — spiegò la signora Brunner. — Se non aveste lasciato cadere la rivoltella, avventandovi su Phyllis in modo tanto selvaggio, io non avrei potuto raccattarla e tenervi a bada, fino all’arrivo delle autorità. Naturalmente — aggiunse con tono pieno di significato — se preferite tentare la fuga…

Chiaro, chiarissimo: lei aveva già pronta la versione da servire alla polizia e sarebbe anche riuscita a farsi credere. Fra la parola della signora Brunner e quella di Casey Morrow, chi avrebbe esitato? Tutto in lei, dalla sua posa al modo con cui stringeva la Luger, lasciava capire che ne era consapevole. Vestiva tuttora di nero e chissà per quanto avrebbe continuato a portare elegantemente il lutto del marito, della figlia e del quasi genero. Un lutto di lusso.

Vedendo che volgeva lo sguardo verso la figlia, Casey fu pronto a sviarla, dicendo: — Dev’essere terribile non avere denaro. Neppure i Morokowski si sono mai abbassati a tanto. — Le parole, però, non valevano più a distrarla. Fissava il corpo di Phyllis e l’improvviso balenio nei suoi occhi ammoniva Casey che era giunta l’ora. Il riflesso di fari d’automobile apparve sulla parete mentre una macchina svoltava nel viale, e se anche fosse stato lo sceriffo era troppo tardi. Un grido soffocato di sorpresa e Casey si era tuffato sulla rivoltella che già rimbombava fragorosa.

Era buio. Piano piano tornò la luce, e Casey sulle prime avvertì un dolore lancinante, un dolore che lo trafiggeva al fianco destro, quindi notò il soffitto, le pareti e per ultimo un uomo dagli scaltri occhi azzurri che lo scrutavano da sotto l’ala del cappello di feltro.

— Salve, Casimir — disse il tenente Johnson. — Avete fatto da paraurti a una pallottola, mi sembra.

Casey cercò di muovere il braccio destro, ma il dolore si fece più acuto. Imprecò fra i denti poi guardò di nuovo. Era proprio Johnson, ritto accanto al letto di Phyllis su cui giaceva lui.

— Da quando in qua siete sceriffo? — gli chiese.

— Non lo sono, ma ho avuto un invito speciale per questa festicciola. Una certa Maggie Doone ha telefonato alla centrale per dire che un idiota stava per cacciarsi in un mare di guai se non mi fossi precipitato qua a impedirglielo. La conoscete?

Come unica risposta, Casey imprecò di nuovo e il tenente sorrise aggiungendo: — Non avreste dovuto svignarvela, ieri sera. Vi avrei evitato molte seccature.

— Me lo immagino!

— È vero. Volevo soltanto rivolgervi alcune domande circa questa lettera d’amore. — Non era una lettera d’amore, bensì il foglio strappato dall’agenda di Groot che Casey aveva spedito alla centrale. — Per essere un investigatore privato — fece Johnson — lasciate delle piste piuttosto chiare.

Strano come apparivano diversi gli occhi azzurri del tenente quando sorridevano. “Forse sto morendo” pensò Casey, “ed è per questo che fa il cordiale.” Piano piano quanto era accaduto nella stanza cominciava a riprendere forma, ma quando volle guardarsi attorno, la grossa mano di Johnson lo respinse contro i cuscini, non prima tuttavia che egli avesse visto ciò che voleva sapere.

— State tranquillo fino all’arrivo dell’ambulanza — ammonì il tenente. — So che è quasi impossibile uccidere un polacco, ma è inutile che vi ci proviate con tanta energia. Abbiamo già sufficienti cadaveri.

— E la signora Brunner?

— È in buone mani, dove sarebbe stata da tempo se non aveste fatto lo spiritoso. Lo so, trovate che io sono uno stupido poliziotto, ma ignorate ancora alcune cose. Forse non sapete che ieri abbiamo ripescato il corpo di Carter Groot dal Lago Fox. Pesava parecchio tanto era pieno di pallottole calibro 38.

Casey cercò di tornare indietro col pensiero e, benché non fosse facile, con un certo sforzo ci riusciva.

— Io so dov’è una 38 che si adatta a quei proiettili — disse. — Scovate un tizio che si chiama Victor Vanno e vi racconterò tutto.

— Ne so sempre più di voi.

Johnson non si vantava. Quando Casey lo fissò, aggiunse: — Inoltre, voi non sapete di che tipo di pratiche si occupasse Carter Groot. Un solo tipo: divorzi.

Casey sapeva di essere rimasto a bocca aperta, ma non gli riusciva di richiuderla. Gli occorse un certo tempo per digerire le parole del tenente, ma poi finì per chiedere: — Gorden?

— Chi altri? Eh già, la signora Brunner sarebbe potuta essere sua madre, ma che significa? Lei aveva bisogno di lui, per dare a bere tutte le sue false opere di beneficenza, e lui aveva bisogno di lei, per pagarsi l’affitto. A un certo momento, Brunner mangiò la foglia e decise di liberarsi di entrambi. Il resto appartiene ormai al passato.

Passato… avvenire. La luce si rifletteva su un oggetto che Johnson rigirava tra le dita, e Casey provò un senso di capogiro nel vederne la punta insanguinata.

— Un bel trucco! — fece il tenente. — Un finto omicidio organizzato per intrappolare un assassino. Avreste potuto lasciarci la pelle, tanto voi quanto la ragazza.

— Invece, siamo vivi, e il trucco è riuscito — ribatté Casey.

Johnson si ficcò in tasca il tappo di cristallo con una smorfia di disgusto. — Commediante! — brontolò. — Perché non ve ne tornate a Hollywood?

Casey chiuse gli occhi. Non aveva più voglia di parlare. Voleva ripartire dal principio, proprio dal principio, e riesaminare i fatti finché ogni pezzo si fosse incastrato perfettamente nell’altro.

La signora Brunner e Gorden, Gorden e la signora Brunner. Ecco la verità. E allora Phyllis non c’entrava affatto. Era stata soltanto impaurita ed era fuggita come potrebbe capitare a chiunque. Gorden e la signora Brunner, non Gorden e Phyllis.

Per di più era viva. Era meraviglioso avere ricordato in tempo che una sola persona poteva essere al corrente dell’esistenza della Luger. Ebbe un fremito e riapri gli occhi.

Il tenente se n’era andato, e Phyllis gli stava appoggiando una pezzuola umida sulla fronte. Non aveva molto senso perché l’unico dolore che lui non provava, in quel momento, era proprio il mal di capo, ma in fondo qualcosa doveva pur fare. Quando il suo mondo le crollava attorno, Phyllis doveva sempre fare qualcosa, ballare o cuocere spaghetti o piegare, sciorinare pezzuole umide. Casey era fierissimo di riuscire a capirlo. Dando tempo al tempo, forse, sarebbe anche riuscito a capire la donna che aveva sposato, e, a giudicare dalla riapparizione dell’anello, alla mano sinistra di lei, il tempo non sarebbe mancato. Per ora, sapeva che non si sarebbe mai arresa, che nulla l’avrebbe fatta cedere, che non sarebbe mai ricorsa all’arma delle lacrime, quell’arma tanto femminile.

E così, Phyllis scelse proprio quell’attimo per gettar via la pezzuola, e lasciarsi cadere contro la sua spalla, scossa da singhiozzi. “Che momento, per farsi trovare con un solo braccio valido!” pensava Casey.

FINE